Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15295 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15295 Anno 2015
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: VIRGILIO BIAGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

ricorrente

contro
MEZZATESTA Salvatore, rappresentato e difeso dall’avv. Sergio Rizzo,
giusta delega in atti;

eontroricorrente

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez.
staccata.di Catania, n. 24/31/09, depositata l’8 gennaio 2009. ,
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13 febbraio
2015 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;
udito l’avv. Giovanni lana (per delega) per il controricorrente;

Data pubblicazione: 21/07/2015

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Tommaso
Basile, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la
sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione
staccata di Catania, indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello
dell’Ufficio, è stato riconosciuto il diritto di Salvatore Mezzatesta al

eccedenza rispetto a quanto stabilito dall’art. 9, comma 17, della legge n.
289 del 2002, recante disposizioni agevolative per i soggetti colpiti residenti
nelle province di Catania, Ragusa e Siracusa colpiti dal sisma de1.1990.
Il giudice a quo, dopo aver dichiarato inammissibile per novità il motivo
di gravame con il quale l’Ufficio aveva eccepito che il contribuente non
poteva avvalersi della normativa citata poiché il versamento era avvenuto in
base a cartella di pagamento emessa a seguito di avviso di accertamento
definitivo, ha affermato che il Mezzatesta aveva diritto al rimborso del 90
per cento di quanto pagato nel 1992, in virtù dell’art. 9, Comma 17, cit., e
che era infondata la tesi dell’Ufficio circa l’irripetibilità delle maggiori
somme versate a titolo di c.d. rottamazione della cartella notificatagli per
quell’anno, ai sensi dell’art. 12 della medesima legge n. 289 del 2002.
2.11 contribuente resiste con controricorso, illustrato con memoria.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denuncia la violazione
dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992„ censurando la sentenza impugnata là
dove il giudice a quo ha ritenuto nuova l’eccezione, formulata dall’Ufficio
in appello, secondo cui il condono ex art. 9, cornma 17, della legge n. 289
del 2002 non è applicabile alle cartelle che, come quella in esame, era stata
emessa a seguito di avviso di accertamento divenuto definitivo.
Col secondo motivo, è dedotta la violazione del citato art. 9, comma 17,
della legge n. 289 del 2002, riproponendo in questa sede la questione
anzidetta.
Con la terza ed ultima censura, la ricorrente denuncia la violazione
dell’art. 12 della menzionata legge n. 289 del 2002, formulando il quesito se
chi abbia proposto istanza di condono ai sensi di detta disposizione,
pagando il 25 per cento del carico iscritto a ruolo, “estingue il debito
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rimborso di quanto versato per l’anno 1992, a titolo di IRPEF ed ILOR, in

irretrattabilmente e non può poi, ritenendo di avere diritto ad altro, più
favorevole, condono, chiedere il rimborso di quanto pagato in più”, con
conseguente cassazione della sentenza che accolga tale azione di rimborso,
anziché dichiararla inammissibile.
E’ fondato e va accolto il terzo motivo, con assorbimento dei precedenti.
Costituisce, infatti, circostanza pacifica in causa che il contribuente si è
avvalso, in relazione alla cartella di pagamento notificatagli per l’anno 1992

di ruolo pregressi (c.d. “rottamazione delle cartelle”) prevista dal citato art.
12 della legge n. 289 del 2002, versando in due rate la somma
corrispondente al 25 per cento dell’importo iscritto a molo, secondo la
previsione del comma 1, lettera a), di tale norma.
Orbene, deve essere al riguardo ribadito il principio, valido per qualsiasi
ipotesi di condono fiscale, secondo il quale le dichiarazioni integrative (o, in
genere, le dichiarazioni di volersi avvalere di una determinata definizione
agevolata) non hanno natura di mere dichiarazioni di scienza o di giudizio,
come tali modificabili; né costituiscono momenti del procedimento volto •
all’accértarnento dell’obbligaz- ione tributaria, ma integrano atti volontari,
frutto di scelta ed autodeterminazione da parte del contribuente, i cui effetti
non sono rimessi alla volontà di quest’ultimo, ma sono previsti dalla legge,
come conseguenza dell’osservanza di specifiche disposizioni che regolano
ciascuna dichiarazione, la quale, una volta presentata, è irrevocabile e non
può essere modificata dall’ufficio né contestata dal contribuente, se non per
errore materiale, il quale dev’essere manifesto e riconoscibile e consistere
nella discordanza, immediatamente rilevabile dal testo dell’atto, tra
l’intendimento dell’autore e la sua materiale esteriorizzazione e non può
consistere in un ripensamento successivo alla dichiarazione (cfr., tra altre,
Cass. n. 15172 del 2006 e, da ult, Cass. n. 3301 del 2014).
Né a diversa conclusione può indurre il rilievo del contribuente secondo
cui egli non ha mai presentato istanza di condono ex art. 12, al quale si
accede “per fatto concludente”, e che la fruizione di tale forma di
,

definizione, anziché di quella di cui all’art. 9, comma 17, della legge n.
289/02, sarebbe stata frutto di erronea determinazione del concessionario
della riscossione: a parte il rilievo che, come detto, il comma 2 del citato art.
12 prevede espressamente la sottoscrizione di apposito atto di dichiarazione
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(recante un importo pari a circa €. 420.000,00), della defmizione, dei carichi

di avvalersi della facoltà concessa dal comma 1, va rilevato che il giudice di
merito non ha accertato alcun errore — nel senso sopra indicato — commesso
dal contribuente, avendo solo rilevato che il funzionario addetto alla
riscossione lo “aveva indotto ad avvalersi” dell’art. 12 cit.
2. In definitiva, va accolto il terzo motivo di ricorso, assorbiti il primo e
il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo
necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il

rimborso della differenza tra quanto versato ex art. 12 della legge n. 289 del
2002 e quanto avrebbe dovuto versare in applicazione della definizione
agevolata prevista dall’art. 9, comma 17, della legge medesima.
3. La peculiarità della fattispecie induce a disporre la compensazione
delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo, assorbiti il primo e il secondo, cassa la
sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo
del contribuente.
Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma il 13 febbraio 2015.

rigetto del ricorso introduttivo del contribuente tendente . ad ottenere il

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