Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15285 del 12/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 12/07/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 12/07/2011), n.15285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via Carlo Poma

n. 2, presso lo studio dell’Avv. Assennato Giuseppe Sante, che lo

rappresenta e difende come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (INPS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma,

Via della Frezza 17 presso l’Avvocatura Centrale dello stesso

Istituto, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti

Riccio Alessandro, Nicola Valente ed Antonella Patteri per procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 8198/06 della Corte di Appello di

Roma del 20.11.2006/14.05.2007 nella causa iscritta al n. 5612 R.G.

anno 2005.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17.06.2011 dal Pres. Dott. Alessandro De Renzis;

udito l’Avv. G. Sante Assennato per il ricorrente e l’Avv. Clementina

Pulli, per delega dell’Avv. A. Riccio, per l’INPS;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Gen. dott. RUSSO

Rosario che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 10.03.2005 il Tribunale di Roma, disattesa l’eccezione di decadenza sollevata dall’INPS, accoglieva la domanda proposta da F.P., intesa ad ottenere il riconoscimento della pensione di anzianità con decorrenza dal 1.01.2000.

Tale decisione, appellata dall’INPS, è stata riformata dalla Corte di Appello di Roma con sentenza n. 8108 del 2006, che ha respinto la domanda del F. per intervenuta decadenza dall’azione giudiziaria ex art. 47 dei DPR n. 639 del 1970 e successive modifiche di cui al D.L. n. 384 del 1992, art. 4.

La Corte territoriale ha osservato che:

-la domanda di pensione venne presentata il 29.12.1999;

-il ricorso giudiziario venne depositato l’11.03.2004;

-il termine era scaduto il 24.10.2003;

-non assumeva decisiva rilevanza – ai fini dello spostamento della decorrenza del termine dei decadenza – la domanda di “riesame”, come pure la “remissione in termini” determinata dal provvedimento dell’INPS dell’11.12.2000, con cui l’ente previdenziale in maniera esplicita respingeva la domanda di pensionamento “per vecchiaia”.

Il F. ricorre per cassazione con un motivo, illustrato con memoria.

L’INPS resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo dei ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 (come modificato dalla L. n. 438 del 1992, art. 4), della L. n. 533 del 1973, art. 7 della L. n. 88 del 1989, art. 46, comma 5 nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e n. 5).

Il F., nel contestare l’impugnata decisione, ripropone le censure già svolte in sede di appello, ribadendo di non essere incorso nella decadenza dall’azione giudiziaria, che avrebbe dovuto essere fatta decorrere in ogni caso dalla domanda di riesame integrante la precedente istanza (in questo senso è formulato il relativo quesito di diritto a pag. 8 del ricorso).

Il motivo è privo di pregio e va disatteso. Invero il giudice di appello ha correttamente osservato che la “domanda di riesame” del 23.02.2001 non avrebbe potuto in alcun modo avere influenza sui termini complessivamente previsti per la fase amministrativa e quella giudiziale, nè, per altro verso, avrebbe potuto essere considerata la domanda nuova, avendo lo scopo di ottenere un provvedimento favorevole dall’ente previdenziale, stimolandone il potere di modificare le proprie decisioni in via di autotutela. Lo stesso giudice ha aggiunto che neppure l’adozione da parte dell’INPS del provvedimento in data 11.12.2000 di esplicito rigetto della domanda di pensionamento comportava rimessione in termini dell’interessato, giacchè, una volta formatosi il silenzio – rigetto, con lo spirare del termine di 300 giorni successivi alla domanda amministrativa (evento verificatosi il 24.10.2000), il successivo eventuale provvedimento negativo non è idoneo a riaprire il termine già compiutosi (cfr. Cass. n. 20715 del 2004; Cass. n. 6018 del 2005;

Cass. n. 3592 del 2006; Cass. n. 13276 del 2007).

L’impugnata sentenza si presenta immune da vizi logici e giuridici, avendo fatto corretta applicazione delle norme di diritto richiamate e avendo dato ragionevole ed adeguata spiegazione della decisione adottata.

2. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza, non avendo il ricorrente reso la dichiarazione- richiesta dall’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo risultante dalla modifica introdotta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11 (convertito nella legge n. 326 del 2003) ed applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame – circa il possesso di reddito imponibile ai fini IRPEF non superiore al limite prescritto ai fini dell’esenzione dal pagamento delle spese di lite nei giudizi per prestazioni previdenziali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 10,00, oltre Euro 1500,00 per onorari ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2011

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