Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15266 del 24/06/2010

Cassazione civile sez. II, 24/06/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 24/06/2010), n.15266

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.S. o S., elettivamente domiciliata in Roma,

Piazza del Paradiso n. 55, presso l’Avvocato Flaminia Della Chiesa

D’Isasca, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del

ricorso, dall’Avvocato PELLECCHIA Giovanni;

– ricorrente –

contro

BA.OR., elettivamente domiciliato in Roma, Via Luigi

Perna n. 51, presso il Dott. Giuseppe Servillo, rappresentato e

difeso, per procura speciale a margine del controricorso,

dall’avvocato ROSSI Paolo;

– controricorrente –

con l’intervento di:

F.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza del

Paradiso n. 55, presso l’Avvocato Flaminia Della Chiesa D’Isasca,

rappresentato e difeso, per procura speciale a margine dell’atto di

intervento, dall’Avvocato Giovanni Pellecchia;

– intervenuto –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2676 del 2008,

depositata in data 3 luglio 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16 marzo 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per la ricorrente, l’Avvocato Flaminia Della Chiesa

D’Isasca;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, il quale ha concluso in senso conforme

alla relazione.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che B.S. o S. ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2676 del 2008, depositata il 3 luglio 2008, che, in accoglimento dell’appello proposto da BA.OR. e in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli in data 21 febbraio 2002, ha rigettato la domanda proposta dalla B. – volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità della costruzione della veranda eseguita dal Ba. sul terrazzo annesso alla di lui unità immobiliare posta in (OMISSIS), perchè posta a distanza illegale dalle finestre dell’immobile sovrastante al secondo piano, di proprietà, della B., e comunque perchè pregiudizievole e fonte di danno, nonchè ad ottenere la condanna del Ba.

all’abbattimento di detta veranda o, in subordine, all’abbassamento della stessa ad almeno tre metri dalla soglia delle finestre, e al risarcimento dei danni – e ha accolto la domanda riconvenzionale spiegata dal Ba., dichiarando che lo stesso aveva usucapito il diritto di mantenere la tettoia della veranda, realizzata a livello del suo appartamento, alla distanza di m. 1,25 dalla veduta del soprastante appartamento della B.;

che la B. propone due motivi di ricorso;

che, con il primo, la ricorrente deduce erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia, ex art. 213 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, per non avere la Corte d’appello correttamente valutato la documentazione posta a corredo delle risultanze istruttorie, e in particolare, in ordine alla individuazione della data di costruzione del manufatto del Ba.;

che, con il secondo motivo, la B. lamenta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto abbandonata la domanda di abbattimento del manufatto e, in via gradata, di riduzione dell’altezza dello stesso sino alla concorrenza di metri 3 dal lato inferiore di affaccio delle finestre;

che l’intimato ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso, per omessa formulazione dei quesiti di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., e contestandone comunque la fondatezza;

che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che deve essere preliminarmente dichiarata l’inammissibilità dell’intervento spiegato nel presente giudizio da F.A., nella qualità di erede della ricorrente, in quanto “il successore a titolo particolare, fermo restando che il giudizio si svolge comunque tra le parti originarie, può ben impugnare per cassazione la sentenza di merito, entro i termini di decadenza, ma non può intervenire nel giudizio di legittimità, mancando un’espressa previsione normativa riguardante la disciplina di quell’autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione al giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che hanno partecipato al giudizio di merito” (Cass., n. 11322 del 2005; Cass., n. 6610 del 1988);

che il relatore designato, nella relazione depositata in data 11 gennaio 2010, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“Sussistono le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio, essendo il ricorso manifestamente inammissibile.

Il ricorso, invero, sia nella parte in cui deduce violazione di legge (secondo motivo), sia nella parte in cui denuncia il vizio di motivazione (primo motivo), non risponde al disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ..

Quanto alla denunciata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., trova applicazione il principio per cui “il motivo di ricorso per cassazione con cui si denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., da parte del giudice di merito, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4), deve essere concluso in ogni caso con la formulazione di un quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis del codice di rito civile, anche quando l’inosservanza del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sia riferibile ad un’erronea sussunzione o ricostruzione di un fatto processuale implicanti la violazione di tale regola, essendo necessario prospettare, pure in tale ipotesi, le corrette premesse giuridiche in punto di qualificazione del fatto” (Cass., n. 4329 del 2009). Quanto al vizio di motivazione, si è precisato che, nella norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ., nonostante la mancanza di riferimento alla conclusività (presente, invece, per il quesito di diritto), il requisito concernente il motivo di cui al n. 5 del precedente art. 360 – cioè la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione della sentenza impugnata la rende inidonea a giustificare la decisione” – deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione. (Cass., n. 16002 del 2007; Cass., S.U., n. 20603 del 2007; Cass., n. 8897 del 2008)”;

che il Collegio condivide la proposta di inammissibilità contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che appare opportuno precisare che il primo motivo di ricorso è inammissibile anche perchè prospetta sostanzialmente censure di fatto e, per la parte in cui evoca numerosi documenti,l privo di autosufficienza;

che la ricorrente, inoltre, non censura adeguatamente le differenti datazioni della installazione della tettoia e della veranda, sulla base delle quali la Corte d’appello ha formato il proprio convincimento;

che, quanto al secondo motivo, lo stesso è comunque manifestamente infondato, in quanto la Corte d’appello non ha considerato rinunziata la domanda subordinata, ma non riproposta ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ.;

che opera nella specie il principio per cui “la parte integralmente vittoriosa in primo grado, qualora abbia in detto grado proposto, oltre alla domanda principale integralmente accolta, anche una domanda subordinata assorbita dall’accoglimento della domanda principale, è tenuta, in caso di appello della controparte, a riprodurre la relativa questione al giudice dell’impugnazione; tale riproposizione, peraltro, può ritenersi rituale ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., solo se la relativa domanda sia proposta con chiarezza e precisione sufficienti a renderla inequivocamente intellegibile per la controparte ed il giudicante” (Cass., n. 27570 del 2005; Cass., n. 9687 del 2003);

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2010

 

 

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