Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15264 del 24/06/2010

Cassazione civile sez. II, 24/06/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 24/06/2010), n.15264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Ravenna n. 11,

presso lo studio dell’Avvocato Giuseppe Lauro Grotto, rappresentato e

difeso dall’Avvocato COLARIETI Luigi per procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in Roma, viale delle

Milizie n. 114, presso lo studio dell’Avvocato BUONONATO Lucia, dal

quale è rappresentato e difeso per procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4238 del 2008,

depositata in data 22 ottobre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16 marzo 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per il resistente, l’Avvocato Lucia Buononato;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, il quale ha concluso in senso conforme

alla relazione.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che C.M. ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4238/08, depositata il 22 ottobre 2008, che, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la sua domanda di usucapione, proposta in via principale nei confronti di M.A., concernente un’area di mq. 1161, sita in (OMISSIS);

che ha resistito, con controricorso, M.A., il quale ha altresì proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo;

che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che deve essere preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, in quanto rivolti avverso la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.);

che il relatore designato, nella relazione depositata in data 11 gennaio 2010, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“Dalla sentenza impugnata emerge che, in via subordinata, il C. aveva chiesto che venisse dichiarato il suo diritto di acquistare l’indicato terreno, per avere esercitato il diritto di prelazione per il prezzo di L. 35.000.000, previo annullamento dell’atto di vendita per atto notaio Pierantoni di Roma del 26 novembre 1992, rep. n. 36594/205, tra i venditori F.G. e M.L. e l’acquirente M.A..

Emerge altresì che nel corso del giudizio di primo grado il contraddittorio non venne integrato nei confronti di F. G., e che tuttavia la Corte d’appello non ha ritenuto tale omessa integrazione causa di nullità del procedimento, poichè rispetto alla domanda di usucapione è litisconsorte necessario il proprietario del bene oggetto della domanda alla data della domanda stessa e non anche il precedente proprietario del bene. Il giudizio di appello si è peraltro svolto nei confronti anche di F. G. (mentre viene dato atto nella sentenza impugnata del decesso di M.L.).

Il ricorso è stato notificato unicamente a M.A., il quale, nel controricorso, ha eccepito la mancata notificazione del ricorso stesso al F., chiedendo la dichiarazione di improcedibilità o inammissibilità del ricorso per tale ragione oltre che per il fatto che il ricorso non risponderebbe ai requisiti di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ..

Si rende quindi necessario disporre la fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ex art. 375 cod. proc. civ., n. 2, per le determinazioni in ordine alla integrazione del contraddittorio”;

che il controricorrente e ricorrente incidentale ha depositato memoria, insistendo nella richiesta di dichiarazione di inammissibilità del ricorso principale e opponendosi alla concessione del termine per la integrazione del contraddittorio;

che il Collegio ritiene che non si debba procedere alla integrazione del contraddittorio, trovando applicazione, nel caso di specie, il principio, di recente affermato da questa Corte, secondo cui “il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superflua, pur potendo sussistere i presupposti (come nella specie, per inesistenza della notificazione del ricorso nei confronti di alcuni litisconsorti necessari), la fissazione del termine ex art. 331 cod. proc. civ. per l’integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti” (Cass., n. 2723 del 2010);

che, nel caso di specie, infatti, il ricorso principale risulta prima facie inammissibile, cosi come inammissibile è il ricorso incidentale;

che invero, quanto al ricorso principale, deve rilevarsi che con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria circa l’avvenuto acquisto del diritto di proprietà sui beni contestati, da parte di esso ricorrente, per intervenuta usucapione;

che il motivo si appalesa generico e non autosufficiente nel rinvio alle prove assuntivamente non o mal valutate dalla Corte d’appello, risolvendosi in una inammissibile richiesta di rivalutazione di circostanze di fatto, senza la specifica indicazione dei fatti controversi e senza l’indicazione di un pertinente momento di sintesi, come richiesto allorquando venga denunciato un vizio di motivazione (Cass., S.U., n. 20603 del 2007);

che, inoltre, il motivo si appalesa inammissibile anche perchè con esso vengono dedotti tutti i possibili vizi della motivazione, laddove è noto che in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., S.U., n. 20603 del 2007, cit.);

che, d’altra parte, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione; tali vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (Cass., n. 15489 del 2007);

che, con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione di norme processuali con riferimento alla acquisizione di nuova documentazione in appello;

che il motivo è inammissibile, sia perchè non si conclude con la formulazione di uno specifico quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., sia perchè il riferimento alla produzione documentale è generico e privo del requisito dell’autosufficienza, non essendo riportato il contenuto dei documenti cui si riferisce la censura e non essendo indicato in quale modo detti documenti avrebbero inciso in modo decisivo sulla soluzione accolta dal giudice d’appello;

che, con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, omessa pronuncia sulla subordinata domanda di prelazione;

che anche tale motivo è inammissibile, giacchè la domanda cui si riferisce la doglianza non risulta essere stata riproposta dal ricorrente nelle conclusioni formulate dinnanzi alla Corte d’appello, e il ricorrente non deduce che la omessa indicazione nelle conclusioni trascritte nella epigrafe della impugnata sentenza sia frutto di errore;

che anche il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile;

che, invero, la Corte d’appello ha rigettato il motivo di appello del M. relativamente alla sua domanda di danni, rilevando che non era emersa la prova certa della concretezza delle trattative intercorse tra il M. e alcuni soggetti interessati all’acquisto del terreno, che non si era potuto perfezionare per la trascrizione della domanda del C.;

che il ricorrente incidentale denuncia vizio di violazione di legge e formula il seguente quesito di diritto: “incorre nel vizio di violazione di legge il Giudice che, in una causa in cui venga prodotta documentazione non contestata dalla controparte e vengano acquisite testimonianze relative anche al quantum della domanda svolta, testimonianze parimenti non confutate da controparte, non ritenga provata la domanda stessa?”;

che nella illustrazione del motivo, il ricorrente incidentale non riproduce integralmente il testo dei documenti richiamati e le dichiarazioni rese dai testi, pure valutate dalla Corte d’appello e ritenute inidonee a fornire la prova della concretezza delle trattative e del danno conseguente alla mancata conclusione delle stesse;

che, inoltre, il quesito risulta articolato assumendo a riferimento valutazioni di fatto che si sostiene essere indubitabilmente emerse dalla risultanze istruttorie, laddove la valutazione di quelle medesime risultanze ha indotto la Corte d’appello alla reiezione della domanda;

che si tratta, quindi di quesito inidoneo e non rispondente alle indicazioni desumibili dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, e deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto” (Cass., n. 4044 del 2009), e “la formulazione del quesito di diritto prevista dall’art. 366 bis cod. proc. civ., postula l’enunciazione, da parte del ricorrente, di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e, perciò, tale da implicare un ribaltamento della decisione assunta dal giudice di merito; ne consegue che non è ammissibile un motivo di ricorso che si concluda con un quesito non corrispondente al contenuto del motivo stesso” (Cass., n. 28280 del 2008);

che, nella specie, il contenuto del motivo investe criticamente la valutazione delle risultanze istruttorie e integra, quindi, un non denunciato vizio di motivazione, deducibile ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5;

che in conclusione, entrambi i ricorsi vanno dichiarati inammissibili;

che, in considerazione della prevalente soccombenza del ricorrente principale, questi va condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2010

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