Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15285 del 21/07/2015
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15285 Anno 2015
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: CRUCITTI ROBERTA
SENTENZA
sul ricorso iscritto proposto da:
AA presso lo studio dell’Avv.Prof.Livia
Salvini
che la rappresenta e difende unitamente
all’Avv.Prof.Giuseppe Vanz.
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate,
tempore,
rappresentata
in persona del Direttore pro
e
difesa
dall’Avvocatura
Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via
dei Portoghesi n.12 è elettivamente domiciliata.
Data pubblicazione: 21/07/2015
,.
-controricorrente-
avverso la sentenza n.16/14/08 della Commissione
Tributaria Regionale del Piemonte, depositata il
16.3.2009;
udienza del 15.1.2015 dal Consigliere Dott.Roberta
Crucitti;
udito per la ricorrente l’Avv.Giuseppe Vanz;
udito per la controricorrente l’Avv.Maria Pia Camassi;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale dott.Maurizio Velardi, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Nella controversia relativa all’impugnazione degli avvisi con i quali
l’Amministrazione finanziaria aveva accertato a carico della AA, maggiori irpeg ed irap per gli anni 2002 e 2003, per non avere la
contribuente indicato separatamente nelle dichiarazioni dei redditi i costi relativi ad
operazioni commerciali intrattenute con imprese di Singapore (Paese a fiscalità
privilegiata), la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, con la sentenza
in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di primo grado sfavorevole alla
contribuente, ha rideterminato le sanzioni nella misura prevista dal comma 3 bis
dell’art.8 del d.lgs. 471/97 come da modifiche apportate dalla legge n. 296/2006.
In particolare, il Giudice di appello, riconosciuta come dimostrata
l’effettività ed economicità delle operazioni e dato atto dello ius superveniens
2
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
costituito dai commi 301, 302 e 303 dell’art I. della legge n.296/2006, riteneva che
per le operazioni pregresse l’innovazione legislativa avesse portata retroattiva,
come letteralmente previsto dalla norma, solo per il regime sanzionatorio e non
anche in ordine al nuovo regime di deducibilità dei costi.
Conseguentemente la Commissione regionale riteneva non applicabile la
validità alla dichiarazione integrativa presentata dalla contribuente dopo che la
stessa ed una sua consorella avevano subito un accesso da parte
dell’Amministrazione finanziaria ed, invece, applicabile la sanzione del 10%
dell’importo complessivo delle spese non indicate separatamente ai sensi dell’art.
8, comma tre bis, del d.lgs. n.471/97.
Avverso la sentenza la Società ha proposto ricorso per cassazione affidato
a quattro motivi, ulteriormente illustrato con memoria depositata ex art.378 c.p.c.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La Società ha depositato note di udienza in replica alle conclusioni del P.G.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con il primo motivo —rubricato: violazione dell’art.2, comma 8, del d.p.r
n.322/1998, la ricorrente deduce l’errore in cui sarebbe incorso il Giudice di
appello nel ritenere che la mancata indicazione dei costi, in questione, potesse
essere emendabile mediante presentazione di apposita dichiarazione integrativa, ma
soltanto fino a che non fossero iniziati accessi, ispezioni o verifiche nei suoi
confronti. Secondo la prospettazione difensiva, la norma invocata, infatti, non
prevede quale condizione di applicabilità l’assenza di accessi, ispezioni o verifiche.
2.In subordine, con il secondo motivo si deduce la violazione della
medesima norma sotto il diverso profilo concernente il solo periodo di imposta
3
sanzione fissa di cui all’art. 8, comma 1 del d.lgs.n.417/97 non potendo attribuirsi
2003, rispetto al quale la Società aveva presentato la dichiarazione integrativa
prima dell’inizio della verifica nei suoi confronti, avvenuta il giorno successivo.
In particolare, secondo la ricorrente la statuizione del Giudice di appello,
secondo cui la dichiarazione integrativa relativa al 2003 sarebbe invalida in quanto
presentata dopo l’inizio di una verifica nei confronti di altra società (Corteco s.r.1.)
s.p.a., non solo era priva di ogni fondamento giuridico ma addirittura in
contraddizione con l’asserita preclusione derivante dall’inizio di accessi, ispezioni
o verifiche.
I motivi sono infondati. Nella specifica materia, questa Corte (n.5398/12
richiamata integralmente da Cass.n. ri 20081/2014; 5670/14, 11158/2014,
2612/2015; 4030/2015) è ferma nel ritenere che “dopo la contestazione della
violazione è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione, essendo indubbio che,
ove fosse possibile procedere alla correzione della dichiarazione dei redditi sino al
momento dell’accertamento definitivo del maggior reddito, la correzione stessa
cesserebbe di essere un rimedio accordato dal legislatore per ovviare ad un errore
del contribuente per trasformarsi in un mezzo elusivo delle sanzioni predisposte dal
legislatore per l’inosservanza delle disposizioni relative alla compilazione delle
dichiarazioni dei redditi e ciò anche alla luce del principio, di carattere generale,
espresso dalla Corte Costituzionale con ordinanza n.392/2002.
La ricorrente, facendo leva, in memoria ex art.378 c.p.c., sulle prime di
dette pronunce e sul dato testuale delle stesse -le quali fanno tutte riferimento,
quale termine oltre il quale non sarebbe consentita la presentazione della
dichiarazione integrativa alla
“contestazione della violazione”- ritiene che il
principio così affermato, per il quale, secondo la prospettazione difensiva,
4
facente parte dello stesso gruppo di cui faceva parte anche la AA
costituirebbe causa ostativa all’emenda la notificazione al contribuente dell’atto
con cui viene contestata la violazione cioè il processo verbale di constatazione
della Guardia di Finanza o dell’Agenzia delle Entrate, palesa la fondatezza del
motivo di ricorso. Ciò in quanto, è incontestato che la Società presentò la
dichiarazione integrativa per il periodo di imposta 2003, il 5.5.2005 e il successivo
constatazione venne notificato il successivo 25 maggio 2015 e gli avvisi di
accertamento in data 20.9.2005.
La prospettazione difensiva non può essere condivisa. Questa Corte, già
con la sentenza n.24929/2013, ha avuto modo, condividendo il principio affermato
da prima da Cass.n.5398/12, di evidenziare che “lo stesso raccorda la facoltà di
emenda della dichiarazione prevista dall’art.2 comma 8 e 8 bis d.p.r. 22.7.1998
n.322 (nel testo introdotto dal d.pr 7.12.2001 n.435) all’esercizio del ravvedimento
operoso in tema di illeciti fiscali, consentito al contribuente dall’art.13 comma 1
dlgs n.472/1997 “semprechè la violazione non sia stata già constatata e comunque
non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamento delle
quali l’autore od i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale
conoscenza…”, atteso che la relazione tra le due norme …non si pone in termini di
successione delle norme nel tempo (in considerazione del differente oggetto della
disciplina dettata da ciascuna di esse), ma in termini di coordinamento e , dunque,
venendo in questione un tipico problema di interpretazione sistematica del
complesso normativo”.
Si è, infatti, condivisibilmente ritenuto che la peculiare fattispecie -in cui
l’inosservanza dell’adempimento formale (indicazione separata nella dichiarazione
dei costi deducibili rinvenienti da operazioni sospette) impediva (prima della
5
10.5.2005 per il periodo di imposta 2002 laddove il processo verbale di
novella introdotta della legge n. 29672006, art.1 commi 302 e 303 per come si
specificherà meglio infra) il perfezionamento della stessa fattispecie costituiva del
diritto alla deduzione di tali spese, con la conseguenza che la deduzione operata
nella dichiarazione integrava oggettivamente una evasione di imposta- è del tutto
diversa dalle situazioni contemplate dall’art.2 comma 8 (integrazione dei dati della
dichiarazione a favore del contribuente) in cui la modifica apportata con la
dichiarazione integrativa non interviene a completare con effetto ex nunc la
fattispecie costitutiva del diritto che il contribuente intende far valere nei confronti
della P.A., ma viene ad incidere esclusivamente con il quantum dei rispettivi
crediti e debiti sussistenti al momento della presentazione della dichiarazione
(Cass. n.24929/2013 cit.).
In tale ottica, pertanto, non è applicabile il principio di diritto secondo cui
in tema di imposte sui redditi, la possibilità per il contribuente di emendare la
dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto, incidenti sull’obbligazione
tributaria, ma pur sempre di carattere meramente formale, è esercitabile anche in
sede contenziosa ed anche oltre il termine previsto per l’integrazione della
dichiarazione.
Nel condividere le superiori argomentazioni, il Collegio ritiene, altresì, di
ribadire che l’ammissibilità della possibilità di emenda “ex post” allo stesso
accesso, ispezione, verifica e quant’altro, si porrebbe in manifesto contrasto oltre
che con il principio di effettività della sanzione (venendo ad elidere lo stesso
esercizio del jus puniendi della P.A.) anche con i principi di efficienza e buon
andamento della Amministrazione finanziaria ex art.97 Cost. in quanto verrebbe a
vanificare le attività ispettive e di controllo svolte dagli Uffici finanziari,
6
dichiarazione a favore dell’Erario) e comma 8 bis (rettifìca dei dati della
demandando al contribuente la scelta di evidenziare o meno nella dichiarazione
fiscale i costi relativi ad operazioni indicate dal Legislatore come altamente
sospette in relazione alla tipologia dei soggetti esteri con le quali vengono
intrattenute, consentendo di sanare ex post la “irregolarità” mediante presentazione
di una dichiarazione integrativa, ” secundum eventum inspectionis” con evidenti
dei controlli.
Alla luce di quanto esposto, allora, non appare revocabile in dubbio
l’inammissibilità e l’inidoneità allo scopo non solo della dichiarazione integrativa
presentata dalla Società per l’anno di imposta 2002, non motu proprio, ma il 10
maggio 2005 e cioè ad accesso già iniziato ed a ridosso della notificazione del
processo verbale di constatazione, ma anche di quella relativa all’anno di imposta
2003, presentata, per come è incontestato, prima dell’inizio della verifica nei
confronti della contribuente, ma dopo l’inizio di uguale controllo fiscale ai danni
di altra Società (Corteco s.r.1.) facente parte dello stesso gruppo.
Ed invero -a fronte dell’accertamento in fatto (non contrastato dalla
ricorrente) compiuto dal Giudice di appello sulla sussistenza in capo all’odierna
ricorrente, di una conoscenza intervenuta indirettamente (dovuta al controllo
effettuato ai danni della società del medesimo gruppo) -soccorrono nel senso
dell’inammissibilità di emenda anche per tale anno di imposta, le medesime ragioni
sopra svolte, ovvero l’impossibilità, nella particolare fattispecie -attesa la ratio
antielusiva della norma in oggetto e la sua finalizzazione ai controlli- di
trasformare un rimedio accordato al contribuente per ovviare ad errori in un mezzo
elusivo delle sanzioni. E ciò, anche in ossequio ed alla luce del principio di buona
fede, rinvenibile nell’art.10 della legge n.212/2000 ed il cui vincolo opera anche
7
effetti pregiudizievoli sullo scopo antielusivo della norma e sulla stessa efficacia
nei confronti del contribuente.
3) Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione detrarli, commi
301-303 della legge n.296 in relazione all’art.360 comma 1, n.3 c.p.c. per avere la
C.T.R. ritenuto applicabile lo ius superveniens costituito dalle norme indicate in
rubrica ma solo con riguardo al regime sanzionatorio mentre, secondo la
sistematico, deve ritenersi riguardare anche gli aspetti sostanziali (ovvero la
deducibilità dei costi) .
La ricorrente, poi, deduce che, così interpretata la portata retroattiva della
novella, il comma 303 il quale prevede l’irrogazione della nuova sanzione (pari al
10% dei costi) ferma restando l’applicazione della sanzione di cui all’art.8 comma
1 del d.lgs. n.471/1997 appaia anomalo in quanto sanziona un medesimo fatto
(l’omessa separata indicazione in dichiarazione) due volte con contestuale
applicazione di una norma punitiva generale (art.8, comma 1) e di una norma
punitiva che, rispetto alla precedente si pone in rapporto di specialità, sia per
contenuto che per collocazione.
Con la conseguenza, secondo la prospettazione difensiva, che nella specie, -in
applicazione del principio di legalità di cui all’art.3, comma 1 del d.lgs.
n.472/1997 -essendo la sanzione prevista dal comma 302 del tutto nuova, alle
operazioni effettuate antecedentemente debba applicarsi la sola sanzione prevista
dal comma I dell’art.8 (in misura fissa) più favorevole per il contribuente.
4.In ultimo subordine, la ricorrente -nell’ipotesi in cui questa Corte nel
respingere il terzo motivo ritenesse che la lettura combinata delle norme depone nel
senso di rendere applicabile al passato il nuovo regime nella sua interezza e quindi
non solo la deducibilità dei costi blacklist ma anche la sanzione del 10% dei costi
8
prospettazione difensiva, la retroattività della novella, per ragioni di ordine
nel caso di omessa separata indicazione in dichiarazione- chiede che la sentenza
impugnata venga confermata nella parte in cui ha irrogato la sanzione del 10% ed
invece cassata nella parte in cui ha omesso di annullare il recupero di imposta.
4.1 motivi, connessi, possono trattarsi congiuntamente
4.1.Nella versione in vigore sino al 31 dicembre 2003, l’art. 76 d.p.r.
componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed
imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione
europea aventi regimi fiscali privilegiati. …
7-ter. Le disposizioni di cui al comma 7-bis non si applicano quando le
imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono
prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste
in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno
avuto concreta esecuzione)). … La deduzione delle spese e degli altri componenti
negativi di cui al comma 7-bis è comunque subordinata alla separata
indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti …”.
In termini perfettamente identici si esprime, ai commi 10 e 11, l’art. 110
d.p.r. 917/1986, nel testo in vigore dal 1 gennaio 2004 all’ l gennaio 2007.
Le norme vigenti sino al 31 dicembre 2006, dunque, sancivano
l’indeducibilità dei costi scaturenti da operazioni intercorse con soggetti residenti
in Stati o territori a finalità privilegiata (cd. Paesi black list), ove non risultasse
provato che i contraenti esteri svolgevano effettiva attività commerciale ovvero che
le operazioni poste in essere rispondevano ad un effettivo interesse economico ed
avevano avuto concreta esecuzione e, in ogni caso, ove i costi non fossero stati
separatamente indicati in dichiarazione.
9
91771976 recita: “.. 7-bis. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri
Con decorrenza dall’i gennaio 2007, l’art. 1, comma 301, 1. 226/2006
(finanziaria 2007) ha modificato il testo dell’art. 110 d.p.r. 917/1986, nella parte
rilevante ai fini della presente controversia, nei termini seguenti: “10. Non sono
ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da
operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in
privilegiati….
Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese
residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono
prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni
poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse
hanno avuto concreta esecuzione. Le spese e gli altri componenti negativi
deducibili ai sensi del primo periodo sono separatamente indicati nella
dichiarazione dei redditi …”.
Il contestuale art. 1, comma 302, 1. 226/2006 ha, poi, sancito: “All’articolo
8 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, dopo il comma 3 è aggiunto il
seguente: “3-bis. Quando l’omissione o incompletezza riguarda l’indicazione delle
spese e degli altri componenti negativi di cui all’articolo 110, comma li, del
testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applica una sanzione amministrativa pari
al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non
indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di euro 500 ed un massimo
di euro 50.000”.
Per la normativa entrata in vigore l’ l gennaio 2007, dunque, la deducibilità
dei costi scaturenti da operazioni intercorse con soggetti residenti in Paesi cd.
10
Stati o territori non appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali
“Black list” risulta subordinata solo alla prova dell’operatività dell’impresa estera
contraente e dell’effettività della transazione commerciale. La separata indicazione
in dichiarazione dei costi suddetti è degradata, invece, da presupposto sostanziale
di relativa deducibilità ad obbligo di carattere formale (a garanzia, evidentemente,
delle esigenze di controllo degli uffici finanziari), passibile di corrispondente
Sul tema in rassegna, l’art. 1 I. 226/2006, al comma 303, ha, infine,
ulteriormente disposto in via transitoria: “303. La disposizione del comma 302 si
applica anche per le violazioni commesse prima della data di entrata in vigore
della presente legge, sempre che il contribuente fornisca la prova di cui all’articolo
110, comma 11, primo periodo, del citato testo unico delle imposte sui redditi.
Resta ferma in tal caso l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 8,
comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471”.
Così delineata l’evoluzione del quadro normativo di riferimento, dirimente
ai fini della soluzione della presente controversia si rivela stabilire se la retroattività
della normativa innovativa sia circoscritta alla disciplina sanzionatoria o coinvolga,
invece, anche il profilo dell’abolizione della regime di assoluta indeducibilità dei
costi non separatamente indicati in dichiarazione.
In tale prospettiva, il dato letterale, sembrerebbe escludere la retroattività
della sopravvenuta eliminazione del previgente regime d’indeducibilità, se non
separatamente indicati in dichiarazione, dei costi scaturenti da operazioni
intercorse con soggetti residenti e fiscalmente domiciliati in Stati o territori “a
fiscalità privilegiata”; regime incontrastamente sancito dalla norme succedutesi
sino al 31 dicembre 2006.
Indicativa è, al riguardo, la circostanza che la disposizione transitoria di cui
11
sanzione amministrativa.
all’art. 1, comma 303, 1. 296/2006 attribuisce, in termini testuali, portata retroattiva
esclusivamente al precedente comma 302, che dispone in tema di sanzioni, e non
anche al comma 301, introducente l’eliminazione (peraltro con esplicito
riferimento alla sola previsione dell’art. 110 d.p.r. 917/1986 e non anche alla
corrispondente disposizione ancora precedentemente vigente) del regime
La soluzione non risulta, d’altro canto, inconciliabile, in termini assoluti,
con il dato sistematico; la limitazione della retroattività al solo nuovo regime
sanzionatorio può infatti, in tale ottica, trovare una propria autonoma e coerente
giustificazione nella finalità, evidenziata dall’Agenzia, di anticipare – fermo
restando il regime d’indeducibilità dei costi non separatamente dichiarati – almeno
l’operatività del nuovo sistema sanzionatorio, ispirato al sopravvenuto
riconoscimento del carattere meramente formale della violazione, sostituendolo, in
via di applicazione retroattiva, a quello previgente (cfr. art. 1 d.lgs. 471/1997)
correlato alla natura sostanziale, in allora, riconosciuta alla violazione.
Tanto premesso, al Collegio appare, ciò non pertanto, condivisibile
l’orientamento di recente espresso da questa Corte (Cass. n.ri 4030/2015;
6205/2015 e 9950/2015) il quale ha rivisitato l’orientamento precedente (cfr.
Cass. nn.20081/14, 5398/12) che si era espresso nel senso dell’irretroattività
dell’abolizione del regime di assoluta indeducibilità dei costi non separatamente
indicati in dichiarazione.
Per quanto riguarda la disciplina “a regime”, invero, le innovazioni
apportate dalla 1. 296/2006 alla normativa in tema di deducibilità di costi inerenti
ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Paesi a fiscalità
privilegiata sottende, indubitabilmente, l’intenzione di trovare un punto di
12
d’indeducibilità dei costi in rassegna se non separatamente indicati.
equilibrio meno gravoso per il contribuente, rispetto a quello precedentemente
definito, nel contemperamento dell’interesse del contribuente medesimo a poter
dedurre i costi effettivamente sostenuti, seppur nell’ambito di operazioni intercorse
con soggetti operanti in aree fiscalmente sospette, con l’interesse erariale a veder
assicurata, in relazione ai costi riferiti ad operazioni obiettivamente suscettibili di
ritenuto di poter raggiungere, trasformando la separata indicazione in dichiarazione
dei costi in oggetto, da presupposto di deducibilità dei costi medesimi, in obbligo
dichiarativo amministrativamente sanzionato; in tal modo coniugando la
deducibilità dei costi che il contribuente dimostri effettivi ed inerenti,
indipendentemente dalla relativa separata indicazione in dichiarazione, con il
mantenimento, a fini di controllo (seppur con effetti più circoscritti), dell’obbligo
d’indicazione separata in dichiarazione.
La ratio dell’innovazione legislativa “a regime” — aderente, peraltro, ai
canoni costituzionali della capacità contributiva e dell’uguaglianza tributaria — si
proietta inevitabilmente sulla relativa disciplina transitoria e, facendo aggio sul
dato testuale, induce a leggerla nel senso dell’estensione dell’applicazione
retroattiva anche all’abolizione della regime di assoluta indeducibilità dei costi non
separatamente indicati in dichiarazione.
Peraltro, pur nella grave ambiguità del complessivo contesto normativo,
dato a conforto della soluzione qui prescelta sembra cogliersi nell’ultima
proposizione dell’art. 1, comma 303, 1. 296/2006, che — in esito all’affermazione
dell’efficacia retroattiva della sanzione di cui all’art. 8, comma 3 bis, d.lgs.
471/1997, introdotto dal precedente comma 302, in ipotesi di mancata indicazione
separata dei costi black list tuttavia comprovati nella loro effettività — recita: “Resta
13
ragionevole sospetto, un’efficace azione di controllo. Punto di equilibrio che si è
ferma in tal caso l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 8, comma 1, del
decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471”.
La norma prevede indubitabilmente, per le sole violazioni dell’obbligo di
separata indicazione riferibili a situazioni di diritto transitorio, il cumulo della
sanzione proporzionale del 10% (entro limiti prescritti), disposta dal sopravvenuto
1 dell’art. 8 d.lgs. 471/1997 e, trovando ragion d’essere solo sul presupposto
dell’estensione della retroattività anche all’abolizione del previgente regime
d’indeducibilità, la legittima a sua volta, finendo, così, con il costituire clausola di
chiusura dell’intera disciplina.
Considerata la maggior gravità per il contribuente del previgente regime di
radicale indeducibilità e, altresì, della sanzione di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs.
471/1997 ad esso ricollegabile, la norma non viola, d’altro canto, il principio di
legalità. Né, per effetto della stessa previsione normativa, può, per le situazioni di
diritto transitorio, evocarsi il criterio di specificità (cosi Cass.n.4030/2015 e
Cass.n.9950/I5) .
5. Da quanto sin qui esposto consegue che, rigettato anche il terzo motivo
ed in accoglimento del solo quarto, la sentenza impugnata va cassata nel capo in
cui non ha ritenuto indeducibili i costi. La controversia va, quindi, rimessa al
Giudice di merito, affinché, alla luce dei superiori principi, proceda al riesame oltre
che a regolare le spese di lite.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri,
cassa la sentenza impugnata, nei limiti di cui in motivazione, e rinvia, anche per il
regolamento delle spese, ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale
14
comma 3 bis, con la sanzione, definita nel minimo e nel massimo, di cui al comma
del Piemonte.
Così deciso in Roma, il 15.1.2015.