Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15295 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 03/06/2021), n.15295

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10803-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

TEKNIKA SAS DI G.S. & C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati G.S., FABIO PACE;

– controricorrenti –

contro

G.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 946/1/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del VENETO, depositata il 17/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. COSMO

CROLLA.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

1.La Soc. Teknika sas di G.S. e C proponeva ricorso avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Belluno avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, riscontrata la mancata presentazione di interpello disapplicativo, la mancata compilazione del quadro RS relativo all’operatività della società, il risultato di non congruità e non coerenza, l’andamento antieconomico della gestione, accertava, in conseguenza del mancato superamento del test di operatività, il reddito imponibile minimo per l’anno di imposta 2010, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30 in Euro 187.208. Nelle more del giudizio di primo grado l’Amministrazione finanziaria provvedeva a notificare al contribuente provvedimento in autotutela che ricalcolava il reddito minimo nel minore importo di Euro 182.001,00.

2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso riducendo il reddito nella misura indicata dal provvedimento di autotutela; la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, accogliendo l’eccezione della società annullava la sentenza, ordinando l’integrazione del contraddittorio nei confronti della soda G.S.; riassunto il giudizio ed espletato tale incombente la CTP accoglieva il ricorso ritenendo che, attraverso l’atto di autotutela, l’Ufficio avesse fatto venir meno l’atto originariamente impugnato.

3. La sentenza veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate e, con appello incidente dagli appellati; la Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello principale e quello incidentale osservando: a)che non poteva essere condivisa la decisione del giudice di prime cure posto che l’Ufficio non aveva rimosso l’originario avviso di accertamento ma aveva solo ridotto l’importo in conseguenza con il minor reddito presuntivo accertato sicchè non era necessaria l’emissione di un nuovo atto impositivo, b) che la disciplina contenuta nella L. n. 724 del 1994, art. 30 non trovava applicazione alle attività stagionali quale era quella esercitata dalla società contribuente; c) che non era stato provocato il contraddittorio endoprocedimentale.

4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi ad un motivo, la Soc. Teknika sas di G.S. e la socia G.S. si sono costituiti depositando controricorso.

5 Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio. I contribuenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con l’unico motivo di impugnazione l’Ufficio denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si sostiene che la natura stagionale dell’attività svolta non sia in alcun modo contemplata dalla norma quale causa di non applicazione della disciplina antielusiva nè la disposizione citata, nella versione applicabile ratione temporis, prevede la necessità del contraddittorio endoprocedimentale.

2 n motivo di impugnazione è fondato.

2.1.1 La disciplina fiscale delle società non operative è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30; trattasi di una normativa antielusiva volta a contrastare le c.d. società di comodo e, in particolare, a disincentivare il ricorso all’utilizzo dello strumento societario come schermo per nascondere l’effettivo proprietario di beni, avvalendosi delle più favorevoli norme dettate per le società. Tali soggetti, quindi, al ricorrere dei presupposti previsti dalla norma – mancato superamento “test operatività” di cui al medesimo comma 1, ossia quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando i determinati coefficienti – sono considerati di comodo e, di conseguenza, sono assoggettati alla disciplina delle società non operative ed ai relativi adempimenti.

2.2 La disposizione normativa sopra richiamata, al comma 1, elenca una serie di ipotesi, in presenza delle quali, non trova applicazione il regime delle “società di comodo” indicando, a tal fine, uno specifico elenco che si riferisce “1) ai soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali; 2) ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta; 3) alle società in amministrazione controllata o straordinaria; 4) alle società ed enti che controllano società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri, nonchè alle stesse società ed enti quotati ed alle società da essi controllate, anche indirettamente; 5) alle società esercenti pubblici servizi di trasporto; 6) alle società con un numero di soci non inferiore a 50; 6-bis) alle società che nei due esercizi precedenti hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità; 6-ter) alle società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria, di liquidazione coatta amministrativa ed in concordato preventivo; 6-quater) alle società che presentano un ammontare complessivo del valore della produzione (raggruppamento A del conto economico) superiore al totale attivo dello stato patrimoniale; 6-quinquies) alle società partecipate da enti pubblici almeno nella misura del 20 per cento del capitale sociale”.

2.3. Il successivo comma 4-bis, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, stabilisce che “in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonchè del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis, comma 8”.

2.4 Alla luce della suesposta ricognizione normativa può affermarsi con certezza che la natura stagionale dell’attività esercitata della società non sia causa di esclusione ab origine, dal campo di applicazione della disciplina delle società di comodo.

2.5 Altra questione è se, accertato il mancato superamento del test di operatività, il contribuente possa fornire mediante il meccanismo procedurale previsto dal comma 4 bis la prova contraria attraverso la dimostrazione del carattere stagionale dell’attività.

2.6 Va precisato che la determinazione di non avviare la procedura di interpello non può precludere al contribuente la possibilità di provare nel giudizio di opposizione all’avviso di accertamento, volto a recuperare a tassazione il maggior reddito stabilito ex lege, la sussistenza delle obiettive situazioni che legittimano la richiesta disapplicazione della normativa antielusiva. Della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 4 bis prevede infatti che la società “può” richiedere la disapplicazione che tale opzione è rimessa alla libera scelta del contribuente.

2.7 Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è attestata sul principio secondo cui “la procedura di interpello con cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8, costituisce per il contribuente una facoltà che consente di conseguire (in caso di risposta positiva dell’Ufficio) una certezza nei rapporti con la Amministrazione. Ma l’utilizzo di tale strumento non costituisce una via obbligata per il superamento della presunzione posta a carico del contribuente stesso dalle disposizioni anti-elusiva. Quindi al contribuente è sempre consentito fornire in giudizio la prova delle condizioni che consentono di superare la presunzione posta dalla legge a suo danno”(cfr.Cass. 17010 /2012 e 16183/2014).

2.8 Ciò premesso va rilevato che la società interessata per ottenere la disapplicazione della disciplina di cui all’art. 30 legge citata è tenuta dimostrare la sussistenza di condizioni oggettive che non le hanno consentito di superare il test di operatività.

2.9 Le “oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonchè del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4” vanno identificate in situazioni esterne che non dipendono e/o sono influenzate dalle scelte del contribuente.

2.10 Tali rilievi sono stati ripetutamente condivisi da questa Corte la quale ha avuto modo di affermare che “siccome la L. n. 724 del 1994, art. 30 individua la società “non operativa” esclusivamente sulla base del criterio quantitativo del test, indipendentemente dalle intenzioni e dal comportamento dei soci, la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4 bis ha previsto la possibilità di presentare istanza di interpello (chiedendo la disapplicazione delle “relative disposizioni antielusive”) in presenza di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore) che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui all’art. 30, comma 1″ (cfr. Cass. 21352/2019, nr 9852/2018) ed ancora” Il meccanismo deterrente consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società (nel senso ora indicato), con conseguente presunzione di un reddito minimo, stabilito in base a coefficienti medi di redditività dei detti elementi patrimoniali di bilancio. Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando, secondo il testo della disciplina applicabile ratione temporis, sopra riportato, l’esistenza di “oggettive situazioni di carattere straordinario”, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto” (cfr Cass. nr 21358/2015).

2.11 In sostanza il contribuente che non ha conseguito i ricavi e i conseguenti redditi presunti dalla legge, avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di particolari situazioni oggettive e straordinarie in termini economici quali ad esempio la crisi del settore, il mancato rilascio delle autorizzazioni, la protrazione dei lavori per cause non dipendenti dall’imprenditore.

2.12 Nella fattispecie i giudici di seconde cure hanno ritenuto che la presunzione di società di comodo fosse superata dalla sola e semplice circostanza che la stessa svolgesse la propria attività di locazione degli immobili stagionalmente. La stagionalità dell’attività di locazione turistica è frutto di una consapevole scelta dell’imprenditore il quale opera affinchè i ricavi dei mesi utili siano tali da essere quanto meno allineati al test di operatività. Se così non fosse, tutte le imprese operanti all’interno di un comprensorio turistico potrebbero, solo a causa della stagionalità della loro attività, considerarsi automaticamente escluse dalla disciplina delle società non operative.

2.13 Venendo all’esame dell’altro profilo di censura della sentenza nella parte in cui si contesta l’illegittimità dell’accertamento per il mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale va rilevato come sul punto le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che “in tema di tributi c.d. non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi cd. armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (cfr. Cass. sez. un., n. 24823 del 2015; tra la successiva giurisprudenza conforme si vedano, tra le altre, Cass. n. 2875 del 2017; Cass. n. 10030 del 2017; Cass. n. 20799 del 2017; Cass. n. 21071 del 2017; Cass. n. 26943 del 2017).

2.14 Orbene a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 223 del 2006 che ha modificato la L. n. 724 del 1994, art. 30 la procedura del test di non operatività non richiede alcun contraddittorio con il contribuente. Dunque per quanto concerne la ripresa fiscale dell’Irap l’accertamento “a tavolino” è legittimo.

2.15 In relazione alla parte dell’accertamento concernente l’IVA, il ricorrente non ha in alcun modo prospettato le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e che avrebbero potuto comportare un esito diverso del procedimento. La stessa CTR, del resto, ha dato atto che lo svolgimento del contraddittorio tra le parti prima di dar vita al contenzioso giudiziario avrebbe consentito a Teknika srl di dedurre le stesse argomentazioni difensive relative alla stagionalità dell’attività che sono state spese in giudizio e sono state contestate dall’Ufficio in ogni grado.

4. In conclusione il ricorso va accolto con cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio al alla Commissione Tributaria del Veneto in diversa composizione anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

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