Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15268 del 01/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 01/06/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 01/06/2021), n.15268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4686-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UBI BANCA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VAL GARDENA

3, presso lo studio dell’avvocato LUCIO DE ANGELIS, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO TARZIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3208/2015 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA,

depositata il 10/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

17/02/2021 dal Consigliere Dott. BALSAMO MILENA.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Emerge dalla sentenza impugnata che la società Ubi Banca s.p.a. proponeva ricorso monitorio per il pagamento delle somme dovute in virtù di due finanziamenti a medio termine concessi alla società Camuzzi Nautica s.p.a. e alla società Cantieri di Pisa s.p.a., garantiti dalla società Camuzzi international s.p.a. Il decreto ingiuntivo ottenuto fu registrato e l’istituto di credito versava la relativa imposta fissa di registro. L’Agenzia delle Entrate recuperava con avviso di liquidazione l’imposta pari allo 0,50 sulla garanzia prestata con lettera di patronage dalla società Camuzzi per le obbligazioni assunte dalla controllata del gruppo Baglietti s.p.a., nonchè l’imposta pari al 3% sugli interessi da capitale e l’imposta pari all’1% sulla ricognizione del debito contenuto nell’accordo del 28 maggio 2019.

La CTP di Milano, ravvisando la violazione del principio di alternatività Iva-registro, accoglieva il ricorso. Proposto appello dall’amministrazione finanziaria, la Commissione tributaria regionale della Lombardia lo respingeva, in base alla considerazione che il pagamento degli interessi moratori correlati al finanziamento rientrava nel campo di applicazione dell’iva, con conseguente applicazione dell’imposta fissa di registro; – che anche la garanzia prestata dalla controllante in quanto operazione soggetta ad iva seguiva il medesimo trattamento fiscale; – che l’accordo del 28 maggio 2009 non conteneva una ricognizione del debito ma solo la determinazione di un piano di ammortamento del debito.

Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate per ottenerne la cassazione, che articola in tre motivi, al quale la società replica con controricorso.

Diritto

CONSIDERAZIONI IN DIRITTO

2. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle Entrate lamenta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, Tariffa, parte prima, allegata, art. 8, comma 1, lett. b), nonchè del medesimo decreto, art. 40.

Rimarca che gli interessi moratori sono esclusi dalla base imponibile ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 15, con esclusione dal campo Iva, non rappresentando essi il corrispettivo prodotto dall’operazione di finanziamento come gli interessi compensativi.

3. Con il secondo mezzo, si denuncia violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, nonchè del Tur, tariffa parte Prima allagata, art. 6 ex art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il decidente affermato la sottoposizione ad Iva della garanzia, fondandosi sulla connessione intercorrente tra il finanziamento soggetto ad IVA con un’operazione diversa, quale la lettera di patronage che aveva, nella fattispecie, la natura di contratto autonomo di garanzia, tale dovendosi qualificare il contratto che presenta la clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni”. In considerazione dell’autonomia negoziale, la fideiussione contenuta nella lettera di patronage non sarebbe quindi attratta nella disciplina tributaria dell’IVA.

4. Con la terza censura si lamenta la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 40, nonchè del Tur, tariffa parte Prima allegata, art. 3 e dell’art. 1362 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3; per avere il giudicante interpretato l’accordo del 28 maggio 2009 come atto unilaterale riconducibile ad una mera predisposizione di un piano di ammortamento, ritenendo la ricorrente, al contrario, che l’accordo in questione contenga invece un vera e propria ricognizione del debito, con ciò violando il disposto dell’art. 1362 c.c. che impone di ricercare la comune volontà dei contraenti.

5. La prima censura è fondata.

E’ principio consolidato di questa Corte che “Le somme dovute a titolo di interessi moratori, in forza del disposto di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 15, non concorrono a formare la base imponibile ai fini dell’IVA, con la conseguenza che esse – ove formino oggetto di condanna contenuta in un provvedimento giudiziale – sono assoggettate all’imposta di registro in misura proporzionale, anche quando riguardino una somma capitale soggetta ad IVA. (Cass. n. 17276/2017; 22228 del 30/10/2015 n. 21775/2014).

6. Destituito di fondamento è il secondo motivo.

L’art. 8 cit. assoggetta ad imposta di registro gli atti dell’Autorità Giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, un giudizio, prevedendo, in una articolata casistica, fattispecie in cui l’imposta è dovuta in misura fissa ed altre in cui è dovuta in misura proporzionale. Ai sensi della lett. b) sono soggetti ad un imposta proporzionale del 3% quelli “recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”; recita poi la nota II allo stesso articolo:” Gli atti di cui al comma 1, lettera b), e al comma 1-bis non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi del testo unico, art. 40.” Secondo il richiamato art. 40, comma 1, “Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa.”

Dal quadro normativo innanzi delineato deriva l’operatività nel nostro sistema tributario del principio della cd. alternatività tra IVA e l’imposta di registro, che esclude l’applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale per la registrazione di atti relativi ad operazioni che risultano già assoggettate ad IVA. La corretta applicazione di tale principio presuppone che in presenza della registrazione di una sentenza di condanna (in questo caso di un decreto ingiuntivo) al pagamento di somme venga verificato, preliminarmente, se quelle stesse somme si riferiscano o meno a prestazioni di beni o servizi soggette all’imposta sul valore aggiunto.

Nel caso in esame, non è in discussione il fatto che la sentenza avesse ad oggetto un’operazione di finanziamento soggetto ad IVA, quale “prestazioni di servizi” D.P.R. n. 633 del 1972 ex art. 3, comma 2, n. 3, ancorchè poi esentata dall’imposta stessa dal successivo art. 10, n. 1, esenzione che, secondo consolidata giurisprudenza, non esclude l’applicazione del principio dell’alternatività imposta di registro-IVA (Corte Cost. 14 dicembre 2014, n. 279 e 13 luglio 2017, n. 177 e Cass. n. 29385 del 2019; n. 24268 del 2015; n. 9403 del 2007). La fattispecie è però resa complessa dalla presenza di fideiussori, sicchè in essa convivono più rapporti, ciascuno autonomo e scindibile: quello fra creditore e debitore principale, quello fra creditore e fideiussore, quello fra fideiussore e debitore. In questa sede rileva esclusivamente il rapporto creditore/debitore principale, che trova il suo titolo nel finanziamento soggetto ad IVA, rispetto al quale “La registrazione del decreto ingiuntivo esecutivo ottenuto dal creditore per il pagamento di somme assoggettate ad I.V.A. gode, giusta il principio dell’alternatività previsto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40, dell’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa. Il dato secondo cui l’ingiunzione sia emessa contro il solo debitore principale, il fideiussore o entrambi, non soggetti I.V.A. non assume rilievo” (Vedi Cass. n. 9390 del 2007; n. 16098 del 2000; n. 3572 del 1998; n. 9007 del 1992); si tratta di precedenti che, come constatato anche dal recente arresto delle Sezioni Unite,” si riferiscono all’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa al decreto ingiuntivo ottenuto non già dal garante, bensì dal creditore soggetto iva nei confronti del debitore principale, del garante o di entrambi in relazione all’unica operazione” (in motivazione Cass. n. 18520 del 2019).

6.1 Sul solco di detto orientamento, ritiene questa Corte che in tali ipotesi l’elemento dirimente ai fini impositivi sia il conseguimento da parte del creditore, soggetto IVA, di un unico titolo esecutivo per il soddisfacimento del proprio diritto, a prescindere dal fatto che tale diritto trovi la sua fonte sia nel rapporto principale con il debitore che in quello di garanzia. La delineata natura del fatto tassabile comporta, come logico corollario, l’identità del prelievo fiscale, indipendentemente dalla circostanza che l’obbligazione di uno dei debitori discenda da un contratto fideiussorio ed abbia connotazioni di sussidiarietà. Decisiva la posizione del creditore, dato che, come si è visto, la tassazione investe il titolo esecutivo dallo stesso ottenuto: se il creditore ha la qualità di “soggetto-IVA” e se l’adempimento reclamato è riconducibile nell’ambito di una fattispecie che implichi l’insorgenza del suo obbligo di pagare l’IVA, il provvedimento giudiziale assume la consistenza di condanna ad un pagamento sottoposto all’IVA medesima. Tanto basta per giustificare l’operatività del canone della prevalenza dell’IVA sull’imposta proporzionale di registro, atteso che la relativa regola si ricollega al mero assoggettamento di quel pagamento all’IVA, senza che assuma rilevanza la circostanza che la condanna si rivolga contemporaneamente al debitore principale ed al coobbligato solidale, per il quale la fonte dell’obbligo nasce da un rapporto distinto, quale il negozio costitutivo della fideiussione; per il creditore la condanna ha sempre ad oggetto un pagamento sottoposto ad IVA, quale che sia il soggetto tenuto al pagamento (il debitore principale od il terzo che abbia offerto garanzia).

7. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: “In tema di imposta di registro sugli atti giudiziari, alla sentenza di condanna ottenuta dal creditore sia nei confronti del debitore inadempiente che del fideiussore per il recupero di somme soggette ad IVA, non è applicabile l’imposta di registro in misura proporzionale bensì, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa allegata, art. 8, comma 1, lett. b), nota II, l’imposta in misura fissa, senza che assuma rilievo se la stessa sia emessa contro il solo debitore principale, il solo fideiussore o entrambi, non soggetti IVA.” (Cass. n. 21702 del 2020; n. 1272/2021, in motiv; n. 242/2021; n. 24268 del 2015; n. 9390 del 2007).

7.1 I principio affermato di recente dalle Sezioni unite secondo il quale, nell’ipotesi di decreto ingiuntivo ottenuto dal garante nei confronti del debitore, sconterebbe l’imposta di registro con aliquota proporzionale al valore della condanna, in quanto non sarebbe applicabile il principio di alternatività, si fonda sulla circostanza che, a seguito del pagamento, il primo non fa valere nei confronti del debitore corrispettivi di prestazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto. La pronuncia esclude invece l’applicazione del suddetto principio al rapporto intercorrente tra creditore e debitore /o fideiussori che conserva il carattere di unitarietà ed inscindibilità dell’operazione, la quale risulta esclusa solo a seguito dell’escussione della garanzia da parte del creditore, “in quanto il titolo da cui scaturisce il debito principale è del tutto distinto dalla polizza fideiussoria, dalla quale è derivata la prestazione di garanzia, stipulata tra debitore principale e garante in favore del terzo creditore (…)”. (Cass. 9 ottobre 2015, nn. 20260, 20261, 20262, 20263, 20264 e 20265; 14 ottobre 2015, nn. 20665, 20666, 20667, 20668 e 20669; 21 dicembre 2015, n. 25702; 16 maggio 2017, n. 12221; 19 gennaio 2018, nn. 1339 e 1341 e, da ultimo, 2 febbraio 2018, n. 2551). Ne discende che quando il garante chiede l’emissione del decreto ingiuntivo per ottenere dal debitore principale ciò che ha versato al creditore non fa affatto valere il credito da corrispettivo per la prestazione resa al debitore, in seno al rapporto che a lui lo lega, ossia, come si esprime la L. 212 del 2000, art. 8, “il costo della fideiussione”, ma si limita ad esercitare i diritti già spettanti al creditore, a seguito del pagamento da lui eseguito, con la conseguenza che il titolo giudiziario ottenuto dal garante, concernendo la somma da lui versata, non ha ad oggetto il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto” (Cass. n. 20262/2015).

8. Ancora diversa è il trattamento fiscale della fideiussione enunciata nel decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto dalla banca creditrice.

Il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, comma 3, (già D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 21, comma 3) stabilendo che: “Se l’enunciazione di un atto non soggetto a registrazione in termine fisso è contenuta in uno degli atti dell’autorità giudiziaria indicati nell’art. 37, l’imposta si applica sulla parte dell’atto enunciato non ancora eseguita”, attualizza al tempo dell’uso dell’atto il requisito della capacità contributiva su cui è fondata l’imposizione, che “colpisce, dunque, soltanto le disposizioni dell’atto enunciato che vengono ancora utilizzate”. Sulla questione, questa Corte ha più volte ribadito che l’imposta di registro di un contratto enunciato in un atto giudiziario e non soggetto a registrazione a termine fisso si applica, a norma del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, comma 3, sulle sole prestazioni che, al tempo dell’uso, non siano state ancora eseguite, sicchè la fideiussione formata per corrispondenza (e, come tale, soggetta a registrazione in caso di uso) va tassata nei limiti del valore del credito il cui pagamento sia stato ingiunto al debitore ed al fideiussore (ex plurimis: Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2015, n. 22230; Cass., Sez. 5, 21 settembre 2016, n. 18454; Cass., Sez. 5, 19 dicembre 2018, n. 32809; Cass. sez. V 2021, n. 4319). Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 22840/2013; n. 17899/2005; n. 6585/2008), in tema di imposta di registro, dove viene colpita la singola manifestazione di ricchezza, e la connessa capacità contributiva, vale il principio dell’autonomia dei singoli negozi, come si desume in modo inequivoco dalla previsione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, comma 1, il quale stabilisce che, se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate, e che se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui al D.P.R. citato, art. 69; che questa Corte (Cass. n. 17237/2013) ha avuto occasione di precisare che “la natura accessoria del contratto di fideiussione in campo civilistico (artt. 1939 e 1941 c.c.) non può essere riportata nell’ambito tributario, e segnatamente in quello della disciplina dell’imposta di registro, per la quale, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, vale invece il principio dell’autonomia dei singoli negozi; la relativa tassazione non resta, quindi, attratta nella disciplina tributaria dell’IVA per il solo fatto che il creditore sia un soggetto IVA”, per cui, quanto all’enunciato rapporto fideiussorio, non assume rilievo il richiamo alla previsione del detto decreto, tariffa, parte prima, allegata, art. 8, nota II, nella quale, effettivamente, trova applicazione il principio di alternatività tra IVA ed imposta di registro di cui al decreto citato, art. 40 (in termini: Cass., Sez. 5, 12 luglio 2013, n. 17237; Cass. n. 18454/2016 in motiv Cass., Sez. 5, 21 settembre 2016, n. 18454; n. 3458/2021).

9. L’ultimo mezzo non merita accoglimento.

Si osserva come la ricognizione (o riconoscimento) di debito, insieme con la promessa di pagamento trova la sua compiuta disciplina nell’art. 1988 c.c.. Con la ricognizione di debito, il debitore di un rapporto obbligatorio (cosiddetto “rapporto fondamentale” o “sottostante”) dichiara di riconoscere l’esistenza del debito, dispensando il creditore a favore del quale è fatta, dall’onere di provare il rapporto fondamentale, l’esistenza del quale si presume fino a prova contraria. Nel presente caso, infatti, la ricognizione di debito era stata prodotta e menzionata nel ricorso al fine di avvalorare l’esistenza dei crediti per i quali veniva esercitata l’azione monitoria, non apportando, dunque, alcuna innovazione rispetto all’obbligazione contratta; essa ha, pertanto, natura “puramente dichiarativa” – natura peraltro riconosciuta dallo stesso ufficio (v. pag. 5 del ricorso) – non avendo modificato la sfera patrimoniale del debitore che lo ha sottoscritto (e tanto meno quella del creditore che lo ha ricevuto) ma si limita a confermare un’obbligazione già esistente (Sez. 5, n. 1132 del 19/1/2009). Nel caso in esame, nella determinazione dell’imposta dovuta, è errato avere applicato l’aliquota proporzionale sulla scrittura medesima, riferendosi alla norma di cui al D.Lgs. n. 131 del 1986, Tariffa, Parte prima, art. 9, agli atti aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale.

Invece, con riguardo alla mera ricognizione di debito (va ribadito, infatti, che si tratta di mera dichiarazione di scienza in relazione alla sussistenza di un rapporto preesistente nascente da pregressi contratti stipulati tra le parti, per cui la medesima non ha creato una nuova obbligazione, ma semplicemente riconosciuto ex post gli effetti economici di quegli atti), è applicabile la norma del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, Tariffa, Parte seconda, art. 4, concernente le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale. Detta tipologia di atti, in forza della norma appena richiamata, scontano l’imposta in misura fissa (Euro 168,00), e non nella misura proporzionale come preteso dall’Ufficio. Essendo l’operazione sottostante già risultata soggetta ad IVA, l’imposta di registro va applicata in misura fissa (in caso di registrazione), per il principio della alternatività tra IVA e imposta di registro (TUR ex art. 40) (Sez. 5, n. 481 dell’11/01/2018; Sez. 5, n. 24804 del 23/10/2014; Sez. 5, n. 24107 del 12/11/2014).

Peraltro, la tesi della non applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale pare trovare conferma anche nel fatto che il R.D. n. 3269 del 1923 (poi sostituito dal D.P.R. n. 131 del 1986) citava espressamente la ricognizione del debito nella Tariffa ad esso allegata, assoggettandola all’imposta di registro. Per contro nella Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, non è stata ripresa la suddetta citazione, il che può anche essere interpretato quale intenzione del legislatore di voler escludere la ricognizione del debito da quelle assoggettabili a imposta di registro in misura proporzionale.

10. Per le suesposte considerazioni, il ricorso va accolto con riferimento al primo motivo, respinti gli altri; la sentenza impugnata cassata e, poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione della causa nel merito (ex art. 384 c.p.c.) mediante l’accoglimento del ricorso introduttivo dell’amministrazione finanziaria limitatamente all’applicazione dell’imposta proporzionale sugli interessi moratori.

Sussistono i presupposti – tenuto conto del parziale accoglimento del ricorso e della natura strettamente interpretativa della controversia – per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

– Accoglie il primo motivo del ricorso, respinti gli altri; Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dispone l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale solo sugli interessi moratori di cui al decreto ingiuntivo;

– dichiara interamente compensate le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della quinta sezione civile della Corte di cassazione tenuta da remoto, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2021

 

 

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