Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15282 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15282 Anno 2015
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: CRUCITTI ROBERTA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SAME DEUTZ FAHR

ITALIA s.p.a.,

in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per
procura in calce al ricorso dal prof.avv.Giuseppe
Falsitta, dall’avv.Silvia Panseri e dall’avv. Augusto
Fantozzi ed elettivamente domiciliata in Roma, via
Sicilia n.66 presso lo studio del prof.avv.Augusto
Fantozzi.
-ricorrente –

contro
Agenzia delle Entrate,

tempore,

rappresentata

in persona del Direttore pro
e

difesa

dall’Avvocatura

Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via

1

Data pubblicazione: 21/07/2015

dei Portoghesi n.12 è elettivamente domiciliata

controricorrente rícorrente incidentale

avverso la sentenza della Commissione Tributaria
Regionale della Lombardia n.202/66/2006, depositata in
data 11.7.2007;

udienza del 14.1.2015 dal Consigliere Dott.Roberta
Crucitti;
udito per la ricorrente l’Avv.Silvia Pansieri;
udito per la controricorrente-ricorrente incidentale
l’Avv.Gianna Galluzzo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale dott.Umberto Apice, che ha concluso per il
rigetto del ricorse) e l’accoglimento del primo e del
secondo motivo del ricorso incidentale.
Svolgimento del processo
Same Deutz Fahr s.p.a., in persona del legale rappresentante,

impugnò gli avvisi di accertamento, relativi alle annualità dal 1998 al 2000,
con i quali l’Agenzia delle Entrate, sulla base di rilievi contenuti nel
processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza, aveva recuperato a
tassazione maggiori IRPEG e IRAP irrogando le relative sanzioni.
In particolare i rilievi, formulati in esito al controllo fiscale,
venivano identificati sostanzialmente:
-in componenti positivi di reddito non dichiarati, riferiti a cessioni di
beni a consociate estere, in rapporto di controllo e/o collegamento ad un
prezzo inferiore al loro valore normale ed in costi per acquisto di beni da
consociate estere superiori al prezzo di vendita;
-in componenti negativi di reddito non deducibili in quanto privi di
inerenza ovvero in quanto mancanti della documentazione a supporto.
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udita la relazione della causa svolta nella pubblica

I ricorsi, previa riunione, venivano rigettati dalla Commissione
Tributaria Provinciale.
La sentenza, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla
Società, veniva riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della
Lombardia-Sezione staccata di Brescia, la quale, con la sentenza indicata in
epigrafe, dichiarava illegittime le riprese a tassazione dei costi non
documentati in conto compartecipazioni promozionali, dei componenti

partecipazioni promozionali. Dichiarava, inoltre, non applicabili le sanzioni
comminate per obiettiva incertezza ex artt.6, co.2 del d.lgs. n.472/1997 e 10,
comma 3 della legge n.212/2000.
Il Giudice di appello, rigettate preliminarmente le eccezioni in rito
proposte dall’appellante, in merito:
-al rilievo attinente ai componenti positivi di reddito non dichiarati
riferiti a cessioni di beni a consociate estere in rapporto di controllo e/o
collegamento a prezzi inferiori al loro valore normale (cd. transfer pricing)
ha ritenuto corretto l’operato dell’Ufficio per determinare il valore normale,
ai sensi di cui all’art.9 TUIR, ovvero il confronto tra la percentuale di
ricarico applicata dalla Società nelle transazioni con le consociate estere e le
percentuali di ricarico operate dalla medesima Società nelle transazioni con
soggetti terzi;
-al rilievo concernente i costi per acquisti di beni da consociate
estere, per un prezzo superiore, al prezzo di vendita ha ritenuto la
correttezza della ripresa a tassazione, sulla scorta della circostanza che i
trattori acquistati dalla consociata estera erano stati poi venduti a terzi ad un
prezzo inferiore di quello di acquisto e che, pertanto, l’operazione fosse
antieconomica;
-al rilievo concernente i costi non documentati in conto
partecipazioni promozionali, rilevava che la sentenza di primo grado andava
riformata per avere la contribuente versato in atti non solo le fatture ma
anche i contratti ed i documenti relativi alle iniziative di marketing poste in
essere nei rispettivi esercizi finanziari;
al rilievo concernente i componenti negativi di reddito non
deducibili-costi non inerenti in conto partecipazioni promozionali, ha
ritenuto di accogliere l’appello rilevando che, dall’esame degli atti, risultava
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negativi di reddito non deducibili, dei costi non inerenti in conto

provato che il mancato addebito delle spese di pubblicità alle società
consociate tedesche era conforme al contratto di distribuzione, il quale
prevedeva una rivalsa solo facoltativa e non obbligatoria, e che, in base al
contratto di distribuzione, la Società poteva percepire un compenso
percentuale sulle vendite che poteva incrementarsi per effetto delle spese di
pubblicità.
Infine, la Commissione Regionale disapplicava le sanzioni rilevando

giurisprudenziali.
Per la cassazione della sentenza la Società ha proposto ricorso
affidato ad otto motivi e l’Agenzia delle Entrate ricorso incidentale affidato
a quattro motivi.
Entrambe le parti resistono con controricorsi.
La contribuente ha, anche, depositato memoria ex art.378 c.p.c.
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art.360, I
comma, n.5 c.p.c., che la sentenza impugnata sarebbe affetta da vizio di
omessa motivazione perché il Giudice di appello non avrebbe tenuto conto
del provvedimento di archiviazione emesso dal G.I.P. del Tribunale di
Arezzo ed, in particolare, delle valutazioni compiute dai consulenti nel
procedimento penale incoato ai danni dell’amministratore della Società.
1.1.Sul punto, la Commissione Regionale lombarda ha motivato la
decisione rilevando che, nella specie -a parte la considerazione che nel
giudizio tributario la documentazione e gli elementi probatori acquisiti in
sede penale sono oggetto di libero e prudente apprezzamento- non era
applicabile l’art.654 c.p.p. in assenza di sentenza penale emessa a seguito di
dibattimento.
1.2.11 motivo è infondato. Ed invero, da un canto, va rilevato che secondo il costante insegnamento di questa Corte – il decreto di
impromuovibilità dell’azione penale, adottato ai sensi dell’art. 408 c.p.p. e
segg., non impedisce che lo stesso fatto venga diversamente definito,
valutato e qualificato dal giudice civile (nel caso concreto dal giudice
tributario) dal momento che, a differenza della sentenza, la quale
presuppone un processo’, il provvedimento di archiviazione ha per
presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo a preclusioni di
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che in tema di transfer price non erano rinvenibili rilevanti indirizzi

alcun genere (cfr. Cass. 3423/01; 20355/05; 8888/07; 8999/2014), con la
conseguenza che per il giudice di merito di nessun ostacolo all’accertamento
dei fatti per cui è causa deve ritenersi il suddetto decreto di archiviazione del
procedimento penale, incardinato a carico del legale rappresentante della
Same Deutz Fahar s.p.a.
D’altro, va evidenziato che la ricorrente, si duole, sostanzialmente ed
in sintesi, della mancata valutazione ad opera del Giudice di appello della

emesso al di fuori del procedimento non può vincolare, in alcun modo, il
libero apprezzamento del Giudice tributario il quale, peraltro, nella specie,
argomentando diffusamente sull’operato della Guardia di Finanza dimostra
di avere, comunque, tenuto conto delle risultanze di tale perizia,
implicitamente disattendendola.
2. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt.76, II e V
comma e 9, 3 comma, d.p.r. n.917/86 con riferimento agli artt.39 e 40 del
d.p.r. n.600/73 per avere i giudici di secondo grado ritenuto legittimo un
metodo di determinazione del valore normale nell’ambito delle transazioni
infragruppo (il metodo del cost-plus, ossia del costo di produzione
aumentato di un margine di utile) totalmente ignorato dalle pertinenti e
cogenti disposizioni normative.
In particolare, secondo la ricorrente, le disposizioni di riferimento
ammettono e riconoscono un unico criterio di determinazione del valore
normale ovvero il criterio del cd. confronto di prezzo dello stesso bene
praticato dai produttori indipendenti in un mercato di libera concorrenza e
non prevedono alcun criterio alternativo o subordinato.
2.1.11 mezzo attiene al tema del c.d. transfer pricing, fenomeno
consistente nell’attuazione di politiche sui prezzi, per lo più in ambito
internazionale, mediante transazioni infragruppo difformi al loro valore
normale, finalizzate a spostare l’imponibile presso le imprese associate che,
nei rispettivi territori, godano di esenzioni fiscali e subiscano minore
tassazione (cfr.Cass. n.ri 22023706; 11226/07; 17995/2013). Sul piano dei
rapporti internazionali infragruppo, si fa riferimento all’art.9 del modello di
convenzione fiscale O.C.S.E. del 1995.1996 per il quale ” quando le
condizioni convenute o imposte tra due imprese, nelle loro relazioni
commerciali o finanziarie sono diverse da quelle che sarebbero state
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relazione del consulente tecnico nominato dal P.M.; ma tale atto, in quanto

convenute tra imprese indipendenti, gli utili che in mancanza di tali
condizioni sarebbero stati realizzati da una delle due imprese, ma che a
causa di dette condizioni non lo sono stati, possono essere inclusi negli utili
di questa impresa e tassati di conseguenza”. Come già rilevato da questa
Corte (v.Cass.n. 24005/2013) “il criterio cardine per la valutazione dei
prezzi di trasferimento tra imprese associate di un gruppo multinazionale è,
quindi, costituito dal principio di libera concorrenza, che si instaura tra

del valore normale”.
2.2.In tale contesto, la norma nazionale di riferimento è data, quindi,
dall’art.9, comma 3 del d.p.r. n.917 del 1986 (che ha recepito il modello di
convenzione O.C.S.E. e che viene richiamato, secondo la numerazione
vigente ratione temporis dall’art.76, commi 2 e 5 stesso d.p.r.) il quale, nel
definire il modello legale, stabilisce che per valore normale si intende il
prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni ed i servizi della
stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza ed al medesimo
stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni ed i
servizi sono stati acquisiti o prestati e, in mancanza nel tempo e nel luogo
più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in
quanto possibile, ai listini ed alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o
i servizi (cd. confronto interno) e, in mancanza, alle mercuriali ed ai listini
delle camere di commercio ed alle tariffe professionali (cd. confronto
esterno) , tenendo conto degli sconti di uso.
In materia, questa Corte ha chiarito che il Giudice, nel dare
concretezza al metodo di determinazione del prezzo di trasferimento, deve
rimanere orientato dal suddetto criterio legale e mantenersi nel binario da
questo dettato, considerando che la prima proposizione normativa fornisce
la nozione giuridica di “valore normale” dei beni e dei servizi da applicare
all’ipotesi previste dal settimo comma dell’art.110 TUIR (già art.76, comma
V) e la seconda detta criteri di riferimento da osservare al fine della
determinazione del valore dello specifico bene e/o servizio (Cass.n.ri
17953/2012; 10742/2013).
Inoltre, sempre nella specifica materia, questa Corte è ferma nel
ritenere che Part.76, comma V TUIR (oggi 110, comma VII) -norma
ritenuta, dall’orientamento maggioritario, a carattere elusivo fiscale-,
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imprese indipendenti,e che sotto il profilo fiscale è correlato alla definizione

dettando norme destinate innanzitutto a disciplinare la dichiarazione fiscale,
ha, in via principale, quale destinatario il contribuente al quale impone di
considerare, ai fini del reddito, per le operazioni ivi contemplate, il criterio
del valore normale del bene (ceduto o ricevuto) e/o del servizio (prestato o
ricevuto) anziché quello ordinario, previsto dall’art.53 (ora 85) TUIR, del
corrispettivo dovuto (cfr. Cass. n.ri 17953/2012 e 7343/2011cit.) .
In tale ottica, si è condivisibilmente ritenuto che la norma non

isolo l’esistenza di transazioni tra imprese collegate gravando, invece, sul
contribuente, secondo le ordinarie regole di vicinanza della prova ex
art. 2697 c.c , l’onere di dimostrare che tali transazioni sono intervenute per
valori di mercato da considerarsi normali, alla stregua dell ‘art. 9, terzo
comma TUIR secondo cui sono da intendersi normali i prezzi dei beni e dei
servizi praticati “in condizioni di libera concorrenza” con riferimento per
quanto possibile, ai listini ed alle tariffe d’uso, non escludendosi pertanto
l’utilizzabilità di altri fonti di prova (Cass. n. 10742/2013).
2.3.Ciò posto in via generale, appare opportuno rammentare che,
sulla specifica questione, la C.T.R. lombarda ha testualmente motivato che
nell’ottica di assicurare un approccio sostanziale e non procedurale nella
determinazione del valore normale delle cessioni infragruppo appare
irrilevante, ai fini del decidere, stabilire se sia corretto applicare
nell’ambito dei metodi tradizionali basati sul valore normale della singola
operazione conclusa tra imprese associate e prospettati dalle direttive
dell’Organizzazione per la Collaborazione e lo Sviluppo Economico del
1979 e del 1995- il metodo del cd. confronto del prezzo (CUP) come
prospettato per la prima volta in appello dalla Società o il metodo del costo
maggiorato (CPS). Il dato viceversa rilevante che emerge dalla
documentazione versata in atti — si veda CTU del dr.Fiore a pag.6- è che
l’amministrazione finanziaria ha utilizzato lo stesso metodo seguito dalla
società appellante nella determinazione del valore normale delle operazioni
intercompany ovvero applicando il metodo imperniato sul costo maggiorato
(cd. cost plus) in base al quale si procede alla ricostruzione del prezzo di
libera concorrenza valorizzando l’analisi funzionale. ed ancora “..la
Guardia di Finanza ha , operato confrontando beni identici o similari
(uguale codice prodotto fornito per l’identificazione) e comparando gli
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richiede di provare, da parte dell’Amministrazione, la funzione elusiva ma

effettivi ricavi e costi forniti dalla stessa Società ricorrente. Gli stessi
militari della Guardia di Finanza, ai fini del controllo in materia di transfer
pricing, hanno confrontato la percentuale di ricarico (cost plus mark up)
applicata da SAME DEUTZ FAIR GROUP s.p.a. nelle transazioni con
consociate estere con le percentuali di ricarico applicate, dalla medesima
società, nelle transazioni a confronto poste in essere nei riguardi di soggetti
terzi aventi sede in Italia. -detta circostanza è pacificamente ammessa dalla

2.4. Alla luce del quadro normativo come sopra delineato e dei
condivisi principi sopra illustrati, deve, pertanto, escludersi la dedotta
violazione di legge laddove la C.T.R. -sulla scorta dei dettami di cui all’art.9
cit. e della ratio sottesa all’art.76, comma 5 (oggi 110, comma 7) d.p.r.
n.917 del 1986- ha ritenuto corretto l’operato dell’Ufficio, il quale,
nell’operare il controllo ed il confronto del prezzo richiesto dalla normativa
di riferimento, non ha utilizzato una metodologia non consentita dal sistema
ma si è attestato sullo stesso ” valore normale” adottato e determinato, per
come è incontestato, dalla stessa Società secondo il metodo del cd. “cost
plus”, e poi, sulla base dello stesso criterio, ha determinato i prezzi
praticati in regime di libera concorrenza con le imprese indipendenti.
2.5. Ne consegue il, rigetto del motivo.
3. Con il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso si denunciano, ai
sensi del n.5, I comma, dell’art.360 c.p.c., vizi di omessa motivazione con
riferimento, in sintesi:
-alla contestazione secondo cui i trattori identificati con il medesimo
codice prodotto non potevano ritenersi beni della stessa specie o
similari in quanto tali prodotti pur avendo lo stesso codice potevano
differire in modo sostanziale per allestimenti interni ed esterni e per
configurazioni tecniche sì da determinare rilevantissime differenze di
costo e, quindi, di prezzo, anche in relazione ai diversi mercati finali
cui erano destinati (terzo motivo di ricorso);
alla contestazione secondo cui non era legittimo considerare “stesso
luogo in cui i beni e i servizi sono acquistati o prestati” da un lato il
mercato italiano„ e dall’altro i mercati della Svizzera, della
Germania e della Polonia (quarto motivo) ;

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società in sede di appello..

- la censura in ordine al fatto che non era legittimo considerare “al
medesimo stato di commercializzazione” le vendite effettuate a
consociate estere della società verificata, destinate a
commercializzare i prodotti sul mercato mondiale, e quelle effettuate
a concessionari italiani, terzi indipendenti che raccolgono gli ordini
dagli acquirenti finali (quinto motivo).
3.1. I motivi, contradamente a quanto dedotto in controricorso, sono

legittimità, ribadito di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte
(Sentenza n. 24148 del 25/10/2013; ed in precedenza, ex multis, Cass.
n.ri 3370 del 02/03/2012 e 23296 del 18/11/2010) la motivazione
omessa o insufficiente è configurabile (ex art.360, I comma, n.5 c.p.c.
nel testo applicabile ratione temporis) qualora dal ragionamento del
giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la
totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa
decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel
complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha
indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento.
3.2. Nella specie, la sentenza impugnata, pur dando atto nella parte
deputata allo svolgimento del processo di tutti i fatti ed eccezioni
rassegnati dalla Società in atto di appello a censura della decisione di
primo grado, sul punto si limita ad argomentare di confermare
integralmente le valutazioni del giudice di primo grado in merito alla
correttezza dei criteri utilizzati dall’Amministrazione finanziaria nella
determinazione del valore normale delle cessioni infragruppo in
argomento ed ancora che colgono nel segno le valutazioni espresse dai
giudici di primo grado che evidenziano che la Guardia di Finanza ha
operato confrontando beni identici e similari (uguale codice fornito per
l’identificazione) …gli stessi militari della Guardia di Finanza hanno
confrontato la percentuale di ricarico applicate nelle transazioni estere
con quelle applicate dalla medesima società nelle transazioni poste in
essere nei riguardi di soggetti terzi indipendenti aventi sede in Italia.
3.3 Appare evidente l’omissione di valutazione, da parte del Giudice di
merito, dei fatti rassegnati dall’odierna ricorrente e ribaditi con l’atto di
appello laddove, tra l’altro, la motivazione adottata neppure illustra il
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ammissibili e fondati. Per costante orientamento di questo Giudice di

procedimento logico seguito, nella condivisione della sentenza di primo
grado, per giungere alla decisione.
4. L’accoglimento dei superiori motivi comporta l’assorbimento, in quanto
presupponenti la decisione sulle dette questiones facti,

dei corrispondenti

mezzi di impugnazione proposti dalla ricorrente per violazione o falsa
applicazione degli artt.9 e 76 TUIR.
5. Con il sesto motivo di ricorso si deduce, ai sensi del n.4 dell’ art.360

all’art.112 c.p.c., per avere il giudice tributario totalmente omesso di
pronunciarsi sulla censura formulata in atto di appello secondo cui non è
corretto applicare un metodo di rettifica a valore normale basato,
nell’ambito di un rapporto contrattuale e commerciale unitario con una
consociata estera, sulla valorizzazione delle sole singole operazioni che
consentono di evidenziare delle differenze positive, ignorando totalmente
tutte le operazioni di analoga natura dalle quali scaturiscono delle differenze
negative e la cui considerazione avrebbe evidenziato che le cessioni alla
consociata sono state effettuate con margini mediamente superiori rispetto
alle cessioni poste in essere nei confronti di terzi indipendenti.
Tale omessa pronuncia avrebbe poi comportato, secondo la prospettazione
difensiva, la conferma di un accertamento emesso in violazione e falsa
applicazione del combinato disposto degli artt.9 e 76 del d.p.r. 917/86 in
quanto basato su un metodo di calcolo inidoneo a consentire la corretta
determinazione del c.d. normale valore nell’ambito delle transazioni
infragruppo.
6.Anche con il settimo motivo viene dedotto, ai sensi dell’ art.360, I comma,
n.4 c.p.c. un vizio di omessa pronuncia con violazione dell’art.112 c.p.c.
per avere il Giudice di appello pretermesso l’esame delle specifiche censure
sollevate con riferimento ai singoli recuperi autonomamente considerati, e
volte a denunciare gli errori effettuati dai verificatori e dall’Ufficio in sede
di determinazione dei presunti ricavi sottratti a tassazione.
7. I motivi sono inammissibili. Le doglianze attengono, invero nella
sostanza, ad una dedotta omessa valutazione da parte del Giudice di merito
di una serie di censure in ordine alla corretta determinazione del “valore
normale” delle transazioni tra la ricorrente e le consociate estere rispetto alla

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c.p.c., l’omessa pronuncia su uno specifico motivo di gravame, in relazione

quale la Commissione Regionale lombarda ha, al contrario di quanto
dedotto e come sopra illustrato, pronunciato.
7.1.11 vizio di omessa pronuncia, infatti, come costantemente ribadito
da questa Corte, può configurarsi rispetto a domande od eccezioni per le
quali il Giudice di merito -non avendole prese in esame malgrado la
specifica richiesta della parte- non abbia adottato alcuna statuizione e, non
anche nell’ipotesi in cui, il medesimo Giudice si sia pronunciato con

parte che, se decisivi ai fini della risoluzione della controversia concretano,
al contrario, un vizio di motivazione denunziabile ex art. 360, I comma, n.5
c.p.c.(cfr. ex multis di recente Sentenza n. 3417 del 20/02/2015).
7.2. Nella specie, dalla motivazione offerta dal Giudice di appello e
da quella del Giudice di primo grado, cui la C.T.R. rimanda, si evince che le
domande e le eccezioni delle quali si lamenta l’omessa pronuncia sono state,
al contrario, vagliate.
Va, inoltre, osservato che non si apprezza la sussistenza del vizio di
violazione di legge rassegnato dalla ricorrente in seno al sesto motivo
laddove è la stessa norma, dedotta come violata (art.76 TUIR) a prevedere
l’applicazione del cd. “valore normale” allorquando ne derivi un aumento
del reddito.
8. Con l’ottavo motivo, infine, si censura la sentenza impugnata di
insufficiente motivazione, ai sensi del n.5, I comma, dell’art.360 c.p.c. per
non avere il giudice tributario adeguatamente motivato il rigetto della
censura formulata dalla ricorrente con riguardo al recupero relativo ai costi
per acquisto di beni da consociate estere per importo superiore al prezzo di
vendita nel 1999 e nel 2000.
Questo il “momento di sintesi” espresso a conclusione dell’illustrazione del
motivo: considerato che nel presente giudizio costituisce fatto controverso e
decisivo verificare la legittima applicazione delle disposizioni contenute
negli artt.9, 3 0 comma e 76, 5 0 comma del d.p.r. 917/86, dica ..se incorre
nel vizio di insufficiente motivazione il giudice tributario di secondo grado
il quale abbia trascurato di esaminare i più significativi errori commessi
dai verifìcatori ed analiticamente denunciati, e in particolare, quello di
avere considerato ai fini del recupero a tassazione di presunti costi non
fatturati un numero irrisorio di unità vendute (art.360 n.5 c.p.c.) .
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motivazione che non abbia tenuto conto di alcuni elementi prospettati dalla

8.1. Il motivo non è meritevole di accoglimento. A parte il profilo di
inammissibilità per la genericità e difetto di autosufficienza, il mezzo è
infondato. La motivazione assunta dalla C.T.R., (la quale ha espressamente
argomentato che la ripresa in esame viene ritenuta legittima in
considerazione del fatto che la società appellante ha acquistato trattori da
consociate estere per poi rivenderli a terzi indipendenti ubicati in Italia ad
un prezzo inferiore a quello di acquisto e che da ciò consegue che

accertamento in violazione dell’art.75, comma 5, del TUIR in presenza di
ricavi esposti in bilancio inferiori ai costi sostenuti dalla società, in palese
ed illogica contraddizione con il principio di economicità che regge ogni
attività imprenditoriale) appare del tutto idonea e sufficiente a reggere la

decisione impugnata laddove, di contro, l’unico fatto che la ricorrente
deduce specificamente come non valutato dal Giudice di secondo grado
(ovvero l’avere i verificatori considerato un numero irrisorio di unità
vendute) non appare, a fronte della ratio decidendi della sentenza
impugnata, decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia.
9. Procedendosi, quindi, all’esame del ricorso incidentale, con il
primo motivo, l’Agenzia delle Entrate deduce, ai sensi dell’art.360, I
comma, n.5 c.p.c., l’omessa motivazione della sentenza nella parte in cui
era stata ritenuta illegittima la ripresa a tassazione per la mancata
documentazione dei costi in conto compartecipazioni promozionali
argomentando che la contribuente non si è limitata a produrre le fatture a
comprova dell’esistenze di detti costi ma ha esibito anche i contratti e di
documenti relativi alle iniziative di marketing poste in essere negli esercizi
finanziari in esame. Secondo la prospettazione difensiva la C.T.R. non

aveva valutato la precisazione svolta dall’Ufficio secondo cui la
contestazione non atteneva all’assenza dei documenti attestanti ai costi ma
al mancato rispetto di tutte quelle condizioni che permettono
all’Amministrazione finanziaria di valutare la corretta determinazione delle
quote di costi addebitati alla consociata del gruppo residente in Italia.
9.1.11 motivo, nei termini in cui è formulato, non ammissibile. Il
mezzo, infatti, non individua un fatto nell’accezione rilevante ai sensi del
n.5, I comma dell’art.360 ,c.p.c. ma unicamente il travisamento da parte del
Giudice di appello delle contestazioni sollevate da essa ricorrente
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correttamente l’Amministrazione finanziaria ha emesso l’avviso di

incidentale le quali, invece, risultano tenute in considerazione dalla
Commissione Tributaria Regionale laddove viene espressamente rilevato
che la pretesa impositiva dell’Ufficio si fonda sostanzialmente sulla
circostanza che la SAME s.p.a. non avesse fornito documentazione idonea
ad individuare le attività effettivamente poste in essere dalla consociata ed i
criteri seguiti dalla stessa per la determinazione degli addebiti. Né, con
difetto di autosufficienza, la ricorrente incidentale illustra le ragioni per cui i

della decisione, fossero, invece, palesemente inidonei ed insufficienti per
dimostrare l’indeducibilità dei costi in questione.
10.Eguale vizio motivazionale viene dedotto con il secondo motivo
avente ad oggetto il capo di sentenza che concerne la ripresa a tassazione di
spese pubblicitarie che la SAME s.p.a. aveva sostenuto in relazione ad
attività di distribuzione svolta in Italia per conto di due consociate tedesche
ed i cui costi l’Ufficio aveva considerato indeducibili in quanto non correlati
a beni e servizi dai quali sono derivati proventi per la Società italiana.
In particolare, la ricorrente incidentale deduce che la motivazione fornita
dalla C.T.R., in punto della ripresa dei componenti negativi di reddito non
deducibili-costi non inerenti in conto compartecipazioni promozionali, è
insufficiente non avendo tenuto in alcun conto le considerazioni svolte
dall’Ufficio e ciò di avere, considerato i detti costi (relativi ad un’attività di
distribuzione svolta in Italia per conto di due consociate tedesche) malgrado
non correlati a beni e servizi dai quali sono derivati beni e proventi per la
società italiana.
10.1. Il motivo è inammissibile per inconducenza con il decisum.
Non risulta, infatti, idoneamente contrastato con il mezzo l’accertamento in
fatto compiuto dal Giudice di merito il quale, al contrario di quanto dedotto,
dimostra di avere valutato tutte le allegazioni dell’Ufficio motivando di
avere ritenuto i costi deducibili non solo perché il contratto di distribuzione
prevedeva una rivalsa facoltativa e non obbligatoria ma anche perché in
base al contratto di distribuzione la società poteva percepire un compenso
percentuale sulle vendite che potevano a sua volta incrementarsi per effetto
delle spese di pubblicità.
11. L’esame del terzo e del quarto motivo del ricorso incidentale,
con i quali si censura, per violazione di legge, il capo di sentenza relativo
13

documenti prodotti, ulteriori rispetto alle fatture e posti dalla C.T.R. a base

all’annullamento delle sanzioni, rimane assorbito, in conseguenza
dell’accoglimento del terzo, quarto e quinto motivo del ricorso principale,
data l’interdipendenza dei capi della decisione impugnata rispettivamente
incisi.
12.La decisione impugnata va, quindi, cassata in relazione, con
rinvio al Giudice del merito per un nuovo esame della vicenda processuale
oltre che per il regolamento delle spese.

La Corte, rigettati il primo e secondo motivo, accoglie il terzo,
quarto e quinto motivo del ricorso principale; rigetta i primi due motivi del
ricorso incidentale e dichiara assorbiti il terzo ed il quarto.
Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese,
a diversa Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.
Così deciso in Roma, il 14.1.2015.

P.Q.M.

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