Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15297 del 25/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 25/07/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 25/07/2016), n.15297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi G. – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14444/2011 proposto da:

I.P., (OMISSIS), B.S. (OMISSIS),

M.P. (OMISSIS), N.C.G. (OMISSIS),

N.M.A. (OMISSIS),

N.O.(OMISSIS).e.d.i.R.V.G.1.S.A.p.l.s.d.F.D.L.r.e.d.d.N.M.

-.r.-.

c.

CA.GI., CU.AN.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 63/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 24/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito il P.M.,in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, e ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 Con atto 1.12.2000 i coniugi B.S. e I.P., e i sigg. M.P., N.A.G. e T.S. – tutti acquirenti di appartamenti con garage in un fabbricato di (OMISSIS) – convennero in giudizio i venditori coniugi C.G. e Cu.An. per ottenere il risarcimento dei danni subiti per la mancata consegna dei certificati di abitabilità e il mancato rilascio di aree destinate a parcheggio.

I convenuti venditori si opposero alla domanda deducendone l’inammissibilità sia in relazione mancata consegna delle aree di parcheggio, (questione basata, a loro dire, su meri presupposti) sia con riferimento al mancato rilascio del certificato di abitabilità (attività di competenza del Comune). In ogni caso, eccepirono l’infondatezza della pretesa perchè il mancato rilascio del certificato da parte del Comune dipendeva dai numerosi interventi abusivi realizzati dagli stessi attori in epoca successiva alla stipula del rogito definitivo.

2 Dopo l’espletamento di una consulenza tecnica e l’assunzione di prova per testi, il Tribunale di Catania sez. distaccata di Acireale con sentenza 13.5.2005 accolse la domanda quantificando i danni per il deprezzamento nella misura del 15% del prezzo di acquisto risultante dagli atti di trasferimento.

La decisione fu impugnata dai venditori soccombenti e la Corte d’Appello di Catania, con sentenza 24.11.2010- 24.1.2011, in parziale accoglimento del gravame, li ha condannati in solido a pagare solo i danni per la violazione delle prescrizioni della cd. “legge Tognoli” (mancata assegnazione delle aree di parcheggio), oltre interessi.

La Corte siciliana, richiamata la natura giuridica del certificato di abitabilità, ha fondato il proprio convincimento sulle risultanze della consulenza tecnica di ufficio, che aveva ravvisato due ostacoli al rilascio del documento: 1) mancato rispetto, da parte dei venditori, delle prescrizioni della legge sulle aree di parcheggio; 2) esecuzione, negli immobili acquistati, di intereventi edilizi non regolarizzati. Sotto quest’ultimo profilo, la Corte di merito ha ritenuto – diversamente dal primo giudice – che la responsabilità fosse da ascrivere agli acquirenti perchè fino al luglio del 1992, data del rilascio della certificazione di conformità, non risultavano eseguiti interventi, come dimostrato proprio da tale documento. Pertanto, disattendendo le deposizioni dei testi, la Corte di merito ha ritenuto che i lavori furono eseguiti dai singoli acquirenti dopo l’acquisto e che pertanto ad essi non spettava il risarcimento per il mancato rilascio del certificato di abitabilità, ma solo per la mancata consegna delle aree di parcheggio, risarcimento che ha quantificato nella misura indicata dall’ausiliare, corrispondente al prezzo di acquisto delle aree mancanti. Ha considerato in proposito che pur in mancanza della prima irregolarità – imputabile ai venditori – il certificato non sarebbe stato comunque rilasciato, ricorrendo la seconda irregolarità, riferibile invece agli acquirenti.

3 Avverso la predetta sentenza gli acquirenti – e tra questi gli eredi della N., frattanto deceduta – hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di 12 motivi.

I coniugi C. – Cu. non hanno svolto attività difensive in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1-2-3 Col primo motivo si denunzia violazione della L. n. 425 del 1994, art. 4, nonchè degli artt. 1453, 1470, 1497 e 1477 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo. Premessa la ricostruzione della natura giuridica del certificato di abitabilità e la sua rilevanza nella vendita immobiliare, i ricorrenti rimproverano alla Corte d’Appello di avere mandato esenti da responsabilità i venditori senza considerare che, per la mancanza di tale certificazione, le unità subiscono un danno nel libero mercato. Rilevano inoltre che l’acquisto di un’area di parcheggio in altra zona non consente di ottenere il certificato perchè l’area deve costituire una pertinenza dell’abitazione.

Col secondo motivo i ricorrenti denunziano la violazione degli artt. 1453, 1460, 1470 e 1497 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione osservando che la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare l’estrema gravità dell’omissione del venditore (mancato rilascio del certificato di abitabilità), il che impediva la commerciabilità del bene, mentre l’esecuzione di opere interne – a prescindere da chi ne fosse l’autore – poteva essere regolarizzata ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 13 e consentire quindi il rilascio della certificazione.

Col terzo motivo denunziano violazione degli artt. 1497 e 1477 c.c., nonchè vizio di motivazione: ad avviso dei ricorrenti la Corte d’Appello, nel ritenere possibile l’alienazione del bene senza la consegna del certificato di abitabilità, ha omesso di considerare che il certificato in questione costituisce un requisito essenziale del contratto di vendita immobiliare.

Questi tre motivi – che ben si prestano a trattazione congiunta – sono infondati.

Il riferimento al vizio di motivazione rende opportuno innanzitutto ricordare il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte anche a sezioni unite secondo cui la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6-5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014 Rv. 629382).

Ebbene, nel caso in esame, si è senz’altro al di fuori di tale ipotesi estrema: la Corte d’Appello, con tipico accertamento in fatto, ha riscontrato, sulla scorta delle risultanze del certificato di conformità del luglio 1992, che i compratori avevano eseguito una serie di lavori dopo l’acquisto degli immobili e pertanto ha escluso la responsabilità dei venditori in ordine al mancato rilascio del certificato di abitabilità perchè anche se non vi fosse stata la prima irregolarità imputabile a costoro (mancata disponibilità delle aree destinate a parcheggio), il documento non sarebbe stato comunque rilasciato, ricorrendo la seconda irregolarità, riferibile, questa volta, agli acquirenti (v. pag. 8 sentenza impugnata).

La motivazione appare del tutto congrua e priva di vizi logici e così si sottrae alla censura che, invece, si rivela in parte anche priva di autosufficienza (art. 366 c.p.c., n. 6) perchè della natura degli interventi edilizi e della possibilità di regolarizzazione degli stessi i ricorrenti non danno nessun elemento di obiettivo riscontro, avendo omesso di allegare la relazione del CTU (quanto meno per la parte di interesse) o la fedele trascrizione del suo contenuto (sempre per quanto di rilievo in questa sede).

Quanto al terzo motivo, va osservato che, come riporta lo stesso ricorso a pag. 4, le vendite senza contemporaneo rilascio del certificato di abitabilità erano state liberamente concordate nei vari atti di trasferimento e quindi anche i compratori avevano aderito, nell’esercizio della autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.), a tale modalità di trasferimento. Inoltre, la Corte d’Appello non ha affermato affatto che il venditore possa vendere un’unità abitativa senza consegnare il certificato di abitabilità, ma ha solo ritenuto che la mancata consegna fosse addebitabile anche ai compratori (per l’avvenuta esecuzione di irregolarità edilizie) e che quindi diveniva irrilevante la prima irregolarità ascrivibile ai venditori (mancata consegna delle aree di parcheggio): un siffatto ragionamento appare ancora una volta del tutto coerente dal punto di vista logico e giuridicamente corretto: la censura pertanto non coglie nel segno.

4-5-6 Col quarto motivo si denunzia la contraddittorietà della motivazione con riferimento a casi identici: secondo i ricorrenti, il danno andava rapportato al minor valore del bene, e ritengono che la Corte d’Appello abbia adottato ingiustificatamente due criteri diversi di valutazione perchè in una analoga vicenda aveva stimato il danno in una percentuale pari al 30% del prezzo, mentre nel caso di specie lo ha valutato nella misura del 5%.

Col quinto motivo si denunzia violazione della L. n. 425 del 1994, art. 4 e dell’art. 1470 c.c., nonchè il vizio di motivazione, rilevandosi che il certificato doveva essere rilasciato al momento della stipula dell’atto di vendita.

Col sesto motivo si denunzia violazione della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, L. n. 47 del 1985, art. 26, L. n. 122 del 1989, artt. 1 e segg., nonchè vizio di motivazione: secondo i ricorrenti, la Corte d’Appello ha legittimato la circolazione di un bene immobile senza area di parcheggio (condizione per il rilascio della concessione edilizia). Si introduce quindi la questione del vincolo di destinazione e della sua inderogabilità.

Queste tre censure sono tutte inammissibili.

Le prime due lo sono perchè prive di specificità (art. 366 c.p.c., n. 6). Ed infatti:

a) la sentenza che avrebbe diversamente valutato situazioni analoghe (quarto motivo) non risulta neppure prodotta e quindi oggi resta preclusa ogni verifica circa l’asserita identità della vicenda e la diversità della valutazione;

b) nel quinto motivo non è dato cogliere alcuna critica alla sentenza di appello. Eppure, il ricorso per cassazione è una domanda impugnatoria che può proporsi per certi particolari motivi e come tale necessariamente si deve sostanziare, per il concetto stesso di impugnazione, in una critica alla decisione impugnata, il che impone di prospettare alla Corte nell’atto con cui viene proposta perchè la decisione è errata secondo il paradigma dell’art. 360 c.p.c. e, quindi, di dirlo argomentando dalle risultanze processuali del merito, siano esse documenti o atti processuali (v. Sez. 6-3, Ordinanza n. 7455 del 25/03/2013 Rv. 625596 in motivazione).

L’inammissibilità del sesto motivo discende invece dal fatto che con tale censura vengono sottoposte alla Corte di Cassazione questioni di diritto nuove, non risultando la relativa trattazione nel giudizio di merito: qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga la questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (tra le varie, v. Sez. 1, Sentenza n. 25546 del 30/11/2006 Rv. 593077; Sez. 3, Sentenza n. 5070 del 03/03/2009 Rv. 606945 non massimata; Sez. 3, Sentenza n. 15422 del 22/07/2005 Rv. 584872).

Inoltre la critica si rivela priva di interesse sul tema dei presupposti per il rilascio della concessione edilizia, posto che come riporta lo stesso ricorso a pagg. 2 e 3 risulta avvenuto sia il rilascio della concessione sia l’ultimazione dei lavori.

7 Col settimo motivo si denunzia vizio di motivazione mettendo in discussione la validità del certificato del 22.7.1992, considerato dalla Corte d’Appello.

Questo motivo è infondato per due ragioni: innanzitutto perchè con l’atto introduttivo del giudizio i ricorrenti non avevano mai messo in dubbio il certificato del 22.7.1992, ma anzi lo avevano richiamato a pag. 3. In secondo luogo perchè si chiede alla Corte di Cassazione di accertare l’esistenza di “vizi formali e sostanziali” dell’atto sostituendosi al giudice amministrativo.

8 Con l’ottavo motivo si denunzia ancora vizio di motivazione, rimproveranosi alla Corte di merito una serie di omissioni nelle sue valutazioni e, in particolare:

– di non avere considerato la possibilità di sanare le difformità irrilevanti della L. n. 47 del 1985, ex artt. 13 e 47, come accertato dal CTU;

– di non avere spiegato la ragione del mancato rilascio del certificato di abitabilità all’atto della vendita o addirittura al momento dell’ultimazione dei lavori;

– ancora, di avere omesso di accertare che non tutti gli acquirenti erano stati immessi nel possesso prima della stipula. Sulla base di tali rilievi, i ricorrenti ritengono la motivazione inidonea.

Questo motivo si rivela però infondato perchè prospetta censure prive di specificità su tipiche questioni di fatto. Inoltre, la mancata allegazione della relazione del CTU (o, quanto meno, la mancata trascrizione delle parti salienti dell’elaborato) non consente di verificare neppure la sanabilità o meno delle opere. Ancora, appare illogico dolersi del mancato rilascio del certificato di abitabilità prima delle vendite quando poi si afferma (v. pag. 4 ricorso) che nei vari rogiti era stato concordato il rilascio del documento in data successiva. A ciò aggiungasi che l’immissione degli acquirenti nel possesso degli immobili in epoca anteriore alla stipula è stata motivata congruamente a pagg. 7 e 8 della sentenza attraverso il riferimento alla non contestazione della circostanza.

9-10 Col nono motivo i ricorrenti denunziano violazione dell’art. 2700 c.c. e vizio di motivazione: la Corte d’Appello – si sostiene – avrebbe utilizzato (per giustificare il rigetto della domanda) l’argomentazione dell’esecuzione abusiva di opere edili anche con riferimento alla posizione del T. che invece, come risulta dall’istruttoria, non aveva eseguito opere ed aveva acquistato il possesso coevamente alla stipula dell’atto di trasferimento avvenuta nel 1997, dopo cinque anni dalla ultimazione dei lavori.

Col decimo motivo i ricorrenti denunziano ancora violazione dell’art. 2700 c.c. e vizio di motivazione.

I due motivi – che si prestano anch’essi a trattazione unitaria – sono inammissibili perchè privi di specificità (art. 366 c.p.c., n. 6): non si precisa, infatti, da quale atto istruttorio risulta che il T. non abbia eseguito gli interventi, stante il silenzio del ricorso al riguardo. Parimenti, non si comprende da quale passaggio della sentenza impugnata risulta che la Corte d’Appello abbia rigettato la domanda della N. per le ragioni riportate nel ricorso. L’immissione in possesso prima della stipula dell’atto di trasferimento è desunta, come si è già detto, dalla “non contestazione” della circostanza evidenziata a pagg. 7 e 8 della sentenza. Per il resto, la censura si risolve in una critica tipicamente fattuale, come tale preclusa in questa sede.

11 Con l’undicesimo motivo di ricorso si denunzia violazione dell’art. 2721 c.c. e vizio di motivazione. Dopo avere censurato la sentenza nella parte in cui disattende le deposizioni dei testi, i ricorrenti rilevano che la Corte ha errato nell’indicare il numero dei testi escussi (trattandosi di quattro testi e non di due); ripropongono la questione della detenzione anticipata non per tutti, nonchè la questione della entità delle difformità edilizie; propongono infine un sillogismo da cui, a loro avviso, si evince che le difformità edilizie sono state eseguite dai costruttori venditori: da ciò scaturisce, sempre a loro avviso, l’illogicità della motivazione.

Il motivo è infondato.

La Corte d’Appello a pag. 8 ha reputato generiche le deposizioni dei testi sulla assenza di interventi edilizi dopo la stipula degli atti di acquisto, senza affatto limitarne l’esame a due: il riferimento a due testi, cioè al fratello del T. e all’amico del B., è solo un passaggio ulteriore della motivazione e serve ad evidenziare l’inattendibilità di costoro, ma in aggiunta al generale giudizio di inattendibilità e irrilevanza della circostanza riferita dai testi, senza alcuna limitazione.

Il tema dell’anticipato possesso integra una questione di fatto che la Corte di merito affronta e risolve, come già detto, in base al principio di non contestazione, attraverso un apprezzamento del tutto immune da vizi logici. Parimenti, investe una questione di fatto la discussione sull’entità delle difformità, peraltro articolata in violazione del principio di autosufficienza perchè dal ricorso non emerge da dove si ricava la deduzione dei ricorrenti sull’entità delle modifiche.

12 Col dodicesimo ed ultimo motivo i ricorrenti denunziano infine omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sopra un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, rilevando un difetto di correlazione tra chiesto e pronunciato con riferimento alle repliche del T. sulle censure degli appellanti (censure con cui si evidenziava l’assenza di danni lamentati da costui, il quale – secondo la tesi dei coniugi venditori – aveva rivenduto l’immobile per 55.000,00 Euro, senza subire, quindi alcun deprezzamento).

Il motivo è inammissibile.

Come affermato dalle sezioni unite, il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (v. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 Rv. 627268).

Nel caso di specie, il motivo denunzia unicamente mancanza di nesso logico delle argomentazioni e inidoneità a rendere note le ragioni del provvedere (v. pag. 40 ricorso) e quindi con esso si fa valere unicamente un vizio motivazionale, senza alcun riferimento alla nullità della decisione derivante dalla asserita mancanza di risposta alle deduzioni del T. in replica alle censure mosse dagli appellanti-venditori.

In conclusione, il ricorso va rigettato e la mancanza di attività difensiva della parte vittoriosa esime la Corte dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

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