Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15297 del 12/07/2011

Cassazione civile sez. II, 12/07/2011, (ud. 17/05/2011, dep. 12/07/2011), n.15297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31358/2005 proposto da:

P.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FLAMINIA 213, presso lo studio dell’avvocato PACE PIETRO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PASCALE Vincenzo;

– ricorrente –

contro

C.V., T.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 186/2005 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 12/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/05/2 011 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato VINCENZO PASCALE difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 23 maggio 1995, C.V. e T.C., nella qualità di capo-condomini, amministratori dell’immobile denominato (OMISSIS), sito nell’abitato (OMISSIS), proponevano opposizione a D.I. n. 380 del 1995 emesso dal Presidente del Tribunale di Potenza con cui P. G. ingiungeva il pagamento di L. 56.810,361 quale corrispettivo per aver eseguito la progettazione e la direzione dei avori di ricostruzione dell’immobile denominato (OMISSIS).

Si costituiva P., che chiedeva il rigetto dell’opposizione, deducendo che gli opponenti erano debitori nei suoi confronti della residua somma di L. 10.891.600.

Il Tribunale di Potenza, con sentenza n. 143 del 2001 accoglieva la proposta opposizione e revocava il decreto ingiuntivo Proponeva appello P.G. chiedendo in riforma della sentenza del Tribunale che i convenuti venissero condannati al pagamento in suo favore della somma di L. 10.891.600 corrispondente ad Euro 5.625,05, oltre interessi come per legge.

Si costituivano C.V. e T.C. che chiedevano il rigetto del gravame.

La Corte di appello di Potenza con sentenza n. 186 del 2005 dichiarava l’inammissibilità dell’appello. Osservava la Corte territoriale che se una sentenza -come nel caso in esame- si fonda su molteplici ragioni distinte ed autonome, ma ciascuna delle quali idonea a sorreggere da sola la pronuncia in essa contenuta, l’omessa impugnazione e la conseguente incensurabilità, anche di una soltanto di tali ragioni rende inutile, per difetto di interesse, tutto il gravame determinando l’inidoneità di questo a conseguire il risultato voluto: della rimozione della sentenza stessa, per essere la stessa destinata in ogni caso a restare ferma in virtù delle argomentazioni non censurate e non censurabili. E’ sufficiente – chiariva la Corte territoriale- che una sola delle ragioni che sorreggono la decisione non formi oggetto di censura perchè; i l’impugnazione debba essere respinta nella sua interezza per difetto di interesse.

La cassazione della sentenza n. 186 del 2005 della Corte di appello di Potenza è stata chiesta da P.G. con ricorso affidato a tre motivi. Non hanno svolto alcuna attività difensiva gli intimati: C.V. e T.C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – P.G. lamenta: a) Con il primo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; b) Con il secondo motivo, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5; c) Con il terzo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

1.1.- In via preliminare va osservato che nonostante il ricorrente abbia in epigrafe indicato tre distinti motivi, numerandoli in modo progressivo, tuttavia, tutti e tre i motivi sono esplicati senza che l’uno sia distinto dall’altro, pertanto, l’esame degli stessi verrà effettuato unitariamente. D’altra parte, è evidente la connessione tra gli stessi tanto che l’uno appare la specificazione dell’altro.

2.- Secondo il ricorrente, alla Corte territoriale sarebbe sfuggita la circostanza che, comunque, il requisito della specificità dei motivi di appello doveva essere valutato con riferimento al contenuto della sentenza impugnata per cui non era necessaria una precisa esposizione delle ragioni dell’appello in, caso di impugnazione integrale della sentenza di primo grado e, cioè, quando il Giudice del gravame è chiamato a riesaminare tutta la controversia. Del tutto erronea sarebbe, sempre secondo l’opinione del ricorrente, la motivazione riportata dalla sentenza della Corte territoriale, secondo la quale il ricorrente non avrebbe censurato le due rationes decidendi della sentenza di primo grado perchè nell’atto di appello il ricorrente avrebbe dedotto in fatto e in diritto l’infondatezza dell’assunto del Giudice di prime cure. La decisione della Corte territoriale, ritiene ancora il ricorrente, non avrebbe, comunque, rispettato i principi generali in tema di opposizione in ordine all’onere della prova. Infatti, anche per i principi generali in tema di ripartizione della prova incombe sulla parte opponente in primo grado l’onere probatorio, di contenuto contario a quello dell’opposta per cui in concreto deve fornire la prova dei fatti posti a fondamento della propria domanda.

2.1.- Le censure nel loro complesso non meritano di essere accolte, non tanto perchè sono ai limiti dell’ammissibilità perchè carenti, per certi aspetti, di autosufficienza, ma, soprattutto, perchè infondate, considerato che la decisione della Corte territoriale non presenta il vizio denunciato, è sostenuta da un motivazione ampia, logica, ponderata e convincente, e, comunque, coerente con i principi giuridici cui è riconducibile l’ipotesi esaminata e con l’orientamento costante di questa Corte di Cassazione.

2.2.- La Corte territoriale -come bene evidenzia la sentenza impugnata – hai preso atto che il giudice di primo grado aveva ritenuto infondata la domanda di P. (attuale ricorrente) perchè era pacifico tra le parti che C. e T. avevano corrisposto a P. la somma di L. 45.918.755, così come:

riportata dalla quietanza del 15 marzo 1995 e lo stesso Giudice aveva precisato – come riferisce la sentenza impegnata che con quella quietanza le parti avevano concluso ogni loro rapporto a mezzo della dazione della somma indicata. Il Giudice di primo grado aveva aggiunto altresì -come, ancora,evidenzia la sentenza impugnata- che il sig. P. non aveva fornito la prova di un ulteriore credito nei confronti di C. e T., che non fosse quello di cui alla quietanza appena indicata e del quale aveva avanzato domanda di pagamento; nè era sufficiente a tal fine l’esibizione della fattura.

A sua volta, la Corte territoriale, ha preso atto che l’appello proposto censurava la sentenza di primo grado -così come conferma lo stesso ricorrente- in ordine alla prima affermazione, cioè, censurava il fatto che il Giudice di primo grado non avesse preso atto che la quietanza di cui si diceva (cioè la quietanza del 15 marzo 1995), non si riferiva, anche al credito del P. riportato dalla fattura n. (OMISSIS).

2.3.- Ora, non vi è dubbio che la censura riferita al primo dei due profili della sentenza di primo grado non comporta di per sè -come vorrebbe il ricorrente anche la censura del secondo aspetto perchè, per quanto quegli aspetti sono connessi e collegati, tuttavia, il primo profilo attiene al contenuto e all’identità di un documento (la quietanza), il secondo dei profili attiene, invece, all’esistenza del credito.

2.4.- Sicchè, ammesso pure che l’appellante, oggi attuale ricorrente, avesse avuto ragione, cioè, gli fosse stato riconosciuto che la quietanza di cui si dice si riferiva solo alla fattura n. (OMISSIS), ciò non avrebbe comportato necessariamente e de plano il riconoscimento che lo stesso P. vantasse ancora nei confronti di C. e T. il credito di cui chiedeva il pagamento, perchè, comunque, la presentazione della fattura n. (OMISSIS):

non era di per se dimostrativi dell’esistenza di un credito, anche se utile peri ottenere decreto ingiuntivo. Con l’ulteriore conseguenza che, ammesso pure che l’appellante avesse avuto ragione il dispositivo della sentenza di primo grado non sarebbe stato travolto ma semplicemente chiarito, o ampliato di un ulteriore approfondimento, però, privo di un’utilità sostanziale in termini di giustizia.

2.5.- La Corte territoriale ha applicato correttamente, anche, i principi in materia di prova. Come correttamente indica il ricorrente, incombe sulla parte opponente in primo grado l’onere probatorio di contenuto contrario a quello dell’opposta. Ma ciò non significa che l’opposta parte attrice, perchè parte che ha chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo, non debba assolvere al proprio onere e, cioè, quello di dimostrare di vantare il credito che ha inteso far valere nel chiedere il decreto ingiuntivo. E, quella prova, come già si è detto, non è assolta con la semplice presentazione di una fattura. La fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo, in favore di chi la ha emessa, ma nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2011

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