Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15278 del 25/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 25/07/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 25/07/2016), n.15278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8798/2015 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO

37, presso lo studio dell’Avvocato FRANCESCO FAZZALARI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GENNARO MARIA LOPEZ, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, SCCI Società di

Cartolarizzazione dei Crediti INPS, in persona del rappresentante

legale pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso lo studio dell’Avvocatura Centrale

dell’istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati LELIO MARITATO,

CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1229/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

18/09/2014, depositata il 15/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/06/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito l’Avvocato DI MEGLIO ALESSANDRO, difensore del

controricorrente, delega orale dell’Avvocato SGROI ANTONINO, si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte di appello di Bologna ha rigettato il ricorso proposto da S.G., amministratore della s.r.l. Azeta Ricambi, ed ha confermato la sentenza del Tribunale di Ferrara che ne aveva ritenuto legittima l’iscrizione alla gestione commercianti, disposta d’ufficio dall’Inps a seguito di accertamento culminato nel verbale n. 1593 dell’8.1.2007.

La Corte territoriale ha ritenuto da un canto che le dichiarazioni rese dal S. in sede ispettiva, non contrastate da altri elementi di prova, dimostravano lo svolgimento di attività abituale e prevalente di carattere gestorio – consistente nel controllo sulla gestione del magazzino, nei contatti con i fornitori per rifornirlo, nella ricerca di mercato per la stipula di contratti con nuovi fornitori e, a turno con gli altri soci, nella giornata del sabato, nei rapporti con la clientela – e ne giustificavano l’iscrizione d’ufficio alla gestione commercianti. Dall’altro che la riduzione delle liste testimoniali era stata legittimamente esercitata in funzione della ragionevole durata del processo.

Per la cassazione della sentenza ricorre S.G. che articola quattro motivi con i quali censura la sentenza per avere violato e falsamente applicato gli artt. 2745 e 2380 c.c.; della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203; omesso la motivazione, con conseguente nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, circa la prevalenza dell’attività del ricorrente con riguardo a quella svolta dai lavoratori dipendenti; omesso l’esame di fatti decisivi e discussi tra le parti e nello specifico delle risultanze della prova testimoniale assunta.

Resiste con controricorso l’Inps che insiste per la reiezione del ricorso. Tanto premesso e con riferimento ai primi due motivi di ricorso va rammentato che, come affermato anche di recente da questa Corte (cfr. Cass. sez. 6 L. n. 873 del 2016 e già s.u. n. 17076 del 2011), “l’esercizio di attività in forma d’impresa ad opera di commercianti, di artigiani, ovvero di coltivatori diretti in contemporanea allo svolgimento di attività autonoma, per la quale è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale separata di cui della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, impone, ai fini della doppia iscrizione, l’effettiva coesistenza delle due distinte attività (quali il commercio e l’amministrazione societaria), ognuna delle quali deve essere valutata, ai fini della sussistenza degli obblighi contributivi, secondo gli ordinari criteri, non applicandosi il parametro dell’attività prevalente di cui della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208”.

In particolare si è osservato che del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, a 122, art. 1, comma 1, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica prevede, con norma dichiaratamente di interpretazione autentica, che “La L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 208, si interpreta nel senso che le attività autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all’assicurazione prevista per l’attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell’I.N.P.S.. Restano, pertanto, esclusi dall’applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26”.

Non opera più, quindi, alla stregua della norma interpretativa (ritenuta conforme a Costituzione dalla sentenza n. 15 del 2012 della Corte costituzionale), la regola della attività prevalente e quindi, in via generale, vale l’obbligo di iscrizione e contribuzione sia alla gestione commercianti, sia alla gestione separata.

Tuttavia il presupposto per la iscrizione alla gestione commercianti è che si eserciti effettivamente l’attività commerciale e quindi vi siano le condizioni cui la legge subordina il relativo obbligo.

La disciplina previgente è stata modificata dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203, che così ha sostituito la L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1: “L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613 e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonchè per i soci di società a responsabilità limitata; c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri e ruoli”. L’iscrizione alla gestione commercianti è, quindi, obbligatoria ove si realizzino congiuntamente le fattispecie previste dalla legge e cioè:

1.- la titolarità o gestione di imprese organizzate e dirette in prevalenza con il lavoro proprio e dei propri familiari;

2.- la piena responsabilità ed i rischi di gestione (unica eccezione proprio per i soci di s.r.l.);

3.- la partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;

4.- il possesso, ove richiesto da norme e regolamenti per l’esercizio dell’attività propria, di licenze e qualifiche professionali.

Da tanto deriva che, se la regola espressa dalla norma risultante dalla disposizione interpretata L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 208) e dalla disposizione di interpretazione autentica (D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11) è che l’esercizio di un’attività di impresa commerciale, artigiana o agricola – la quale di per sè comporti l’obbligo dell’iscrizione alla relativa gestione assicurativa presso l’I.N.P.S. – non fa scattare il criterio dell’unificazione della posizione previdenziale in un’unica gestione secondo l’individuazione dell’attività “prevalente”, rimanendo attività distinte e (sotto questo profilo) autonome (sicchè parimenti distinto ed autonomo resta l’obbligo assicurativo nella rispettiva gestione assicurativa) deve coerentemente ritenersi che ognuna delle due distinte attività debba essere valutata, ai fini della sussistenza dell’obbligo contributivo, secondo gli ordinari criteri.

Pertanto la sussistenza di un’attività comportante l’obbligo contributivo nei confronti della gestione commercianti va valutata con i criteri di cui al già sopra ricordato comma 203 della L. n. 662 del 1996, medesimo art. 1.

Ai fini, dunque, di tale ulteriore (rispetto a quello della gestione separata) obbligo contributivo non è richiesta la verifica del requisito della prevalenza (che vale nel solo ambito delle attività autonome inquadrabili nei settori produttivi del commercio, dell’artigianato e dell’agricoltura; vale, cioè, solo al fine di evitare più di una contribuzione nel caso di un soggetto esercente contemporaneamente, anche in un’unica impresa, attività plurime, ma pur sempre tutte “assicurabili” nelle gestioni previste per le attività in parola), bensì quella della sussistenza degli elementi della abitualità e della professionalità della prestazione lavorativa, nonchè degli altri requisiti eventualmente previsti dalle rispettive discipline normative di settore. Per il doppio onere occorre, dunque, una “coesistenza” di attività riconducibili, rispettivamente, al commercio e all’amministrazione societaria.

La verifica della sussistenza di requisiti di legge per tale “coesistenza” è compito del giudice di merito e deve essere effettuata in modo puntuale e rigoroso, indispensabile essendo che l’onere probatorio – il quale, secondo le ordinarie regole, grava sull’ente previdenziale, tenuto a provare i fatti costitutivi dell’obbligo contributivo – (cfr. tra le tante Cass. 20 aprile 2002, n. 5763; Cass. 6 novembre 2009, n. 23600) venga compiutamente assolto, potendo assumere rilevanza, ai fini di tale valutazione e, quindi, della prova del personale apporto all’attività di impresa, con diretta ed abituale ingerenza dell’amministratore nel ciclo produttivo della stessa, elementi quali la complessità o meno dell’impresa, l’esistenza o meno di dipendenti e/o collaboratori, la loro qualifica e le loro mansioni.

Tutto ciò premesso e venendo all’esame delle censure formulate si osserva che la Corte territoriale ha incentrato la sua decisione sullo svolgimento da parte del S. della attività di carattere gestorio consistente nel controllo sulla gestione del magazzino, nei contatti con i fornitori per rifornirlo, nella ricerca di mercato per la stipula di contratti con nuovi fornitori e, a turno con gli altri soci, nella giornata del sabato, nei rapporti con la clientela ed ha ritenuto trattarsi di “facete (…) disimpegnabile anche da un dipendente” attività “abituale e (…) da un punto di vista anche qualitativo efficiente e prevalente pur nella presenza di quattro dipendenti” per il conseguimento dell’oggetto sociale consistente nella vendita all’ingrosso ed al dettaglio di ricambi automobilistici plurimarche.

Tale ricostruzione, sintetica ma completa, aderente ai principi sopra riportati, dà atto della qualità dell’apporto operativo all’attività materiale ed esecutiva della società e ne registra continuità, pur tenendo conto della collaborazione dei dipendenti e non è stato validamente infirmato dalla parte ricorrente e dai mezzi d’impugnazione articolati.

Neppure è ravvisabile la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, formulata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Va rammentato che ove si censuri la sentenza con riferimento all’art. 132 c.p.c., n. 4, vale a dire per la violazione dell’obbligo da parte del giudice di esporre concisamente le ragioni di fatto e di diritto della decisione, la doglianza va, più correttamente rubricata sotto l’art. 360, comma 1, nn. 3 o 5, sostanziandosi in una violazione di legge o più frequentemente in un vizio di motivazione della sentenza. In ogni caso, poi, per quanto concisa la motivazione prende in esame tutte le domande formulate dando compiutamente conto delle ragioni della decisione di tal che non si ravvisa quella motivazione apparente che giustificherebbe la declaratoria di nullità della sentenza.

Per quanto riguarda infine l’ultimo motivo di ricorso con il quale ci si duole della pretermissione di parte delle risultanze dell’istruttoria svolta, va sottolineato che la Corte territoriale mostra di averne tenuto conto laddove chiarisce le ragioni per le quali ha ritenuto di valorizzare le dichiarazioni rese dalla stessa parte e sottolinea che le stesse non risultano infirmate “da una specifica prova contraria”.

In ogni caso, poi, va rammentato che intanto può configurarsi il vizio di motivazione per omesso esame di un documento o delle risultanze di una prova in quanto si tratti di un elemento probatorio decisivo nel senso che la relativa acquisizione sia tale da invalidare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze di causa su cui si è fondato il convincimento del giudice del merito, si che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base.

Pertanto, il ricorrente deve dimostrare con certezza che, ove fossero state esaminate tali risultanze probatorie, la soluzione della controversia sarebbe stata diversa, dovendo qui ricordarsi che non può essere dedotto il vizio di motivazione per denunciare il mancato esame di elementi che siano suscettibili di essere liberamente apprezzati unitamente ad altri con essi contrastanti nell’ambito della valutazione discrezionale del complessivo materiale probatorio riservata al giudice di merito.

Diversamente la Corte di Cassazione verrebbe in sostanza investita del riesame del merito della controversia, che è sottratto al giudice di legittimità.

In conclusione il ricorso manifestamente infondato deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in Euro, 2000,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie ed accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

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