Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15287 del 25/07/2016


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Cassazione civile sez. un., 25/07/2016, (ud. 19/04/2016, dep. 25/07/2016), n.15287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27472-2015 proposto da:

N.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI

11, presso lo studio dell’avvocato RENATO TOBIA, che la rappresenta

e difende, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, CONSIGLIO

DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MESSINA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 149/2015 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 24/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2016 dal Consigliere Dott. BIAGIO VIRGILIO;

udito l’Avvocato Renato TOBIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’avv. N.V. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Consiglio nazionale forense n. 149 del 2015, depositata il 24 settembre 2015, con la quale e’ stata confermata la sentenza del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Messina del 3 novembre 2010, che aveva inflitto alla ricorrente la sanzione disciplinare dell’avvertimento per violazione dell’art. 5 del codice deontologico forense.

In particolare, l’avv. N., sottoposta a procedimento disciplinare per violazione degli artt. 5, 6, 7 e 38 del detto codice deontologico a seguito di esposto presentato da P.G., il quale sosteneva di averle conferito l’incarico di impugnare dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Messina una cartella di pagamento e di aver poi scoperto che nessun ricorso era stato proposto, era stata assolta dal COA di Messina dalle incolpazioni relative agli artt. 6, 7 e 38 del CDF (non essendo risultato sufficientemente provato l’effettivo conferimento di specifico mandato ad impugnare la detta cartella), mentre era stata ritenuta colpevole della violazione dell’art. 5 del codice medesimo, relativo ai doveri di probita’, dignita’ e decoro.

Il CNF, con la sentenza impugnata, ha ritenuto: a) infondate le eccezioni preliminari di nullita’ del procedimento disciplinare, per mancanza del preliminare accertamento dell’avvenuta rituale convocazione di tutti i componenti del COA e per la presenza, nel Collegio giudicante che ha deliberato la sanzione, di sette consiglieri assenti nella precedente udienza: la prima perche’ il funzionamento del COA, organo amministrativo imperfetto, si basa sul principio del quorum, con la conseguenza che l’eventuale vizio di convocazione e’ sanato dalla partecipazione all’adunanza di un numero di consiglieri sufficiente; la seconda perche’, essendo appunto il COA un organo amministrativo, non e’ ad esso applicabile il principio della immutabilita’ del collegio giudicante; b) non conforme ai principi di cui al citato art. 5 cod. deont., con conseguente compromissione dell’immagine dell’avvocatura, il comportamento della ricorrente, essendosi ella ripetutamente sottratta, in base alle testimonianze assunte, alle richieste di chiarimenti in ordine all’incarico che il P. assumeva di averle conferito.

2. Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Messina e il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione non si sono costituiti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente eccepisce la prescrizione dell’azione disciplinare, ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 56.

Sostiene che la nuova disciplina ha sostituito la precedente (contenuta nel R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 51), stabilendo che la prescrizione matura al massimo entro 7 anni e sei mesi dal fatto, e va applicata ai procedimenti pendenti, in quanto piu’ favorevole, in forza degli artt. 25 e 111 Cost., art. 2 cod. pen. e art. 6 della CEDU. Il motivo e’ infondato.

Secondo il consolidato orientamento di queste sezioni unite, infatti, in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, la L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 65, comma 5, nel prevedere, con riferimento alla nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, che le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se piu’ favorevoli per l’incolpato, riguarda esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e del nuovo codice deontologico: ne consegue che per l’istituto della prescrizione, la cui fonte e’ legale e non deontologica, resta operante il criterio generale dell’irretroattivita’ delle norme in tema di sanzioni amministrative, sicche’ e’ inapplicabile lo ius superveniens introdotto con l’art. 56 della L. n. 247 cit. (Cass., sez. un., nn. 11025 del 2014, 14905, 23364 e 23836 del 2015, 9138 del 2016).

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la “nullita’ o annullabilita’” del procedimento di primo grado, per gli asseriti vizi nella convocazione e composizione del COA esclusi dalla sentenza impugnata.

La censura e’ infondata.

Premesso che, in tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, la censura di irregolare composizione del Consiglio dell’ordine per mancata rituale convocazione di tutti i membri dello stesso, ove la relativa eccezione non sia gia’ stata sollevata nel corso del procedimento disciplinare dinanzi al medesimo Consiglio dell’ordine, non puo’ essere dedotta, come motivo di impugnazione, dinanzi al Consiglio nazionale forense (ne’, tanto meno, per la prima volta, dinanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione) (Cass., sez. un., nn. 10071 e 11564 del 2011), va ribadito, in ogni caso, che le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli territoriali dell’ordine degli avvocati e il relativo procedimento rivestono natura amministrativa e non giurisdizionale, con le conseguenze che ne ha tratto il CNF in ordine alla disciplina procedimentale applicabile (tra altre, Cass., sez. un., nn. 28339 del 2011, 23540 del 2015, 9138 del 2016; specificamente, sulla inapplicabilita’ del principio della immutabilita’ del collegio giudicante, v. Cass. nn. 21585 del 2011 e 5995 del 2012).

3. Col terzo motivo, infine, e’ denunciata “contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione”; e’ dedotto, in sintesi, che la sanzione e’ stata irrogata per circostanze estranee al capo di incolpazione, avendo la ricorrente dimostrato di non aver ricevuto alcun mandato dal P..

La censura e’ inammissibile.

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 (convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione: pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., nn. 8053 del 2014, 21216 del 2015).

Tali vizi non sono riscontrabili nella decisione impugnata.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese.

5. Sussistono, infine, i presupposti per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

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