Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15278 del 12/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 12/07/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 12/07/2011), n.15278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6370-2009 proposto da:

IMPRESA GIUSEPPE ORSINI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 30, presso lo studio

dell’avvocato RICCHIUTO CARLO, che la rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.P., B.C., C.A., C.

G., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUCREZIO CARO

38, presso lo studio dell’avvocato DE FRANCESCO GIOVANNI, che li

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1352/2008 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 17/10/2008 R.G.N. 395/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato DE FRANCESCO GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 18.9.2008/17.10.2008 la Corte di appello degli Abruzzi – L’Aquila, pronunciando in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, condannava, in riforma della decisione di primo grado, la Impresa Giuseppe Orsini spa al pagamento in favore di B. C., C.A., C.G. e P.P. di somme a titolo di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimo licenziamento agli stessi intimato.

Osservava in sintesi la corte territoriale che, in conformità al principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, la quantificazione del danno sofferto dai lavoratori doveva essere operata tenendo conto, come normale parametro, della retribuzione che gli stessi avrebbero percepita nel periodo compreso fra la data del licenziamento e quella della riammissione in servizio.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Impresa Giuseppe Orsini con tre motivi.

Resistono con controricorso, illustrato con memoria, gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la società ricorrente lamenta violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 nonchè vizio di motivazione, osservando che, in sede di liquidazione del danno, il giudice era tenuto a valutare non solo l’aliunde perceptum, ma ogni ulteriore circostanza ricollegabile alla condotta negligente del lavoratore e che risultasse idonea a ridurre il danno, quale, nella specie, la disponibilità manifestata dal datore di lavoro alla conciliazione nel corso del giudizio di primo grado.

Con il secondo motivo la ricorrente, con riferimento agli stessi vizi, denuncia che la corte di merito aveva omesso di esaminare le difese svolte in ordine al calcolo dell’indennità risarcitoria, che avrebbe dovuto essere effettuato non sulla base della retribuzione lorda, ma al netto delle ritenute di legge.

Con il terzo motivo, infine, denuncia, sempre con riguardo agli stessi parametri, che i giudici di merito, “appiattendo immotivatamente la pronuncia sulle pur impercorribili richieste dei lavoratori”, avevano quantificato il danno nella misura di 37 mensilità, in luogo delle 33 effettivamente intercorse tra la data del licenziamento e quella di esercizio dell’opzione.

Il primo motivo è infondato.

Ha statuito la sentenza rescindente – con riferimento al capo della pronuncia di appello che aveva limitato il risarcimento del danno a 18 mensilità di retribuzione “in considerazione della disponibilità del datore di lavoro alla conciliazione non corrisposta dai lavoratori” – che “in caso di accertata illegittimità del licenziamento, la quantificazione del danno subito dal lavoratore non può essere fatta forfettariamente, come nella specie, ma deve essere effettuata tenendo conto come normale parametro, della retribuzione che egli avrebbe percepito qualora non fosse stato licenziato”, salvo che il datore di lavoro non eccepisca e provi “la sussistenza di fatti o circostanze idonee a determinare la riduzione del presuntivo ammontare del danno (l'”aliunde perceptum” o, comunque, la possibilità per il lavoratore di evitare il danno con l’ordinaria diligenza”).

La corte territoriale, dando atto del difetto assoluto di prova circa l’eventuale rioccupazione dei dipendenti, si è, quindi, attenuta al principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, sul presupposto – è da evidenziare – che quello nel caso adottato dai giudici di merito determinasse una liquidazione del danno non conforme ai criteri legali, in quanto volto a dar ingresso a criteri riduttivi non ascrivibili all’aliunde perceptum o all’aspettativa di comportamenti doverosamente diligenti del lavoratore. Con il che la corte territoriale, lungi dal disattendere il decisum della sentenza di cassazione, ne ha fatto corretta applicazione, in coerenza con i criteri che, per acquisita giurisprudenza, regolano i poteri del giudice di rinvio, il quale, oltre ad essere vincolato dal principio di diritto, è anche tenuto a non adottare soluzioni configgenti, sul piano fattuale e logico oltre che sotto il profilo giuridico, con quel principio, concretamente disattendendolo, laddove lo stesso può solo esaminare, senza preclusioni, ogni questione che si ponga come diversa e logicamente successiva rispetto all’ambito della pronuncia della Suprema Corte.

Il secondo motivo, con il quale si lamenta che la corte di merito avrebbe omesso di esaminare le difese svolte dalla ricorrente in ordine ai criteri di calcolo dell’indennità risarcitoria è, invece, inammissibile.

Si deve, infatti, ribadire come il vizio di omessa pronuncia, integrando un error in procedendo incidente sulla sentenza impugnata, è deducibile con ricorso per cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nè, a maggior ragione, come vizio motivazionale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, attenendo quest’ultimo all’accertamento e alla esatta valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione (v. ad es. Cass. n. 24856/2006; Cass. n. 11840/2006) e che, in ogni caso, la censura presuppone che l’interessato indichi in quali atti tale difesa sia stata formulata, documentandone il contenuto, dal momento che, sebbene la violazione dell’art. 112 c.p.c. configuri un error in procedendo, per il quale la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto processuale, il diretto esame degli atti è pur sempre condizionato ad un apprezzamento preliminare della decisività della questione (v. SU n. 15781/2005). Infondato è, infine, l’ultimo motivo.

La corte territoriale, infatti, nel determinare il danno nella misura delle retribuzioni maturate dai lavoratori dalla data del licenziamento a quella dell’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione, lo ha quantificato ricomprendendovi “tutte le voci economiche correlate all’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa”, e, quindi, (ancorchè implicitamente) con inclusione delle mensilità aggiuntive relative al periodo di riferimento.

Così uniformandosi all’insegnamento di questa Corte circa la nozione di retribuzione globale di fatto, la quale deve intendersi come comprensiva di ogni elemento che il lavoratore avrebbe percepito per effetto dello svolgimento della prestazione, ad eccezione dei compensi non collegati air effettiva presenza in servizio, ma solo eventuali, nonchè di quelli riconducibili a particolari modalità di svolgimento della prestazione o aventi carattere indennitario, e, quindi, con inclusione anche dei ratei delle mensilità aggiuntive annualmente corrisposte (cfr. in tal senso anche Cass. n. 3259/2003).

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Coorte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 40,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2011

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