Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15272 del 12/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 12/07/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 12/07/2011), n.15272

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 12034/2009 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliata in Roma, Via Cicerone n.

18, presso lo studio dell’Avv. Elisabetta Rampelli, rappresentato e

difeso dall’Avv. Barbuzzi Vito del foro di Venosa per procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.D., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza

Annibaliano n. 18, presso lo studio dell’Avv. Carmen Telesca,

rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti Murano

Antonio e Vincenzo Paolino per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 643/08 della Corte di Appello di

Potenza del 8.05.2008/12.06.2008 nella causa iscritta al R.G. n. 872

dell’anno 2005.

Udita la relazione del Cons. Dott. Alessandro De Renzis svolta nella

pubblica udienza del 10.05.2011;

udito l’Avv. Achille Carone Fabiani, per delega dell’Avv. Vito

Barbuzzi, per il ricorrente;

sentito il P.M., nella persona del Sost. Proc. Gen. Dott. APICE

Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Melfi con sentenza n. 109 del 2004 dichiarava la nullità del ricorso proposto da T.D. in data 4.06.1997, avente ad oggetto il riconoscimento del suo diritto al pagamento di differenze retributive per complessive L. 374.743.000 in relazione a rapporto di lavoro intercorso con C.V..

Tale decisione, appellata dal T., è stata riformata dalla Corte di Appello di Potenza con sentenza n. 643 del 2008, che, esclusa la nullità dell’originario ricorso e ritenuta fondata l’eccezione di prescrizione per il periodo giugno 1985/agosto 1990, ha determinato, sulla base dei testi escussi e della documentazione acquisita, nonchè dell’ammessa Consulenza tecnica di ufficio, le differenze retributive – per il periodo gennaio 1993/gennaio 1996 – in complessivi Euro 55.052,31, oltre accessori.

La Corte territoriale ha escluso qualsiasi volontà abdicativa, non desumibile dalla buste paga, e ha ritenuto che potesse trovare applicazione il contratto collettivo nazionale di lavoro, anche in assenza di espressa adesione del datore di lavoro.

Il C. ricorre per cassazione fondato su cinque motivi.

T.D. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 156, 164 e 414 c.p.c., nonchè vizio di motivazione su fatto decisivo, sostenendo che il giudice di merito non correttamente ha ritenuto sanata la nullità del ricorso introduttivo.

Il motivo è infondato, avendo il primo giudice affermato che – a seguito della disposta comparizione delle parti e dell’integrazione del ricorso attraverso il deposito di conteggi specifici sulle differenze retributive che avevano consentito di superare l’incompletezza dello stesso ricorso – si era ricuperata ai sensi dell’art. 164 c.p.c. a validità dell’atto introduttivo della lite.

La sentenza impugnata non appare pertanto censurabile, avendo fatto applicazione dei principi di cui alla decisione delle Sezioni Unite di questa Corte n. 11353 del 17 giugno 2004.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 156, 157, 164, 414, 434, 329 e 342 c.p.c., rilevando che il giudice di appello – dichiarata sanabile la nullità del ricorso introduttivo – non avrebbe potuto scendere nel merito della domanda utilizzando le prove già espletate in primo grado, se non annullando espressamente il provvedimento del primo giudice di revoca dell’ordinanza ammissiva delle prove consacrata in sentenza, a ciò ostando la mancata specifica impugnazione. Il giudice di appello quindi, ad avviso del ricorrente, avrebbe dovuto ritenere la domanda sprovvista di prova e rigettarla nel merito.

Tale motivo si presenta inammissibile in relazione al quesito di diritto come risulta dal ricorso (cfr pag. 13), non essendo stato formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. in modo che la Corte possa rispondere semplicemente con un si o con un no, ma richiedendo una previa attività interpretativa della stessa Corte, come accade nell’ipotesi in cui sia proposto un quesito multiplo, la cui formulazione imponga alla Corte di sostituirsi al ricorrente mediante una preventiva opera di semplificazione, per poi procedere alla singole risposte che potrebbero essere tra loro diversificate (Cass. 29 gennaio 2008 n. 1906; Cass. 29 febbraio 2008 n. 5471).

In ogni caso il motivo è infondato, atteso che la revoca dell’ordinanza ammissiva delle prove è intervenuta in primo grado in relazione alla dedotta nullità del ricorso, sicchè il giudice di appello ha tenuto conto della validità della domanda e ha valorizzato – ai fini del merito – le prove raccolte.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il giudice di appello riconosciuto all’appellato la qualifica di operaio specializzato di 2^ livello, in luogo di quella richiesta di operaio generico (aiutante panettiere di 3^ livello).

Anche questo motivo è inammissibile, perchè il ricorrente si è limitato a sollevare la violazione dell’art. 112 c.p.c., senza indicare il profilo di diritto enucleato dall’art. 360 c.p.c. e senza che abbia fatto valere la violazione di disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Al riguardo sulla questione si richiama l’orientamento giurisprudenziale, che si condivide, secondo cui la decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura delle sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e neppure per motivazione “per relationem” resa in modo difforme da quello non consentito, bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame, per cui se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 o n. 5, anzichè dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. dello stesso codice, il ricorso si rivela inammissibile (cfr. al riguardo tra le altre :Cass. 4 giugno 2007 n. 12952).

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione falsa applicazione dell’art. 2113 cod. civ., per non avere il giudice di appello attribuito valore di rinuncia e transazione alle buste paga, sottoscritte dal T., e dettagliate in tutti i loro elementi.

Questo motivo non può trovare ingresso in questa sede, giacchè il giudice di appello ha spiegato con un iter motivazionale corretto la mancata violazione della richiamata norma e il mancato verificarsi della decadenza dei crediti azionati. E avverso tale punto della decisione il ricorrente ha proposto una censura generica e basata su una errata lettura delle buste paga, che tra l’altro non sono state allegata al ricorso in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

5. Con Il quinto motivo il ricorrente denuncia un vizio di motivazione circa l’effettiva retribuzione percepita al fine della verifica di congruità, e ciò in relazione all’applicazione del CCNL in assenza di adesione del datore di lavoro e in relazione anche alla mancata invocazione dei criteri stabiliti dall’art. 36 Cost. da parte del lavoratore. Anche questo motivo risulta inammissibile, perchè esso non si conclude con il quesito di diritto in violazione del principio secondo cui ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione, che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in un una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (cfr Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556).

6. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 23,00 oltre Euro 2000,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2011

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