Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15286 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15286 Anno 2015
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: VIRGILIO BIAGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro
LEASYS s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in Roma, via XXIV Maggio n. 43, presso gli
avv.ti Paolo Puri e Alberto Mula, che la rappresentano e difendono giusta
delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte ci cassazione n. 6049/13, depositata 1’11
marzo 2013.

Data pubblicazione: 21/07/2015

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’ 11 febbraio
2015 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;
uditi l’avvocato dello Stato Mario Capolupo per la ricorrente e l’ avv.
Alberto Mula per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Paola
Mastroberardino, il quale ha concluso per l’ accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto

artt. 391 bis e 395, n. 4, cod. proc. civ., avverso la sentenza della Corte di
cassazione indicata in epigrafe, con la quale è stato rigettato il ricorso
dell’Agenzia contro la sentenza della CTR del Lazio del 16 febbraio 2010,
la quale aveva a sua volta respinto l’appello dell’Ufficio e confermato
l’applicabilità dell’IRAP, nei confronti della Leasys s.p.a., con l’aliquota del
4,25 per cento per l’anno 2002, riconoscendo quindi il diritto della
contribuente al rimborso di quanto versato in eccedenza, con l’aliquota del
5,25 per cento, alla Regione Lazio.
2. La Leasys s.p.a. resiste con controricorso.
Considerato in diritto
1. La ricorrente sostiene che la sentenza impugnata è incorsa in un errore
di percezione, rientrante come tale nella previsione dell’art. 395, primo
comma, n. 4, cod. proc. civ., là dove ha ritenuto applicabile alla fattispecie
in esame – concernente l’istanza della contribuente di rimborso dell’IRAP
versata nel 2002 in favore della Regione Lazio con l’aliquota del 5,25 per
cento, anziché con quella, asseritamente corretta, del 4,25 per cento – la
disciplina dettata dall’art. 3, comma 1, lettera a), della legge n. 289 del
2002, che ha disposto, in determinati casi, la sospensione delle
maggiorazioni dell’aliquota dell’IRAP deliberate dalle regioni ai sensi
dell’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997.
In particolare, l’errore consisterebbe nell’aver ritenuto sussistente il
requisito temporale previsto dal citato art. 3 ai fini dell’operatività della
sospensione, e cioè l’avvenuta deliberazione della maggiorazione, da parte
della Regione Lazio, “successivamente al 29 settembre 2002”, circostanza
pacificamente esclusa dagli atti di causa, in quanto la legge regionale in
esame (n. 34 del 2001) è entrata in vigore nel gennaio 2002.
2. Il ricorso è inammissibile.
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1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per revocazione, ai sensi degli

La sentenza revocanda è pervenuta al rigetto del ricorso dell’Agenzia
delle entrate attraverso il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 5867 del
2012, al cui orientamento ha prestato adesione, concernente analoga
controversia relativa alla normativa emanata dalla Regione Veneto, ed ha
concluso affermando che “identico ragionamento opera in riferimento alla
legge regionale del Lazio 34/2001”.
2.2. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’errore di

primo comma, n. 4, cod. proc. civ., consiste nell’erronea percezione degli
atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è
incontrastabilmente esclusa, oppure nella supposizione dell’inesistenza di un
fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto oggetto
dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la
sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato: tal genere di errore
presuppone, quindi, il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso
oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti
processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto
di supposizione, e non di valutazione o di giudizio, e, dall’altro, quella
risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti. Il
suddetto errore inoltre non può riguardare la violazione o falsa applicazione
di norme giuridiche; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della
semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e
gli atti o documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o
di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel
senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la
decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la
pronunzia sarebbe stata diversa.
Si è ulteriormente precisato che l’errore deve risolversi esclusivamente in
un vizio di assunzione del “fatto” – che può consistere anche nel contenuto
degli atti processuali oggetto di cognizione del giudice, quali la sentenza
impugnata o gli atti di parte -, e non in errori di criterio nella valutazione ed
interpretazione del fatto, che attengano, cioè, alla valutazione degli atti
sottoposti al controllo del giudice, i quali siano stati correttamente percepiti,
configurandosi l’errore, in tali casi, in un vizio di ragionamento sui fatti
assunti o in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali
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fatto, che può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395,

qualificabile come errore di giudizio, quando i fatti segnalati abbiano
formato oggetto di esatta rappresentazione e poi di discussa valutazione (tra
le tante, Cass., sez. un., nn. 5303 del 1997, 26022 del 2008, 13181 del 2013;
nonché Cass. nn. 4708 del 1999, 2478 del 2006, 17443 del 2008, 16136 del
2009, 22868 del 2012, 22569 del 2013, 4456 del 2015).
2.3. Orbene, è decisivo rilevare che nella fattispecie in esame l’errore
prospettato dalla ricorrente non può che rientrare, in ipotesi, in quelli relativi

categoria, esclusa dalla portata applicativa degli artt. 391 bis e 395, primo
comma n. 4, cod. proc. civ., degli errores iuris.
Dalla lettura della sentenza risulta, infatti, con evidenza che il Collegio è
pervenuto alla decisione attraverso un’attività di interpretazione della
disciplina legislativa, e cioè di giudizio, ritenendo che la ratio decidendi
adottata in una precedente pronuncia sulla stessa materia fosse applicabile
anche alla fattispecie sottoposta al suo esame, come chiaramente emerge
dall’affermazione, la quale esprime una tipica valutazione giuridica,
secondo cui “identico ragionamento opera in riferimento alla legge
regionale del Lazio” oggetto di discussione.
3. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
4. E’ inapplicabile l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al

d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in quanto è ricorrente l’Agenzia delle entrate
(Cass., sez. un., n. 9938 del 2014).
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle
spese, che liquida in €. 3800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma 1’11 febbraio 2015.

alla violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, cioè nella

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