Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15292 del 25/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 25/07/2016, (ud. 13/04/2016, dep. 25/07/2016), n.15292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25982/2011 proposto da:

M.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO MICHELON;

– ricorrente –

contro

C.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIANOMENTANA NUOVA 117, presso lo studio dell’avvocato ANNA

CASTAGNA, rappresentato e difeso dagli avvocati GIOVANNA ROSSETTO,

LUIGI CICCARESE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1705/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/08/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato Di Pierro Nicola difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Ciccarese Luigi difensore del controricorrente che si

riporta alle difese depositate;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

C.A. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Padova M.A..

L’attore esponeva che il convenuto, proprietario di fondo finitimo al suo in (OMISSIS), pretendeva di essere proprietario di tutto il fossato fra i due terreni, delimitati – invece – dalla linea di mezzeria del fosso.

Chiedeva, quindi, l’attore che fosse accertato il confine fra i fondi.

Il convenuto contestava la domanda attorea, di cui chiedeva il rigetto, e formulava domanda riconvenzionale al fine di accertare che la linea di confine fra i due fondi corrispondeva al ciglio del fosso posto verso la proprietà C., nonchè per il risarcimento del danno per i manufatti abusivi realizzati dall’attore.

L’adito Tribunale, con sentenza n. 1201/2003, dichiarava che la linea di confine fra i fondi passava lungo la linea mediana del fosso, rigettava la domanda riconvenzionale e compensava le spese di lite.

La decisione era appellata in via principale dal M. ed in via incidentale dall’appellato.

L’adita Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 1705/2010, in parziale riforma della gravata decisione, condannava l’appellato a pagare all’appellante la somma di Euro 1.500,00 (a titolo di danno) per aver dovuto subire la costruzione abusiva di manufatti dell’appellato per cinque ani, nonchè l’appellante al rilascio della metà del fosso da lui illegittimamente occupato, disponendo apposizione dei termini sulla linea mediana del fosso, compensando parzialmente le spese del grado e condannando l’appellante al pagamento della rimante parte di due terzi in favore dell’appellato.

Per la cassazione della suddetta sentenza della Corte territoriale ricorre il M. con atto affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso il C..

Nell’approssimarsi dell’udienza ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il M..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio violazione e/o falsa applicazione di norme di legge in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in particolare dell’art. 950 c.c., nella sua consolidata interpretazione giurisprudenziale.

Parte ricorrente contesta, col motivo qui in esame, l’affermazione del Giudice di secondo grado secondo cui “non era stato formulato alcun motivo di appello relativamente al capo della sentenza con cui il tribunale” aveva accertato la linea di confine.

Il motivo è del tutto infondato.

Parte ricorrente parla di “consolidata interpretazione giurisprudenziale”, ma non allega – come doveva – nè specifica in che modo la Corte territoriale non avrebbe pronunciato secondo conforme giurisprudenza di questa Corte in tema di acquiescenza parziale e/o impropria dei capi di sentenza, nè adduce valide ragioni per mutare eventualmente un orientamento.

Nel contempo deve evidenziarsi che l’impugnata sentenza, facendo corretto uso delle norme e dei principi nella fattispecie applicabili, ha dato conto con motivazione immune da vizi logici riscontrabili in questa sede della disposta ed oggi lamentata inammissibilità dell’appello.

A seguito, infatti, della decisione di primo grado (che già aveva accertati come la linea di confine catastale fra i fondi per cui è causa passava sulla linea mediana che divideva i fondi) nessun motivo di gravame era stato formulato.

Non vi era, quindi, impugnazione sul detto capo della sentenza appellata.

Pertanto il motivo dell’odierno ricorso in esame è infondato e va respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione e/o mancata applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 1165 e 2943 c.c., ed insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero relativamente all’apposizione della recinzione quale esplicito indice della volontà del C. di delimitazione della proprietà e circa l’attività del M. di acquisizione del diritto di proprietà.

Il motivo, con prospettazione di duplice serie di vizi (di violazione di legge e carenza motivazionale) investe – nella sostanza – una valutazione che attinge pienamente alla valutazione del fatto e che risulta essere stata già svolta compiutamente nella competente sede innanzi al Giudice del merito.

Giova, all’uopo, rammentare che “il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile in mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. SS.UU. 11 giugno 1998, n. 5802).

In ogni caso la mera inerzia del proprietario a seguito di apposizione di recinzione non comporta ispo facto l’occupazione altrui e la conseguente invocata usucapione (specie al cospetto della risultante e significativa circostanza – evidenizata nella gravata decisione – che “fin dal 1969” ognuno dei proprietari provvedeva a pulire e manutenere la metà del fosso adiacente la rispettiva proprietà).

Il motivo, siccome infondato, deve, quindi, essere repsinto.

3.- Con il terzo motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per insufficiente e/o errata motivazione su un punto essenziale della controversia ovvero circa la sussistenza e dimostrazione dei danni subiti dal M..

Con il motivo si indende, nella sostanza, ridiscutere la sussistenza e la dimostrazione (e quindi l’entità) dei danni riconosciuti al M..

Il motivo attiene ad una mera valutazione, in fatto, già adeguatamente svolta dalla Corte distrettuale e si sostanzia in una generica istanza di revisione di quanto già valutato in sede di merito.

Per di più e conclusivamente va riaffermato il principio per cui “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito emerga una totale obliterazione di elementi” (Cass. civ., S.U., Sent. 25 ottobre 2013 n. 24148).

Nè, d’altra parte, “il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, può equivalere e risolversi nella revisione del “ragionamento decisorio” (Cass. civ., Sez. L., Sent. 14 novembre 2013, n. 25608).

Il motivo è, dunque, inammissibile.

4.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricordo deve essere rigettato.

5.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

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