Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15271 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 20/06/2017, (ud. 17/05/2017, dep.20/06/2017),  n. 15271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15227-2012 proposto da:

V.M.P., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA PORTUENSE 104, presso lo studio dell’avvocato ANTONIA DE

ANGELIS, rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONIO SALEMME,

GIANCARLO VIOLANTE RUGGI D’ARAGONA;

– ricorrenti –

contro

COMUNIONE RIONE ORTODONICO DI POZZUOLI, in persona

dell’amministratore p.t., D.R.L., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO 16, presso lo studio dell’avvocato

DARIO IMPARATO, rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNO ARENA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1407/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 27/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/05/2017 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

RILEVATO

che:

V.M.P. con atto di citazione notificato il 13 aprile del 1992 conveniva innanzi al Tribunale di Napoli la comunione del rione ortodonico di Pozzuoli in persona dell’amministratore pro tempore signor P.A. perchè, previa declaratoria della titolarità esclusiva del vialone di accesso di un fabbricato sito in (OMISSIS), fosse accertata l’effettiva consistenza della servitù di passaggio, ripristinato lo stato dei luoghi, ordinata la cessazione delle turbative e delle molestie e risarciti i danni arrecati nel corso del tempo, in via subordinata, nel caso in cui il ripristino dello status quo fosse stato eccessivamente gravoso, si chiedeva una somma di denaro a titolo di ulteriore risarcimento danni;

instaurato il contraddittorio si costituiva la comunione a mezzo dell’amministratore pro tempore ed eccepiva il difetto di legittimazione attiva dell’attrice essendo stata la strada usucapita dal comune;

La causa veniva decisa con sentenza del 5 maggio 2006 con la quale l’attrice veniva dichiarata proprietaria esclusiva del viale e la servitù di passaggio a favore della comunione del rione ortodonico di Pozzuoli veniva individuata solo in relazione al tratto del viale che partendo dalla (OMISSIS) si sviluppava per metri 55;

la Comunione convenuta veniva condannata al risarcimento dei danni liquidati in Euro 40.103,00 oltre rivalutazione interessi, veniva, invece, rigettata la domanda riconvenzionale di usucapione e condannata la convenuta al pagamento delle spese di giudizio;

avverso tale sentenza proponeva appello la comunione del rione ortodonico di Pozzuoli chiedendo preliminarmente che venisse dichiarata la nullità della pronuncia perchè resa a contraddittorio non integro e, nel merito, che fosse rigettata la domanda dell’attrice;

la Corte d’appello, rilevata la tempestività del gravame e la legittimazione all’impugnazione della comunione del rione ortodonico, in persona del suo amministratore, in quanto parte soccombente nel giudizio di primo grado, accoglieva il motivo di appello relativo alla nullità della sentenza di primo grado per mancata integrazione del contraddittorio;

per quanto ancora di interesse rilevava la corte d’appello che la domanda attorea rettamente qualificata del primo giudice in termini di negatoria servitutis era stata proposta nei confronti dell’amministratore della comunione senza che risultasse comprovato il suo potere di rappresentanza dei partecipanti alla comunione;

l’art. 1105 c.c. prevede che tutti i partecipanti alla comunione hanno diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune e l’art. 1106 c.c., comma 2, stabilisce che con la maggioranza ordinaria i comunisti possono nominare un amministratore determinando i relativi poteri e obblighi;

pertanto, secondo il dettato normativo, i poteri dell’amministratore devono essere determinati dal regolamento della comunione o dal provvedimento di nomina e, in mancanza, l’amministratore non è investito della rappresentanza sostanziale e processuale della comunione, nell’ambito delle sue competenze, come avviene nel condominio, ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c.;

in altri termini, l’amministratore della comunione è un mandatario senza rappresentanza, a meno che tale potere non sia stato espressamente conferito con il regolamento e con il provvedimento di nomina e non è consentita alcun applicazione analogica della regola contenuta all’art. 1131;

nella specie il regolamento della comunione del rione ortodonico adottato il 17 marzo 1967, pur prevedendo la nomina di un amministratore, non conferiva a tale organo poteri rappresentativi;

inoltre non risultava prodotta in giudizio la delibera di nomina del signor P.A. quale amministratore sicchè non era possibile accertare se con tale atto al medesimo fosse stato espressamente conferito il potere di rappresentare i partecipanti in ordine alla gestione del viale di accesso;

d’altro canto la delibera del 19 maggio del 1992 con la quale il P. nella qualità di amministratore, fu incaricato di costituirsi del giudizio instaurato dalla V. e di nominare un avvocato di sua fiducia, era limitata al conferimento della rappresentanza processuale, che non può essere disgiunta da quella sostanziale ex art. 77 c.p.c., sicchè, mancando la prova dell’espresso conferimento del potere di rappresentanza sostanziale all’amministratore, doveva escludersi la sua legittimazione passiva;

secondo la corte d’appello, essendo l’amministratore, uno dei partecipanti alla comunione, si era comunque instaurato il giudizio nei confronti di uno dei comproprietari e, pertanto, il contraddittorio avrebbe dovuto essere esteso nei confronti di tutti gli altri comunisti, trattandosi di un’ipotesi di litisconsorzio necessario;

infatti la domanda della V. non era limitata all’accertamento dell’inesistenza del diritto di servitù di passaggio da parte dei comproprietari del rione ortodonico, ma aveva ad oggetto, secondo la prospettazione dell’atto di citazione, anche il ripristino dello stato dei luoghi, mediante la demolizione di paletti e recinzioni realizzate al fine di allargare il viale di accesso ai suoi danni, sicchè l’azione non mirava soltanto all’accertamento negativo ma anche al mutamento dello stato di fatto mediante la demolizione di opere e richiedeva, perciò, la partecipazione necessaria al giudizio di tutti i comunisti;

sulla base di tali argomentazioni veniva dichiarata la nullità della sentenza con conseguente rimessione degli atti al giudice di primo grado ex art. 354 c.p.c. con compensazione delle spese;

avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione, con due motivi, V.M.P.;

si è costituita con controricorso la Comunione del rione ortodonico di Pozzuoli chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo attiene alla violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1105 c.c. e art. 1106 c.c., comma 2;

La ricorrente riporta innanzitutto il verbale assembleare della comunione del parco ortodonico del 7 maggio 1992 dal quale, al punto quattro, emerge che l’ordine del giorno aveva ad oggetto la discussione sulla costituzione in giudizio della comunione a seguito della citazione della medesima V.M.P. e l’assemblea all’unanimità dava mandato all’amministratore di costituirsi in giudizio e di nominare a tal scopo un avvocato di sua fiducia per tutelare gli interessi dell’intera comunione;

pertanto, secondo la ricorrente, in data 7 maggio 1992, l’assemblea dei (OMISSIS) aveva conferito all’amministratore dell’epoca l’incarico di rappresentare la comunione nel giudizio da Lei intentato e a tal uopo di nominare un avvocato;

tale conferimento di incarico avrebbe la portata di una manifestazione di volontà, tra l’altro espressa dalla totalità degli aventi titolo, inequivocabilmente diretta a porre l’amministratore nella condizione di rappresentare la comunione e, con essa, i comunisti con poteri di costituzione in giudizio al fine di tutela degli interessi e, quindi, idonea a conferire all’amministratore quella legittimazione ad agire e contraddire che costituisce il presupposto necessario e sufficiente a legittimare l’amministratore della comunione a rappresentare quest’ultima nel processo;

Il motivo è infondato;

la Corte d’Appello ha ritenuto di conformarsi alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale “Nel caso di actio negatoria servitutis da cui consegua la modificazione del bene costituente fondo dominante appartenente a più soggetti, sussiste litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari dello stesso” (Sez. 2, n. 26653 del 2007);

nel caso di specie i ricorrenti non contestano tale preliminare affermazione, pertanto, può darsi per accertato che, nella specie, sussisteva un’ipotesi di litisconsorzio necessario perchè la ricorrente nella domanda originaria di negatoria servitutis aveva chiesto anche la rimozione di opere comportanti una modificazione del bene costituente il fondo dominante;

ciò premesso deve richiamarsi la giurisprudenza di legittimità secondo la quale: “l’amministratore della comunione ex art. 1106 c.c. non è legittimato a rappresentare i comunisti se tale potere non gli sia stato attribuito espressamente nella delega di cui all’art. 1106, comma 2, non essendo applicabile analogicamente – per la presenza della disposizione citata, che prevede la determinazione dei poteri delegati – la regola contenuta nell’art. 1131 c.c., comma 1, la quale attribuisce all’amministratore del condominio il potere di agire in giudizio sia contro i condomini che contro terzi (Sez. 2, Sentenza n. 4209 del 2014);

pertanto, colui che vuol far valere in giudizio un diritto nei confronti di una comunione pro indiviso, ha l’onere di chiamare in giudizio tutti i comunisti o, in alternativa, colui che ne ha la rappresentanza sostanziale;

nel caso di specie, non risulta che il regolamento della Comunione del rione ortodonico di Pozzuoli attribuisca poteri di rappresentanza sostanziale all’amministratore della comunione;

d’altra parte anche questa circostanza non è contestata dai ricorrenti che fanno riferimento al verbale di assemblea del 7 maggio 1992 quale atto di conferimento del potere di rappresentanza sostanziale in capo all’amministratore della comunione;

tale verbale, tuttavia, come correttamente ha rilevato la Corte d’Appello, era idoneo unicamente a conferire la rappresentanza processuale, attribuendo al P. l’incarico di costituirsi nel giudizio instaurato dalla V. e di nominare un avvocato di sua fiducia;

la rappresentanza processuale, com’è noto, non può essere disgiunta da quella sostanziale ex art. 77 c.p.c., sicchè, mancando la prova dell’espresso conferimento del potere di rappresentanza sostanziale all’amministratore, deve escludersi la sua legittimazione passiva;

ne consegue che la notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, effettuata nei confronti dell’amministratore della Comunione, era stata fatta nei confronti di soggetto privo di rappresentanza sostanziale;

risulta corretta, pertanto, l’affermazione della Corte d’Appello secondo la quale la notifica dell’atto introduttivo non era da qualificarsi come giuridicamente inesistente in quanto il P., oltre ad essere amministratore della comunione, era anche uno dei comunisti e, in tale qualità, poteva essere citato in giudizio;

allo stesso modo è corretta la conseguente declaratoria di nullità della sentenza di primo grado perchè emessa in assenza di regolare citazione di tutti i partecipanti alla comunione in qualità di litisconsorti necessari;

con il secondo motivo di ricorso si far valere l’omessa insufficiente contraddittoria motivazione cerca un punto decisivo della controversa prospettato dalle parti ex art. 360 c.p.c., n. 5;

secondo la ricorrente, la Corte d’appello non avrebbe preso in esame la sua articolata censura circa la mancanza di rappresentanza processuale della comunione non risultando alcuna autorizzazione assembleare a presentare l’appello avverso la sentenza di primo grado;

inoltre si ravvisa una intima contraddizione della sentenza impugnata nella parte in cui da un lato ritiene che il deliberato assembleare del 7 maggio 92 non sia utile al conferimento di incarico all’amministratore di rappresentare interessi della comunione nel giudizio contro di essa intentato e dall’altro lo si ritiene invece utile a legittimare l’impugnazione, addirittura in mancanza di un’espressa autorizzazione assembleare;

infatti o la comunione è stata inutilmente convenuta in giudizio ed è da ritenersi priva di interesse e di legittimazione all’impugnazione di una decisione inutilmente data nei riguardi dei singoli partecipanti oppure la controversia ha comunque ad oggetto un interesse comune dei partecipanti alla comunione, ragion per cui essa è stata correttamente individuata come legittimata passiva;

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di legittimità: “La qualità di parte legittimata a proporre l’impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito conclusosi con la decisione impugnata, indipendentemente dalla effettiva titolarità (dal lato attivo o passivo) del rapporto sostanziale dedotto in giudizio. (Nella specie la S.C., in applicazione del principio sopra riportato, ha cassato la sentenza con la quale la Corte d’appello aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta dall’appellante, nella qualità di agente raccomandatario dell’armatore e/o vettore di altro soggetto, cioè nella medesima qualità per la quale era stato espressamente condannato dalla sentenza di primo grado impugnata)” Sez. 3, n. 16100 del 2006;

Pertanto nel caso di specie l’amministratore della Comunione del rione ortodonico di Pozzuoli era certamente legittimato a proporre l’impugnazione della sentenza resa nel giudizio di primo grado nel quale era stato parte del giudizio, tenendo conto oltretutto che la legittimazione passiva era stata indagata dal primo giudice e risolta nel senso della sua sussistenza in capo all’amministratore convenuto, il quale, pertanto, aveva certamente interesse a contestare tale decisione assunta dal giudice con la sentenza appellata;

in conclusione il ricorso deve essere interamente rigettato e le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento di questo giudizio, liquidate in Euro 2.200,00 (duemiladuecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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