Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15270 del 24/06/2010

Cassazione civile sez. II, 24/06/2010, (ud. 27/05/2010, dep. 24/06/2010), n.15270

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.M., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. MAIRA Raimondo,

elettivamente domiciliato nello studio dell’Avv. Rosario Livio Alessi

in Roma, piazza Martiri di Belfiore, n. 2;

– ricorrente –

contro

C.V., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avv. ANGILELLA Giuseppe,

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Giorgio De

Caroli in Roma, via Emilio Faa Di Bruno, n. 52;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta n. 240

depositata il 20 Novellare 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27 maggio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che il consigliere designato ha depositato, in data 15 dicembre 2009, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: “Con sentenza in data 24 ottobre 2008, la Corte d’appello di Caltanissetta, in riforma della impugnata decisione di primo grado, ha condannato F.M. al pagamento, in favore di C.V., della somma di Euro 3.428,50, oltre interessi legali dal 19 giugno 2000 al soddisfo, a titolo di rimborso spettante all’acquirente per quanto da essa pagato per la definizione della pratica amministrativa di sanatoria edilizia dell’immobile che il venditore si era impegnato a sostenere.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il F. ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi.

L’intimata ha resistito con controricorso.

Il primo motivo – con cui si deduce vizio di extrapetizione per avere la Corte d’appello riformato la sentenza per un motivo diverso da quelli, relativi alla prescrizione, fatti valere con il gravame – è manifestamente infondato. Risulta infatti dagli atti che, con il primo motivo di appello, la C. si dolse che il Tribunale non avesse rilevato che l’obbligo del F. di pagare l’importo dell’oblazione scaturiva dalla legge e dagli impegni contrattuali.

Il secondo motivo (violazione per non applicazione e per falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., degli artt. 1362, 1363 e 1266 cod. civ., dell’art. 2946 cod. civ., della L. n. 47 del 1985, art. 35, comma 12, come recepito dalla L.R. Siciliana n. 37 del 1985, e succ. modif., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., numero 3; nonchè motivazione omessa e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., numero 5) è inammissibile. Invero, i quesiti di diritto che lo concludono non rispettano le prescrizioni di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ..

Per costante giurisprudenza (tra le tante, Cass., Sez. 1^, 22 giugno 2007, n. 14682), il quesito che il ricorrente è chiamato a formulare, per rispondere alle finalità della norma, deve esser tale da consentire l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, di un diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di cassazione sia idonea a determinare una decisione di segno diverso.

Se così non fosse, se cioè il quesito non risultasse finalizzato alla cassazione sul punto della sentenza impugnata, o comunque non apparisse idoneo a conseguire tale risultato, ciò vorrebbe dire o che esso non ha in realtà alcuna attinenza con l’impugnazione e con le ragioni che la sorreggono o che il ricorrente non ha interesse a far valere quelle ragioni. Nell’uno come nell’altro caso non potrebbe non pervenirsi alla conclusione dell’inammissibilità del motivo di ricorso.

Nella fattispecie in esame i plurimi quesiti giuridici non evidenziano in alcun modo quale sarebbe la diversa ratio decidendi a sostegno della impugnata decisione. In particolare, poi, il quesito attinente all’interpretazione della clausola contrattuale non evidenzia l’errore ermeneutico che, in base agli artt. 1362 e ss.

cod. civ., sarebbe stato compiuto dalla Corte d’appello, ma si risolve nella sollecitazione ad una diversa ricostruzione della portata della stessa. L’esame del terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 345 e 356 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., numero 3, e motivazione omessa e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) è impedito dalla formulazione congiunta di censure per violazione di legge e per vizio di motivazione, giacchè, giusta quanto questa Corte ha ripetutameli te rilevato, deduzione congiuntiva siffatta integra una palese negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 bis cod. proc. civ., per la prospettazione dei vizi tanto della prima quanto della seconda categoria, là dove è prescritto che ciascun motivo debba contenere, nell’un caso, il quesito di diritto e, nell’altro, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione; cumulando, infatti, nella medesima argomentazione critica, il vizio di violazione di legge con quello di motivazione, si omette tale chiara indicazione, che dovrebbe comunque concludersi con un momento di sintesi equipollente al quesito di diritto, rimettendo al giudice di legittimità il compito d’enucleare, dalla mescolanza delle argomentazioni, la parte concernente il vizio di motivazione, il quale deve, invece, avere un’autonoma collocazione ed in ordine al quale la mancanza, l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione debbono avere, ciascuna autonomamente considerata in ragione delle peculiari caratteristiche del singolo vizio, separata trattazione e distinta sintesi interrogativa (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153;

Cass. 11 aprile 2008, n. 9470; Cass. 29 febbraio 2008, n. 5471; Cass. 23 luglio 2008, n. 20355). Il quarto motivo, attinente alle spese, è manifestamente infondato, avendo la Corte di merito fatto applicazione del principio della soccombenza.

Sussistono, quindi, le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio”.

Letta la memoria del ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN FATTO

Che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che, quanto al primo motivo, va ribadito che nessun vizio di extrapetizione è configurabile, giacchè nel primo motivo dell’atto di appello la C. deduceva, tra l’altro, che l’obbligo del F. di provvedere pagamento della oblazione “scaturiva dalla legge e dagli impegni contrattuali”;

che il secondo motivo è affidato al seguente quesito di diritto: “se alla fattispecie si applica la prescrizione breve prevista dalle norme urbanistiche di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 35, comma 12, interamente recepito dal legislatore regionale siciliano con L. n. 37 del 1985, e sue successive modificazioni; se detto termine breve di 36 mesi per la configurazione della prescrizione decorre dalla presentazione della domanda di condono edilizio; se detto termine, alla luce della documentazione acquisita al giudizio, è stato interrotto; se la decorrenza di questo termine speciale breve di prescrizione è sottoposto a condizioni; se nella specie è comunque decorso, in assenza di atti interruttivi, anche il termine di prescrizione ordinaria; se la intervenuta prescrizione, breve ed ordinaria, degli eventuali obblighi di F.M. nei confronti del Comune di Caltanissetta opera anche nei confronti ed a beneficio di C.V.; se, pertanto, C. V. ha proceduto ad un pagamento indebito nei confronti del Comune e se, quindi, illegittimamente chiede il ristoro a F. M. di quanto non dovutamente versato al Comune di Caltanissetta; se gli obblighi contrattuali assunti da F. M. nei confronti di C.V. sono, a loro volta, dipendenti, in positivo ed in negativo, dagli obblighi assunti dal F. nei confronti del Comune; se il F., non avendo ricevuto alcuna richiesta da parte del Comune, ha in buona fede dichiarato nel pubblico rogito di vendita di avere versato quanto dovuto per oblazione ed oneri relativi alla domanda di sanatoria edilizia; se con la voltura della concessione edilizia, avvenuta a richiesta di C.V., la stessa si è comunque assunta ogni obbligo nei confronti del Comune”; “se la corretta interpretazione della clausola di cui si discute, anche alla luce dell’intero atto di vendita, si riferisce, o meno, alle sole spese vive e non alla oblazione ed agli oneri”;

che il motivo è inammissibile per inidoneità del quesito;

che, invero, questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che formuli il quesito in difformità dai criteri informatori della norma;

che, diversamente da quanto sembra presupporre il ricorrente nella memoria illustrativa, il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che non pertinente è il richiamo, operato nella memoria illustrativa, alla ordinanza di questa Corte 5 ottobre 2009, n. 212 91, che riguarda un caso nel quale il quesito risultava “con sufficiente chiarezza nell’ultima parte di pag. 17 e nelle prime tre righe di pag. 18, ove si legge un riferimento concreto al fatto che “l’unica indagine commissionata al Giudice di rinvio era quella concernente l’annullabilità parziale del contratto rimanendo assolutamente estraneo il tema del rilascio delle singole unità” ed ove “si legge poi che quindi la pronuncia resa avrebbe violato i principi che reggono il giudizio di rinvio, enunciati adeguatamente”;

che, pertanto, detto precedente non può essere richiamato per fondare la tesi secondo cui il quesito ex art. 366 bis cod. proc. civ., sarebbe desumibile per via interpretativa dal contenuto della proposta censura;

che, pertanto, il motivo è inammissibile, perchè non si conclude con un quesito che individui tanto il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata;

che il terzo motivo di ricorso si conclude con il quesito “se nel caso di cui si discetta il giudice di appello aveva l’obbligo di esaminare i motivi dell’appello incidentale condizionato, che non potevano essere considerati assorbiti dalle motivazioni espresse in sentenza, e doveva ammettere la prova orale ritualmente richiesta ed articolata da F.M.”;

che, oltre a ribadire quanto espresso nella proposta di definizione ex art. 380 bis cod. proc. civ., il Collegio rileva: che il quesito non specifica affatto quali sarebbero i motivi dell’appello incidentale condizionato su cui la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciare; che il vizio di omessa pronuncia è prospettato come vizio in iudicando, anzichè come vizio in procedendo, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4; che il motivo non riporta il capitolo su cui avrebbe dovuto vertere la prova non ammessa dal giudice d’appello;

che, in ordine al quarto motivo, va confermato il principio secondo cui, in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa: pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass., sez. lav., 5 aprile 2003, n. 5386);

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di Cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta, il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi Euro 800,00 di cui Euro 600,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2010

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA