Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15284 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15284 Anno 2015
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: CRUCITTI ROBERTA

SENTENZA
sul ricorso iscritto proposto da:
INTERNATIONAL 23 s.p.a.,

in persona del liquidatore e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in Roma, via N.Colajanni n.3 presso lo
studio dell’Avv.Ottorino Giugni che la rappresenta e
difende per procura in calce al ricorso unitamente
all’Avv.Giorgio Pagliani.
-ricorrente –

contro
Agenzia delle Entrate,

in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via
dei Portoghesi n.12 è elettivamente domiciliata.

Data pubblicazione: 21/07/2015

-controricorrente-

avverso la sentenza n.25/20/09 della Commissione
Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, depositata il
16.3.2009;

udienza del 15.1.2015 dal Consigliere Dott.Roberta
Crucitti;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale dott.Maurizio Velardi, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
L’Agenzia delle Entrate, con avviso di accertamento, procedeva al
recupero a tassazione, ai fini IRPEG ed IRAP, dei costi sostenuti, nel 2002, da
International 23 s.p.a. per importazioni da Hong Kong (Paese ritenuto a fiscalità
privilegiata), ritenendoli indeducibili per non avere la Società provveduto ad
indicarli separatamente nella dichiarazione dei redditi, ai sensi dell’art.76, comma
7 bis e ter del TUIR (vigente ratione temporis).
Il ricorso avverso l’atto impositivo proposto dalla Società venne accolto
dall’adita Commissione Tributaria Provinciale ma la decisione, appellata da
entrambe le parti, veniva riformata dalla Commissione Tributaria Regionale
dell’Emilia Romagna con la sentenza indicata in epigrafe.
Il Giudice di appello, escluso che la modifica alla normativa di riferimento,
introdotta con l’art.], comma 301 della legge n.2961296 avesse efficacia retroattiva,
in applicazione del testo previgente dell’art.76 TUIR, rilevava che l’omessa

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udita la relazione della causa svolta nella pubblica

notificazione alla contribuente del previo avviso, menzionato nella suddetta norma,
di concessione del termine di novanta giorni utili alla prova, non determinava
l’illegittimità del successivo avviso di accertamento in quanto l’indeducibilità dei
costi derivava automaticamente dalla mancata separata indicazione. Rilevava,
ancora, che la contribuente non aveva fornito la prova delle circostanze esimenti

di un’attività commerciale effettiva e/o della rispondenza delle operazioni,
concretamente eseguite, ad un effettivo interesse. Aggiungeva che, nel caso di
mancata separazione dei costi, non era consentito correggere la dichiarazione
avvalendosi delle procedure previste dall’art.2, commi 8 e 8 bis del d.p.r.
n.322/1998, chè, opinando al contrario, si svuoterebbe di ogni contenuto la norma
antielusiva connotata dal carattere di eccezionalità. Dichiarava, infine,
inammissibile l’appello incidentale svolto dalla Società ritenendola priva di
interesse all’impugnazione siccome integralmente vittoriosa in primo grado.
Avverso la sentenza International 23 s.p.a., in liquidazione, ha proposto
ricorso per cassazione affidato a nove motivi.
Resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con il primo motivo —rubricato: violazione e falsa applicazione
dell’art.1, commi 301, 302 e 303 della legge 27.12.2006 n.296 nonché dell’art.3
d.lgs. n.472/1997 in relazione all’art.76 commi 7 bis e ter, come modificati
dall’art.110, comma 11, d.p.r. n.917/1986- la ricorrente deduce l’errore in cui
sarebbe incorso il Giudice di appello nel ritenere applicabile l’art.76 T.U.I.R.,
nonostante l’emanazione della legge 296/2006, perché l’ art.1, comma 302 faceva
riferimento all’adii° comma Il, come modificato da dl.gs n.344/2003 anch’esso

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previste dal citato art.76, comma ter, T.U.I.R. ovvero dello svolgimento prevalente

non ancora vigente all’epoca. Secondo la prospettazione difensiva l’errore era
palese posto che il comma 303 della norma citata prevedeva espressamente che la
disposizione del comma precedente si applicasse anche per le violazioni commesse
prima dell’entrata in vigore della legge.
2.Con il secondo motivo —rubricato: illegittimità della sentenza per

deduce che, in ogni caso, le norme come sopra indicate andavano applicate,quanto
meno, in virtù del principio del favor rei ex art.3 del d.lgs 472/1997.
3.Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art.76, comma 7 bis e ter
(oggi 110 comma 11) d.p.r. n.917/1986 nonché degli art.1, comma 303 della legge
n.29612006 e 2697 c.c. Secondo la ricorrente la C.T.R. aveva errato in diritto
laddove aveva ritenuto onere della contribuente fornire la prova relativa alla
sussistenza delle esimenti previste dall’art.76 comma 7 bis e ter TUIR , avendo
l’Agenzia delle Entrate del tutto omesso, nella specie, di contestare l’inesistenza
delle dette esimenti, essendosi limitata ad eccepire la mancata separata indicazione
dei costi in dichiarazione.
4.Con il quarto motivo si deduce , ai sensi del n.4 dell’art.360 c..p.c., la
nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art.57 d.lgs. 546/1992.
Secondo la prospettazione difensiva la CTR avrebbe erroneamente ritenuto
ammissibile la contestazione, sollevata solo in appello dall’Agenzia, in ordine alla
mancata prova delle esimenti.
5.Con il quinto motivo si denunzia la sentenza impugnata di ultrapetizione
per violazione dell’art.112 c.p.c. in quanto la C.T.R. nell’affermare la carenza di
prova riguardo alle esimenti aveva fatto riferimento ad una norma (il previgente
art.76 TUIR) diversa rispetto a quella (art.1, commi 301, 302 e 303) dedotta

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violazione dell’art.3 d.lgs.472/1997 in relazione all’art.360 n.3 c.p.c.- la ricorrente

dall’Ufficio.
6. Con il sesto motivo si deduce la violazione dell’art.2697 c.c. per avere la
CTR ritenuto non assolto l’onere probatorio in ordine alla sussistenza delle
esimenti malgrado essa Società, pur non onerarata, aveva fornito in giudizio la
prova e dell’effettività delle operazioni, attraverso la produzione della relativa

fatture e l’allegazione della “notorietà” del fatto che “prodotti, privi di valore
aggiunto, del valore di pochi centesimi di euro venivano prodotti solo in Cina”.
7.Con il settimo motivo si deduce la violazione dell’art.2 comma 8 d.p.r.
n.322/1998 per avere la C.T.R. ritenuto che non fosse ammissibile ovviare alla
mancata separata indicazione dei costi in dichiarazione avvalendosi della procedura
di cui all’art.2 comma 8 d.p.r. 322/1998.
8.Con l’ottavo motivo si deduce, ai sensi dell’art.360 c.p.c., l’errore in cui
sarebbe incorsa la C.T.R. nell’avere, con violazione dell’art.100 c.p.c., ritenuto
l’appello incidentale inammissibile per difetto di interesse.
9. Con il nono motivo si censura, per violazione dell’art.76, c.7 ter TUIR, il
capo della sentenza con cui la C.T.R. aveva ritenuto che l’omessa notifica del
previo avviso, menzionato nella disposizione per concedere il termine di novanta
giorni utili alla prova concernente gli acquisti in paesi a fiscalità privilegiata, era
del tutto giustificata e non poteva determinare l’illegittimità del successivo avviso
di accertamento, in quanto l’omessa indicazione separata determinava, di per sé
stessa, l’indeducibilità dei predetti costi, senza possibilità di fornire prove contrarie
al recupero.
10.Procedendo all’esame delle questioni rassegnate, secondo il loro ordine
logico-giuridico, vanno da primi esaminati l’ottavo ed il nono motivo di ricorso

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documentazione doganale e dell’interesse economico attraverso la produzione delle

involgenti la questione preliminare di nullità dell’avviso di accertamento oggetto
di impugnazione. I mezzi non meritano accoglimento.
In ordine all’ottavo motivo è, infatti, sufficiente rilevare -ancor prima della
infondatezza della doglianza relativa all’illegittimità del provvedimento di
inammissibilità dell’appello incidentale reso dalla C.T.R.- che quest’ultima si è,

l’argomentazione oggetto di censura con il nono motivo il quale è infondato.
Secondo la disposizione dell’art.76, comma 7 ter T.U.I.R. (vigente
all’epoca di emissione dell’avviso) le disposizioni del comma 7 bis (ovvero
l’indeducibilità dei costi) non si applicano quando le imprese residenti in Italia
forniscono la prova che le imprese estere svolgano principalmenté un’attività
industriale o commerciale effettiva nel mercato del Paese in cui hanno sede ovvero
che dette operazioni rispondano ad un effettivo interesse economico.
L’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento
di imposta o di maggiore imposta, deve comunicare all’interessato un apposito
avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine
di novanta giorni, le prove predette. La deduzione delle spese e degli altri
componenti negativi di cui al comma 7 bis rimane, comunque, subordinata alla
separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti.
Alla luce del contesto normativo all’epoca vigente, il quale, come sopra
illustrato, prevedeva la separata indicazione dei costi quale condizione di
deducibilità unitamente all’esistenza delle esimenti sopra riferite ed, in ogni caso,
a prescindere dalle stesse, appare allora evidente che, una volta constatata, come
nella specie, la separata indicazione dei costi in dichiarazione, tale inadempimento
fosse, all’epoca, sufficiente da solo a rendere i costi indeducibili con conseguente

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comunque, pronunciata sulla questione dedotta con l’impugnazione incidentale con

non necessità per l’Amministrazione finanziaria di avvisare il contribuente in
ordine alla possibilità di fornire la prova delle dette esimenti.
11. Procedendosi, quindi, all’esame degli ulteriori motivi, concernenti il
merito della pretesa tributaria, va rilevato che il disposto, in vigore sino al 31
dicembre 2003, dell’art. 76 d.p.r. 917/1976 è rimasto immutato assumendo, nel

di cui all’art. 110, commi 10 e 11.
Le norme vigenti sino al 31 dicembre 2006, dunque, sancivano
l’indeducibilità dei costi scaturenti da operazioni intercorse con soggetti residenti
in Stati o territori a finalità privilegiata (cd. Paesi black list), ove non risultasse
provato che i contraenti esteri svolgevano effettiva attività commerciale ovvero che
le operazioni poste in essere rispondevano ad un effettivo interesse economico ed
avevano avuto concreta esecuzione e, in ogni caso, ove i costi non fossero stati
separatamente indicati in dichiarazione.
Con decorrenza dall’I gennaio 2007, l’art. I, comma 301, 1. 226/2006
(finanziaria 2007) ha modificato il testo dell’art. 110 d.p.r. 917/1986, nella parte
rilevante ai fini della presente controversia, nei termini seguenti: “10. Non sono
ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da
operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in
Stati o territori non appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali
privilegiati….
11.Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese
residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono
prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni
poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse

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testo in vigore dal 1 gennaio 2004 all’I gennaio 2007, solo la diversa numerazione

hanno avuto concreta esecuzione. Le spese e gli altri componenti negativi
deducibili ai sensi del primo periodo sono separatamente indicati nella
dichiarazione dei redditi …”.
Il contestuale art. 1, comma 302,1. 226/2006 ha, poi, sancito: “All’articolo
8 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, dopo il comma 3 è aggiunto il

spese e degli altri componenti negativi di cui all’articolo 110, comma 11, del
testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applica una sanzione amministrativa pari
al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non
indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di euro 500 ed un massimo
di euro 50.000”.
Per la normativa entrata in vigore l’ l gennaio 2007, dunque, la deducibilità
dei costi scaturenti da operazioni intercorse con soggetti residenti in Paesi Black
list risulta subordinata solo alla prova dell’operatività dell’impresa estera
contraente e dell’effettività della transazione commerciale. La separata indicazione
in dichiarazione dei costi suddetti è degradata, invece, da presupposto sostanziale
di relativa deducibilità ad obbligo di carattere formale (a garanzia, evidentemente,
delle esigenze di controllo degli uffici finanziari), passibile di corrispondente
sanzione amministrativa.
Sul tema in rassegna, l’art. l 1. 226/2006, al comma 303, ha, infine,
ulteriormente disposto in via transitoria: “303. La disposizione del comma 302 si
applica anche per le violazioni commesse prima della data di entrata in vigore
della presente legge, sempre che il contribuente fornisca la prova di cui all’articolo
110, comma 11, primo periodo, del citato testo unico delle imposte sui redditi.

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seguente: “3-bis. Quando l’omissione o incompletezza riguarda l’indicazione delle

Resta ferma in tal caso l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 8,
comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471”.
Così delineata l’evoluzione del quadro normativo di riferimento, dirimente
ai fini della soluzione della presente controversia si rivela stabilire se la retroattività
della normativa innovativa sia circoscritta alla disciplina sanzionatoria o coinvolga,

costi non separatamente indicati in dichiarazione.
In tale prospettiva, deve osservarsi che il dato letterale sembra escludere la
retroattività della sopravvenuta eliminazione del previgente regime
d’indeducibilità, se non separatamente indicati in dichiarazione, dei costi scaturenti
da operazioni intercorse con soggetti residenti e fiscalmente domiciliati in Stati o
territori “a fiscalità privilegiata”; regime incontrastamente sancito dalla norme
succedutesi sino al 31 dicembre 2006.
Indicativa è, al riguardo, la circostanza che la disposizione transitoria di cui
all’art. 1, comma 303, 1. 296/2006 attribuisce, in termini testuali, portata retroattiva
esclusivamente al precedente comma 302, che dispone in tema di sanzioni, e non
anche al comma 301, introducente l’eliminazione (peraltro con esplicito
riferimento alla sola previsione dell’art. 110 d.p.r. 917/1986 e non anche alla
corrispondente disposizione ancora precedentemente vigente) del regime
d’indeducibilità dei costi in rassegna se non separatamente indicati.
La soluzione non risulta, d’altro canto, inconciliabile, in termini assoluti,
con il dato sistematico; la limitazione della retroattività al solo nuovo regime
sanzionatorio può infatti, in tale ottica, trovare una propria autonoma e coerente
giustificazione nella finalità, evidenziata dall’Agenzia, di anticipare – fermo
restando il regime d’indeducibilità dei costi non separatamente dichiarati – almeno

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invece, anche il profilo dell’abolizione della regime di assoluta indeducibilità dei

l’operatività del nuovo

sistema sanzionatorio, ispirato al sopravvenuto

riconoscimento del carattere meramente formale della violazione, sostituendolo, in
via di applicazione retroattiva, a quello previgente (cfr. art. 1 d.lgs. 471/1997)
correlato alla natura sostanziale in allora riconosciuta alla violazione.
Tanto premesso, di recente, questa Sezione (v.Cass.Sez.V n.4030/2015) ha

Cass. Sez.V n.ri 20081/14, 5398/12) nel senso dell’irretroattività dell’abolizione
del regime di assoluta indeducibilità dei costi non separatamente indicati in
dichiarazione.
Si è rilevato che per quanto riguarda la disciplina “a regime”, le
innovazioni apportate dalla I. n.296/2006 alla normativa in tema di deducibilità di
costi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in
Paesi a fiscalità privilegiata sottendono, indubitabilmente, l’intenzione di trovare
un punto di equilibrio meno gravoso per il contribuente, rispetto a quello
precedentemente definito, nel contemperamento dell’interesse del contribuente
medesimo a poter dedurre i costi effettivamente sostenuti, seppur nell’ambito di
operazioni intercorse con soggetti operanti in aree fiscalmente sospette, con
l’interesse erariale a veder assicurata, in relazione ai costi riferiti ad operazioni
obiettivamente suscettibili di ragionevole sospetto, un’efficace azione di controllo.
Punto di equilibrio che si è ritenuto di poter raggiungere, trasformando la separata
indicazione in dichiarazione dei costi in oggetto, da presupposto di deducibilità dei
costi medesimi, in obbligo dichiarativo amministrativamente sanzionato; in tal
modo coniugando la deducibilità dei costi che il contribuente dimostri effettivi ed
inerenti, indipendentemente dalla relativa separata indicazione in dichiarazione,
con il mantenimento, a fini di controllo (seppur con effetti più circoscritti),

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ritenuto di rivisitare l’orientamento in materia già espresso da questa Corte (cfr.

dell’obbligo d’indicazione separata in dichiarazione.
La ratio dell’innovazione legislativa “a regime” — aderente, peraltro, ai
canoni costituzionali della capacità contributiva e dell’uguaglianza tributaria — si
proietta inevitabilmente sulla relativa disciplina transitoria e, facendo aggio sul
dato testuale, induce a leggerla nel senso dell’estensione dell’applicazione

separatamente indicati in dichiarazione. Peraltro, pur nella grave ambiguità del
complessivo contesto normativo, dato a conforto della soluzione qui prescelta
sembra cogliersi nell’ultima proposizione dell’art. 1, comma 303, 1. 296/2006, che
— in esito all’affermazione dell’efficacia retroattiva della sanzione di cui all’art. 8,
comma 3 bis, d.lgs. 471/1997, introdotto dal precedente comma 302, in ipotesi di
mancata indicazione separata dei costi black list tuttavia comprovati nella loro
effettività — recita: “Resta ferma in tal caso l’applicazione della sanzione di cui
all’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471″. La
norma prevede indubitabilmente, per le sole violazioni dell’obbligo di separata
indicazione riferibili a situazioni di diritto transitorio, il cumulo della sanzione
proporzionale del 10% (entro limiti prescritti), disposta dal sopravvenuto comma 3
bis, con la sanzione, definita nel minimo e nel massimo, di cui al comma 1 dell’art.
8 d.lgs. 471/1997 e, trovando ragion d’essere solo sul presupposto dell’estensione
della retroattività anche all’abolizione del previgente regime d’indeducibilità, la
legittima a sua volta, finendo, così, con il costituire clausola di chiusura dell’intera
disciplina”. Se è questa la ratio sottesa all’innovazione legislativa deve, allora,
ritenersi, per ragioni di ordine logico sistematico ed al di là del mero tenore
testuale della disposizione del comma 303 cit., che la retroattività ivi disposta
(letteralmente solo al precedente comma 302 che contiene il nuovo regime

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retroattiva anche all’abolizione della regime di assoluta indeducibilità dei costi non

sanzionatorio) trovi applicazione non solo a questo ma anche al nuovo regime
sostanziale, nel senso di ritenere, nella sussistenza delle condizioni previste (le cd.
esimenti dell’effettività delle operazioni e del loro interesse economico) la
deducibilità dei costi anche ove non separatamente indicati in dichiarazione (come,
peraltro, riconosciuto dalla prassi :v.circolare n.46 del 2009).

motivo di ricorso e ritenuto assorbito il secondo, essendo evidente l’errore in cui è
incorsa la C.T.R. nel ritenere che la novella legislativa non si applicasse al caso di
specie per la mera considerazione che la legge finanziaria faceva riferimento
all’art.110 TUIR e non all’art.76, vigente ratione temporis, non considerando che la
modifica del 2004 aveva riguardato esclusivamente la numerazione della norma
all’interno del Testo Unico e non anche il suo contenuto.
13.Va, invece, rigettato il settimo motivo di ricorso dovendosi ribadire, in
adesione all’orientamento costante di questa Corte, che la parte contribuente non
poteva rettificare, mediante dichiarazione integrativa, la dichiarazione con
l’inserimento dei dati precedentemente omessi, trattandosi di facoltà preclusa
dall’intervenuta constatazione della violazione.
Nella specifica materia, infatti, questa Corte è ferma nel ritenere che “dopo
la contestazione della violazione è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione,
essendo indubbio che, ove fosse possibile procedere alla correzione della
dichiarazione dei redditi sino al momento dell’accertamento definitivo del maggior
reddito, la correzione stessa cesserebbe di essere un rimedio accordato dal
legislatore per ovviare ad un errore del contribuente, per trasformarsi in un mezzo
elusivo delle sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza delle
disposizioni relative alla compilazione delle dichiarazioni dei redditi (principio di

12

12. In adesione a tale condivisi principi, va, pertanto, accolto il primo

carattere generale espresso dalla Corte Costituzionale con ordinanza n.392/2002).
Il punto era stato già approfondito anche da Cass.n.24929/2013 la quale ha,
ulteriormente, chiarito che l’intervento modificativo della dichiarazione sarebbe
inammissibile perché avverrebbe in un contesto diverso da quello di cui al d.p.r.
n.322 del 1998, art.2, commi 8 e 8 bis.

settimo motivo di ricorso ribadendosi che la parte contribuente non poteva
rettificare, mediante dichiarazione integrativa, la dichiarazione con l’inserimento
dei dati precedentemente omessi, trattandosi di facoltà preclusa dall’intervenuta
constatazione della violazione.
14.Va, invece, accolto il quarto motivo di ricorso con assorbimento del
terzo.
E’ pacifico in atti, e non costituisce oggetto di contestazione tra le parti,
che con l’avviso di accertamento in questione l’Amministrazione aveva contestato
unicamente l’omessa separata indicazione dei costi in dichiarazione senza sollevare
alcun rilievo in ordine alla sussistenza o meno delle ulteriori condizioni richieste
dall’allora vigente art.76 TUIR e che nell’atto di appello (nei brani riportati in
ricorso non contestati dall’Agenzia delle Entrate) la stessa parte pubblica aveva
rilevato come tale questione, sulla base del contenuto dell’avviso di accertamento
(motivato solo sull’omessa indicazione in dichiarazione di tali costi) era del tutto
ultronea rispetto al “thema decidendum”; prospettazione ribadita, anche in seno al
controricorso, dalla Parte pubblica la quale eccepisce l’inammissibilità del relativo
mezzo di ricorso sul presupposto che il capo di sentenza, risolvendosi in
argomentazioni svolte ad abundantiam, non costituenti un’autonoma ratio
decidendi della pronuncia che si fonda sull’applicabilità dell’art.76 comma ter nel

13

Alla luce di detti condivisibili principi, può, pertanto, da primo rigettarsi il

testo vigente ratione temporis (ovvero la subordinazione dei costi in contestazione
alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi) .
Ciò posto, va dato atto che la sentenza impugnata, contrariamente
all’avviso della controricorrente, seppur ad abundantiam, supporta la sua
decisione, con argomentazioni che, per il loro contenuto, costituiscono ulteriore

fatto ed in diritto, che l’assolvimento dell’onere probatorio posto in capo alla
contribuente in ordine alla dimostrazione della sussistenza di una delle due
circostanze esimenti non poteva essere valutata positivamente. E, però tale capo di
sentenza si appalesa viziato, come dedotto, dalla contribuente con il quarto motivo
di ricorso, perché reso in violazione dell’art.57 d.lvo n.546/1992.
La questione attinente alla sussistenza delle cosiddette esimenti non poteva
essere esaminata e vagliata dal Giudice di appello, siccome questione del tutto
nuova che non aveva costituito oggetto di giudizio ed era rimasta estranea al thema
decidendum, rigidamente delimitato nel giudizio tributario, per la sua natura di
processo ad opponendum a carattere chiuso, dal contenuto dell’atto impositivo
impugnato (con il quale, come più volte ripetuto, non era stata contestata
l’insussistenza delle condizioni in fatto legittimanti la deducibilità dei costi) e dai
motivi di impugnazione dello stesso avanzati con il ricorso introduttivo.
15.L’accoglimento di tale motivo comporta l’assorbimento dell’esame di
tutti gli ulteriori mezzi (terzo, quinto e sesto) con i quali è stato censurato
l’accertamento compiuto dalla CTR in ordine alla sussistenza di cui alle esimenti
richieste dai commi 10 e 11 dell’art.110 TUIR.
16.In conclusione, in accoglimento del primo e quarto motivo di ricorso,
assorbiti il terzo, quinto e sesto e rigettati gli altri, la sentenza impugnata va cassata

14

autonoma ratio decidendi nella parte in cui affermano, con ampia motivazione in

nei limiti di cui in motivazione e va disposto il rinvio a diversa Sezione della
Este
(20 1-~
Commissione tributaria regionale dell4ombardiajaffinchè alla luce dei principi
(

(

esposti proceda al riesame della vicenda processuale e regoli le spese processuali di
questo grado.
P.Q.M.

terzo, quinto e sesto e rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche
per il regolamento delle spese, ad altra Sezione della Commissione tributaria
regionale dellaiLombardia. EP‹ ( L_ tel –

R 013-(4- &Wel .

Così deciso in Roma, il 15.1.2015 ed, in seconda convocazione, il giorno 11.3.2015

La Corte, in accoglimento del primo e quarto motivo di ricorso, assorbiti il

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