Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1528 del 22/01/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1528 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: SABATO RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 28783-2014 proposto da:
BROGONZOLI LUCIANO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA FASANA 16, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO
RAMPIONI, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato GIUSEPPE IANNACCONE;
– ricorrente contro

2017
2822

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;

Data pubblicazione: 22/01/2018

- controricorrente

avverso la sentenza n. 3539/2014 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 09/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/10/2017 dal Consigliere RAFFAELE SABATO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

rigetto del ricorso.
udito l’Avvocato RICCARDO RAMPIONI, difensore del
ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato FABIO TORTORA, difensore del
controricorrente,
ricorso.

che ha chiesto il rigetto del

Generale Dott. CORRADO MISTRI che ha concluso per il

FATTI DI CAUSA
1. Con processo verbale di accertamento notificato a Luciano Brogonzoli il 5 ottobre 2007 l’Ufficio italiano cambi, all’esito di accertamenti,
gli ha contestato violazione dell’art. 3 della I. n. 197 del 1991 come

fid s.r.I., società fiduciaria di cui il predetto è stato presidente dal
maggio 2004 al marzo 2006, segnalato tempestivamente, per quanto
rileva, un’operazione di euro 584.394,91 nell’ambito di un complesso

di operazioni per euro 651.318,83. In data 14 settembre 2012 il ministero dell’economia e delle finanze ha notificato a Luciano Brogonzoli ordinanza – ingiunzione di pagamento dell’importo di euro
146.118.
2. Con sentenza depositata il 31 marzo 2014 il tribunale di Milano ha
rigettato l’opposizione proposta da Luciano Brogonzoli.
3. Avverso la sentenza di primo grado il signor Brogonzoli ha interposto appello e la corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 9
settembre 2014, lo ha disatteso.
3.1. A sostegno della decisione, per quanto rileva, la corte territoriale
ha considerato che:
– fosse del tutto ragionevole che, terminata l’ispezione in data 30
maggio 2007, l’accertamento della violazione fosse da reputarsi avvenuto almeno 45 giorni dopo «rappresentando esso un periodo minimo necessario per l’esame dei documenti acquisiti … e per il compimento di tutte le valutazioni, tenuto conto della complessità delle
attività e delle indagini svolte, avendo esse riguardato più soggetti …
e una pluralità di operazioni di rilevante valore … caratterizzate da
profili di evidente tecnicità tali da richiedere necessariamente un certo
lasso di tempo»; era stata dunque tempestiva la notifica del verbale
avvenuta il 5 ottobre 2007, nel rispetto del termine di «novanta giorni
dall’effettivo accertamento avvenuto non prima della metà luglio
2007»;
– quale presidente della fiduciaria, il signor Brogonzoli era tenuto alla
segnalazione, non provando i documenti prodotti che egli fosse priva1

sostituito dall’art. 1 del d. Igs. n. 153 del 1997 per non avere la Intra-

to di poteri gestori, né che il verbale del consiglio di amministrazione
in data 15 ottobre 2004, con cui erano stati conferiti agli amministratori delegati i poteri di tenere i rapporti relativi alla disciplina antiriciclaggio, costituisse una «delega esclusiva», né rilevando il documento
relativo alle “procedure operative” che sul piano degli adempimenti di

combenti sul presidente, soprattutto a seguito delle segnalazioni di
audit intervenute, avrebbero implicato vigilanza sull’operato degli
amministratori; sussisteva dunque un comportamento omissivo cosciente e volontario, atteso che «sebbene fosse stato messo a conoscenza di operazioni sospette, non si era attivato per comunicarle»;
– fosse congrua la sanzione irrogata, nella misura del 25% del valore
economico dell’operazione, tenuto conto del ruolo e del comportamento del sig. Brogonzoli.
4. Avverso tale sentenza Luciano Brogonzoli propone ricorso per cassazione articolato su quattro motivi illustrati da memoria, cui resiste il
ministero dell’economia e delle finanze con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo mezzo il ricorrente denuncia una violazione dell’art.
111 Cost. quale ritenuta fonte del principio del contraddittorio applicabile anche al procedimento sanzionatorio amministrativo, richiamando altresì giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo
che, in applicazione della relativa convenzione, avrebbe – in materia
sostanzialmente penale quale quella di cui trattasi – ritenuto applicabili le garanzie del giusto processo tra le quali quelle della pubblica
udienza in tema di applicazione di sanzioni da parte della Consob.
1.1. Il motivo è in ampia parte inammissibile, come deduce la parte
controricorrente, non avendo il ricorrente sollevato le relative eccezioni innanzi al giudice di merito.
1.2. E’ invece ammissibile, ma infondato, nella parte in cui si evoca
una violazione dei principi del giusto processo rilevanti ex art. 111
Cost. (ed eventualmente, seppur non richiamato nominatim, dell’art.
6 c.e.d.u.), tali da imporre – seppure anche tale profilo non sia e7

archivio; anche in tale pur esclusa ipotesi, gli obblighi di vigilanza in-

spressamente evocato – un eventuale rilievo di questione di costituzionalità della disciplina sanzionatoria rispetto allo stesso art. 111 cit.
nonché all’art. 6 c.e.d.u., per l’interposizione dell’art. 117 Cost.
1.3. Infatti, se è vero che alcune peculiarità del procedimento amministrativo sanzionatorio dell’epoca previsto dall’art.

187-septies del

dienza pubblica nella procedura innanzi all’autorità irrogante) sono
state riesaminate criticamente dalla corte e.d.u. nella sentenza 4
marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, è anche vero che la disciplina è
stata ritenuta non in contrasto con l’art. 6 della c.e.d.u., quando come stabilito dalla corte e.d.u. medesima con detta sentenza (§ 138,
139, 149 e 151) – pur avendo le sanzioni natura sostanzialmente penale il provvedimento con cui le stesse vengono irrogate sia assoggettato – come, appunto, quello adottato ex art. 187-septies cit., anche nel testo vigente ratione temporis – a un sindacato giurisdizionale
pieno, attuato nell’ambito di un giudizio che assicura le garanzie del
giusto processo (sia ex art. 6 c.e.d.u. che ai sensi dell’art. 111 Cost.).
1.4. Deve sul punto notarsi che, benché il presente procedimento sia
stato trattato nel diverso quadro di applicabilità dell’art. 6 del d. Igs.
n. 150 del 2011, la censura debba ritenersi infondata proprio in relazione all’esistenza della fase giudiziaria. Tanto risulta ormai acquisito
dalla giurisprudenza di questa corte (v. Cass. n. 770 del 13/01/2017,
secondo la quale in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del
giusto processo, ex art. 6 della c.e.d.u., può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa – nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria – ovvero mediante
l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio – adottato in assenza di tali garanzie – ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento
conforme alle richiamate prescrizioni della convenzione, il quale non
ha l’effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa giacché la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di
cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni,
3

d.lgs. n. 58 del 1998 (si è trattato, in pratica, della mancanza di u-

per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile
di controllo giurisdizionale).
1.5. Non consta – né la parte ricorrente ha trascritto in ricorso elementi testuali da cui possa ciò evincersi – che la garanzia della pubblica udienza, almeno limitatamente all’udienza di discussione, non

o di appello.
1.6. Quanto innanzi consente a questa corte di esimersi
dall’esaminare se, nel caso di specie, la sanzione potesse effettivamente qualificarsi «penale» ai sensi della c.e.d.u.
2. Con il secondo motivo di ricorso Luciano Brogonzoli deduce violazione dell’art. 14 I. n. 689 del 1981, nella parte in cui si fissa il termine perentorio di 90 giorni dall’accertamento per la contestazione
dell’addebito, per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto
l’osservanza da parte dell’amministrazione del predetto termine.
2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto con esso non si deduce
l’applicazione da parte della corte di merito di una regula iuris diversa
da quella indicata, o di una erronea interpretazione della medesima
regula iuris. Si deduce, piuttosto, sotto la veste di una doglianza per
violazione di legge, una pretesa di merito, avente per obiettivo un coordinamento delle risultanze istruttorie diverso da quello cui è giunta
– insindacabilmente – la corte d’appello, la quale ha ritenuto ragionevole che, terminata l’ispezione in data 30 maggio 2007,
l’accertamento della violazione fosse da reputarsi avvenuto almeno
45 giorni dopo «rappresentando esso un periodo minimo necessario
per l’esame dei documenti acquisiti … e per il compimento di tutte le
valutazioni, tenuto conto della complessità delle attività e delle indagini scolte, avendo esse riguardato più soggetti … e una pluralità di
operazioni di rilevante valore … caratterizzate da profili di evidente
tecnicità tali da richiedere necessariamente un certo lasso di tempo».
2.2. Costituiscono profili di merito, su cui dunque non è necessario
indugiare, quelli relativi al se l’accertamento fosse effettivamente
complesso, anche in relazione al numero delle persone interessate. In
argomento, il ricorrente ha sviluppato una specifica doglianza, per cui
4

sia stata disponibile almeno nei giudizi di opposizione di primo grado

la propria posizione sarebbe individualizzata, e come tale sarebbe
stata trattata anche in ambito processuale; onde non sarebbe corretto ritenere il ritardo giustificato dalla numerosità dei soggetti interessati. Su tale tema può essere opportuno richiamare, per completezza,
nell’ambito del principio per cui la pura «costatazione» dei fatti nella

essendo peraltro il giudice abilitato a individuare il momento iniziale
del termine per la contestazione non nel giorno in cui la valutazione è
stata compiuta, ma in quello in cui avrebbe potuto – e quindi dovuto esserlo, senza indebiti ritardi, che questa corte, al fine di sindacare la
tempistica degli atti di indagine nell’ambito della diversa verifica ex
art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ., ha affermato:
– che la valutazione dell’opportunità dell’esercizio dei poteri di indagine resta rimessa all’autorità competente; il giudice non può sostituirsi
dunque all’organo addetto al controllo nel valutare l’opportunità
dell’esercizio dei poteri di indagine per riscontrare la sussistenza
dell’illecito, ma può e deve apprezzare, in base alle deduzioni
dell’amministrazione ed all’esame degli atti relativi all’accertamento,
se sia stato osservato il tempo ragionevolmente necessario per giungere alla completa conoscenza dell’illecito, tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del caso concreto e della necessità comunque
che tali indagini, pur nell’assenza di limiti temporali predeterminati,
avvengano entro un termine congruo (così ad es. Cass 08/08/2005,
n. 16642 e 30/05/2006, n. 12830, ove richiami; v. anche Cass.
13/12/2011, n. 26734 e 03/09/2014, n. 18574);
– senza «entrare nel merito dell’opportunità» di atti di indagine, il
giudice deve limitarsi a «rilevare se vi sia stata una ingiustificata e
protratta inerzia durante o dopo la raccolta dei dati di indagine»,
tenuto anche conto che «ragioni di economia possono indurre … a
raccogliere ulteriori elementi atti a dimostrare la sussistenza, accanto
a violazioni già risultanti dagli atti raccolti, di altre violazioni amministrative, al fine di emettere un unic[o]» provvedimento sanzionatorio
(così Cass. n. 16642 del 2005 cit.).

5

loro materialità non coincide necessariamente con l’«accertamento»,

2.3. In tal senso, quand’anche la motivazione addotta dalla corte territoriale fosse sindacabile sul punto, il sindacato non darebbe esito,
posto che le predette esigenze di economia effettivamente giustificano, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, il completamento dell’esame di altre posizioni nell’ambito dello stesso accertamento.

cod. civ. e dell’art. 3 secondo comma della I. 197 del 1991. Attraverso il motivo – reiterando plurime doglianze che appaiono, dalla sene -414.ty tk
z
tenza impugnata, già sottoposte latZ5 –Wia alla corte di méritoi- il
ricorrente deduce un erroneo governo delle risultanze probatorie, che
farebbero emergere, se correttamente valutate, l’esistenza di prova
documentale del fatto che ogni potere in materia di antiriciclaggio
spettasse ai due amministratori delegati.
3.1. Anche tale motivo si traduce in una critica di merito, e non di
violazione di legge, rispetto alla sentenza impugnata. In altri termini,
di fronte alla valutazione della corte d’appello per cui, quale presidente della fiduciaria, il signor Brogonzoli debba ritenersi tenuto alla segnalazione, non provando i documenti prodotti che egli fosse privato
di poteri al riguardo, il ricorrente auspica un diverso risultato valutativo; con ciò sollecitando a questa corte un riesame di merito della lite,
inesigibile in sede di legittimità.
4. Parimenti il quarto motivo – con cui il ricorrente indica come in violazione dell’art. 11 della I. n. 689 del 1981 la sentenza della corte territoriale, nella parte in cui ha ritenuto proporzionata la sanzione irrogata, senza valutare la delega conferita e il comportamento tenuto è inammissibile, non trattandosi come innanzi di indicazione di un vizio ex art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ. ma di una inesigibile
istanza di revisione del merito.
5. In definitiva il ricorso va rigettato, regolandosi le spese secondo
soccombenza e secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.p.r. n. 115 del 2002 va dato atto
del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del co. 1-bis dell’art. 13 cit.

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3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 2697

P.Q.M.

la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che li-

se forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto del
sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso
a norma del co. 1-bis dell’art. 13 cit.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda
civile, in data 25 ottobre 2017.

quida in euro 200 per esborsi ed euro 7.000 per compensi, oltre spe-

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