Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15265 del 21/07/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 15265 Anno 2015
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 17668-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRA LE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente contro
OESSE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso
lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati MARIA SONIA VULCANO,
NATALE MANGANO giusta procura speciale a margine del
controricorso;

– controricorrente

Data pubblicazione: 21/07/2015

avverso la sentenza n. 5/22/2013 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di TORINO del 13/12/2012,
depositata il 29/01/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
10/06/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI

udito l’Avvocato Claudio Lucisano difensore della controricorrente che
si riporta agli scritti e chiede il rigetto del ricorso.
In fatto e in diritto
L’Agenzia delle entrate —Direzione regionale del Piemonte, sulla base di quanto
emerso in occasione di una verifica svolta a carico della società Vaie, ritenuta
soggetto di fatto inesistente, contestava alla società Oesse s.r.l. di essere stata
soggetto interponente in frode comunitaria in relazione agli acquisti dalla stessa
effettuati presso la Viae, emettendo un avviso di accertamento relativo all’anno
di imposta 2004 per indebita detrazione di IVA in relazione a fatture per
operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalla ditta Vaie in favore della
contribuente Oesse s.r.l. e per insussistenza degli acquisti intracomunitari
indicati dalla parte contribuente.
Tale atto veniva impugnato dalla contribuente innanzi alla CTP di Torino che
rigettava il ricorso.
La CTR del Piemonte, con sentenza n.5/22/13, depositata il 29.1.2013,
nell’accogliere l’appello proposto dalla società contribuente osservava, per quel
che ancora qui rileva, che l’Ufficio aveva dimostrato l’esistenza di una frode
carosello, però aggiungendo che <<...la richiesta di archiviazione disposta il 19.7.2010 dal GT proprio per i comportamenti degli anni 2003 e 2004, nella quale la Procura della Repubblica ha affermato che "la modestia numerica degli acquisti sospetti costituisce elemento tale da rendere del tutto credibile la versione dei fatti fornita", accogliendo la tesi dell'amministratore della società di non sapere quale fosse la situazione dei fornitori cui si rivolgeva....>>.
Secondo il giudice di appello, benchè risultasse provato che la società
cessionaria non aveva adottato le cautele necessarie per avvedersi dell’attività
fraudolenta della società cedente, rilevava la circostanza che nell’anno oggetto
di verifica gli acquisiti operati dalla cessionaria presso il fornitore Vaie erano
stati pari al 18 % nell’anno, sicchè “…la decisione assunta in sede penale
costituisce un elemento di tale rilevanza da indurre ad accogliere l’appello”.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato tre motivi,
al quale ha resistito la società contribuente con controricorso.
Con il primo motivo l’Agenzia deduce la violazione dell’art.19 dPR n.633/72 in
combinato disposto con Par12697 c.c. La CTR aveva omesso di considerare
che in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti era onere del
contribuente, il quale aveva operato la detrazione dell’IVA versata sugli
acquisti, dimostrare che le società cartiere loro fornitici fossero legittimate a
ricevere il pagamento del tributo.
Ric. 2013 n. 17668 sez. MT – ud. 10-06-2015
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CONTI;

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Ric. 2013 n. 17668 sez. MT – ud. 10-06-2015
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Con il secondo motivo l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione
dell’art.408 cpp e dell’art.654 cpp, in relazione all’art.360 c.1 n.3 c.p.c. Deduce
che la CTR, pur avendo riconosciuto i presupposti della frode carosello e
l’assenza di cautele seguendo le quali la società cessionaria avrebbe potuto,
usando l’ordinaria diligenza, avvedersi dell’attività fraudolenta della società
cedente, aveva attribuito alla richiesta di archiviazione in sede penale un valore
ultroneo rispetto a quello consentito dalla normativa di settore, non rientrando
tra i provvedimenti dotati di autorità di cosa giudicata.
Con il terzo motivo l’Agenzia deduce il vizio di omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio, in quanto la CTR non aveva espresso alcuna
motivazione sulla rilevanza del decreto dì archiviazione.
La società contribuente, costituitasi con controricorso, ha chiesto che il ricorso
fosse dichiarato inammissibile o comunque infondato.
L’Agenzia delle entrate ha depositato memoria.
Assume rilievo preliminare l’esame del secondo motivo di ricorso che appare
fondato e determina l’assorbimento degli altri motivi.
Giova rammentare che nel processo tributario l’efficacia vincolante del
giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società
contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi
mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera
automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale
nei confronti della società, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della
prova (come il divieto di quella testimoniale ex art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992)
e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia
penale di condanna. Pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio
tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a
rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali,
recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei
propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio
acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve procedere ad un suo
apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli
altri elementi di prova acquisiti nel giudizio cfr.Cass. n. 19786 del 27/09/2011,
Ora, nel caso in esame la CTR ha per un verso ritenuto che il materiale fornito
dall’ufficio avesse conclamato l’esistenza di una frode carosello e rendesse
evidente l’assenza di diligenza da parte della cessionaria, la quale non aveva
adottato tutte le cautelale necessarie “…seguendo le quali la società avrebbe
potuto, usando l’ordinaria diligenza, avvedersi dell’attività fraudolenta posta in
essere dalla società” cedente e, per altro verso, ha ritenuto decisivo il decreto di
archiviazione reso dal GIP, al cui interno era stato affermato dal GIP che la
modestia degli acquisti era idonea ad accreditare la versione dei fatti fornita
dall’amministratore della società cessionaria. Sulla base di tale ragionamento la
CTR, dopo avere verificato che gli acquisti operati dalla società cessionaria
contribuente nei confronti della ditta Vaie erano pari al 18 %, ha ritenuto che
“la decisione assunte in sede penale costituisce un elemento di tale rilevanza da
indurre ad accogliere l’appello”.
Ora, sulla base di tali considerazioni la CTR ha sostanzialmente attributo
efficacia di giudicato al giudicato penale, allo stesso attribuendo efficacia
prioritaria rispetto al materiale probatorio raccolto dal quale era emersa, per

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stessa ammissione del giudice di appello, non solo la frode ma anche il deficit
di diligenza da parte della contribuente.
Sulla base di tali considerazioni, la sentenza impugnata, in accoglimento del
secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, va cassata con rinvio ad altra
sezione della CTR del Piemonte anche per la liquidazione delle spese del
giudizio di legittimità
.
P.Q.M.
La Corte, visti gli artt.375 e 380 bis c.p.c.
Accoglie il secondo motivo, assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del
giudizio di legittimità ad altra sezione della CTR del Piemonte.
Così deciso il 10.6.2015 nella camera di consiglio della sesta sezione civile in

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