Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15294 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15294 Anno 2015
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: VIRGILIO BIAGIO

SENTENZA
sul ricorso propo- sto da:
CRN s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in Roma, via Asiago n. 8, presso gli avvocati Stanislao Aureli e
Michele Aureli, che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– controzicorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia
Romagna n. 74/05/07, depositata il 13 dicembre 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13 febbraio

Data pubblicazione: 21/07/2015

2015 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;
uditi gli avv.ti Michele Aureli e Silvia Siccardi (per delega) per la ricorrente
e l’avvocato dello Stato Maria Pia Camassa per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Tommaso
Basile, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. La CRN s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza

epigrafe, con la quale, in parziale accoglimento dell’appello dell’Ufficio, è
stata dichiarata la legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei
confronti della contribuente limitatamente alla ripresa a tassazione, ai fini
IRPEG ed 1RAP del 2001, della somma di €. 232.405,04, contabilizzata
come sopravvenienza passiva, a seguito della mancata vendita di
un’imbarcazione alla Tinker S.A., e della quale l’Ufficio aveva
disconosciuto l’ inerenza.
Il giudice d’appello ha ritenuto che la detta spesa “non era prevista dal
contratto con la Tinker, che prevedeva solo la restituzione dell’acconto
versato, in Caso di inadempimentd del contratto stesso; in secondo luogo la
somma risulta documentalmente incassata dalla diversa società IFTAG
Consulting, che ha acquistato la imbarcazione 26/02, senza aver preso
nessun accordo per il successivo trasferimento alla Tinker, per cui detta
successiva vendita non può essere posta in relazione diretta con la mancata
vendita della imbarcazione cl. 94/02”.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 75,
comma 5, del TUIR (vecchia numerazione, ora art. 109) e formula il quesito
di diritto se “possa considerarsi inerente all’attività d’impresa — e pertanto
deducibile — un costo che, pur nascendo dalla lettura sistematica di una
operazione contrattuale complessa, data da una cessione poi risolta
transattivamente e da una successiva cessione del medesimo bene, abbia
portato alla realizzazione di un ricavo per l’impresa medesima, maggiore del
ricavo che sarebbe stato generato dalla esecuzione della sola prima vendita”.
Con il secondo motivo, è denunciata la violazione ‘degli arti. 115 e 116
cod. proc. civ., chiedendo “se sia illegittimo il pronunciamento di un giudice
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della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna indicata in

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che non formi il proprio convincimento valutando prudentemente sia i
documenti acquisiti agli atti, sia la mancata contestazione sugli stessi della
parte contro la quale i detti documenti sono stati prodotti”.
Con la terza censura la ricorrente si duole della insufficienza della
motivazione della sentenza “con la quale il giudicante, in presenza di un
costo qualificato dalle parti in maniera differente e dalla cui definizione
derivino effetti fiscali diametralmente opposti di deducibilità ovvero di
qualificazione del costo medesimo”.
Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1965 e 1967 cod. civ. e
si conclude con il quesito “se la prova scritta di una transazione, intervenuta
in seno ad una compravendita di imbarcazioni, possa ritenersi assolta sulla
base di contratti, lettere, fax, letti nel loro unitario contesto”.
I quattro motivi, da esaminare congiuntamente per stretta connessione,
sono inammissibili.
Nessuno di essi, infatti, risponde ai requisiti prescritti, per la loro
formulazione, dall’alt 366 bis cod. proc. -civ., il • quale, secondo la
consolidata giurisprudenza di- questa Corte, richiede che: a) quanto allecensure di violazione di legge, il quesito di diritto deve essere formulato in
termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da
consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile
di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla
sentenza impugnata, al fine, quindi, del miglior esercizio della funzione
nomofilattica: con la conseguenza che è inammissibile il motivo di ricorso
sorretto da quesito la cui formulazione si rivela inidonea a chiarire quale sia
l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale la
regola da applicare, in relazione alla concreta fattispecie (per tutte, Cass.,
sez. un., n_ 26020 del 2008 e n. 19444 del 2009); b) in ordine a censure di
vizi motivazionali, il motivo deve contenere la chiara e sintetica indicazione
del fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, o delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza
della stessa la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. nn. 2652 e
8897 del 2008, 27680 del 2009 e numerosissime successive conformi).
Va aggiunto che, con le censure indicate, la ricorrente tende
inammissibilmente a sollecitare a questa Corte una complessiva lettura delle
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indeducibilità, ometta di procedere ad una precisa definizione e

risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito,
meramente contrapponendovi una propria ricostruzione della fattispecie
concreta e un proprio apprezzamento dei fatti e delle prove, difformi da
quelli compiuti dal giudice stesso.
2. Con il quinto motivo è dedotta la violazione dell’art. 112 cod. proc.
civ. e si chiede alla Corte “se debba ritenersi illegittima una sentenza che
ometta qualsivoglia riferimento, sia nella narrativa in fatto, sia nella parte

doglianza esposto da una delle parti, non statuendo, neppure per inciso e,
pertanto, andando totalmente a pretermettere il motivo medesimo”.
Anche questo motivo è inammissibile per violazione del citato art. 366
bis cod. proc. civ., essendo consolidato il principio in virtù del quale la

formulazione del quesito, nel caso di censura di omessa pronuncia, non può
essere generica, esaurendosi nella enunciazione della regola della
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, dovendo contenere la
precisazione della questione sulla quale il giudice abbia omesso di
pronunciare (Cass. nn. 4146 del 2011, 10758 del 2013).
3. Infme, con il sesto Motivo, la ricorrente denuncia nuovamente -la
violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., formulando il quesito se violi tale
norma la sentenza che “non si pronunci sulla richiesta di non applicazione —
ovvero di proporzionale riduzione — degli importi irrogati a titolo di sanzioni
per obiettiva incertezza sulla portata del dettato normativo, quando la detta
richiesta — sebbene non sia stata oggetto di uno specifico motivo di
doglianza — sia stata espressamente formulata nelle conclusioni dell’atto”.
Il motivo — che è ammissibile per le ragioni indicate nel paragrafo
precedente — è infondato.
Va, infatti, condiviso e ribadito il principio secondo il quale la
disapplicazione, da parte del giudice, delle sanzioni per violazioni di norme
tributarie (ai sensi degli artt. 8 del digs. n. 546 del 1992, 6, comma 2, del
d.lgs. n. 472 del 1997 e 10, comma 3, della legge n. 212 del 2000), qualora
accerti che le stesse sono state commesse in presenza ed in connessione con
una situazione di oggettiva incertezza nell’interpretazione normativa (da
riferire non al contribuente, né all’Ufficio, bensì al giudice stesso), è
possibile – anche in sede di legittimità – solo se domandata dal contribuente
nei modi e nei termini processuali appropriati, cioè, secondo i principi
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motiva, sia nel dispositivo vero e proprio, ad uno specifico. motivo di

generali in tema di processo tributario, sin dal ricorso introduttivo (Cass. nn.
25676 del 2008, 24060 del 2014).
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida
in €. 8000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma il 13 febbraio 2015.

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