Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15259 del 20/06/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. II, 20/06/2017, (ud. 03/04/2017, dep.20/06/2017),  n. 15259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al n.r.g. 5150/12) proposto da:

E.A., (c.f.: (OMISSIS));

E.C. (c.f.: (OMISSIS) );

parti entrambe rappresentate e difese, per procura speciale in calce

al ricorso, dagli avv.ti Antonella Carnevali ed Isabella Tedeschi,

con domicilio eletto presso lo studio della prima in Roma,

Lungotevere Flaminio n. 76;

– ricorrenti –

contro

ER.Cl., (c.f.: (OMISSIS));

E.E. (c.f.:(OMISSIS));

parti entrambe rappresentate e difese dall’avv. Callisto Terra, con

domicilio eletto presso l’avv. Loreto Antonello Chiola in Roma,

piazzale delle Belle Arti n. 6, come da procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n.894/2011 della Corte di Appello di L’Aquila del

31 maggio – 20 settembre 2011, notificata il 14/11/2011;

Udita la relazione di causa, svolta all’udienza del 3 aprile 2017 dal

Consigliere dr. Bruno Bianchini;

udito l’avv Giovanna La Morgia con delega dell’avv. Antonella

Carnevali per le parti ricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dr. C.L., che ha concluso, in via principale, per

il rinvio a nuovo ruolo per consentire alle parti resistenti la

nomina di nuovo difensore; in subordine per l’accoglimento del primo

motivo e per l’assorbimento dei restanti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Cl. ed E.E. citarono innanzi al Tribunale di Avezzano il loro cugino E.A. ed il figlio di costui C. per sentir dichiarare nullo l’atto di donazione intervenuto in data 10 maggio 2001 tra padre e figlio – sostenendo che il predio oggetto dell’atto di liberalità non si apparteneva al donante E.A. ma era stato concesso in affitto da essi attori allo stesso agli inizi degli anni ‘80- e per sentir condannare i predetti convenuti al rilascio del terreno ed al pagamento dei frutti percepiti, oltre al risarcimento del danno.

A. e E.C. si costituirono, sostenendo che la questione della proprietà del predio doveva dirsi coperta da giudicato, dal momento che la Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza del febbraio 2003, aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Avezzano la quale a sua volta aveva stabilito che gli attori non avevano provato la sussistenza del contratto di affitto con E.A.; dedussero poi che in capo a quest’ultimo si sarebbe realizzato l’acquisto in forza di usucapione; dal momento poi che la lite si sarebbe caratterizzata per la sua temerarietà, conclusero per la condanna degli attori al risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata.

L’adito Tribunale rigettò entrambe le domande; la Corte di Appello di L’Aquila invece accolse quella degli originari attori, dichiarando la nullità della donazione in quanto avente ad oggetto cosa altrui; ordinò il rilascio del fondo e regolò di conseguenza le spese di lite.

Il giudice del gravame giunse a tale conclusione innanzi tutto ribadendo la infondatezza dell’eccezione di giudicato esterno: sia per il mancato deposito delle sentenze che si assumevano esser divenute irrevocabili, sia per la differenza tra petitum e causa petendi nei rispettivi giudizi; in secondo luogo operando una valutazione del materiale probatorio differente da quella del Tribunale e giungendo, all’esito di questa, alla conclusione che gli attori avevano posseduto il terreno, in modo continuo ed incontrastato, per oltre vent’anni prima della concessione in affitto agli originari convenuti.

Per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso A. e E.C., facendo valere tre motivi di annullamento; Cl. ed E.E. hanno risposto con controricorso. La causa, portata innanzi al Collegio per l’udienza del 24 giugno 2016, è stata rinviata per consentire alle parti controricorrenti di munirsi di nuovo difensore – in luogo dell’avv. Terra, deceduto nelle more-; all’udienza del 25 novembre 2016 il procedimento è stato nuovamente rinviato per astensione dal lavoro del personale amministrativo, per essere quindi assunto in decisione all’udienza del 3 aprile 2017.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1 – Con il primo motivo vengono dedotte la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. nonchè la presenza di una motivazione insufficiente e contraddittoria sulla sussistenza di un giudicato esterno tra le parti e la conseguente esistenza di un contratto di affitto agrario; sostengono le parti ricorrenti che la Corte di Appello avrebbe fondato la propria decisione sulla incontestabilità della circostanza che le controparti, dal 1958 sino ai primi anni ‘80 del secolo scorso, avrebbero goduto in modo pieno ed esclusivo del terreno, per poi concederlo in affitto ad E.A.: al fine di pervenire a tale – per i ricorrenti – errata conclusione, la Corte del merito avrebbe dato non corretto risalto ad una missiva in data 26 maggio 1994, inviata dal legale di E.A. con la quale quest’ultimo, qualificato come affittuario, aveva chiesto, agli originari attori, di poter acquistare il terreno, da ciò traendosi la conclusione di un, sia pure implicito, riconoscimento del poziore diritto dei cugini E..

p. 1.a – A contrastare tale ricostruzione fattuale i ricorrenti assumono che nel precedente giudizio innanzi allo stesso Tribunale di Avezzano la domanda delle controparti, diretta al rilascio del terreno per cessazione dell’affitto agrario, era stata respinta perchè non era stata fornita la prova sia della titolarità del diritto dominicale in capo ai fratelli E. sia della legittima concessione in affitto da parte degli stessi: tale accertamento dunque avrebbe dovuto costituire la dimostrazione che il terreno era sempre stato coltivato e posseduto animo domini da essi ricorrenti; contestano poi come non corrispondente alla verità fattuale l’affermazione della non produzione delle sentenze dalle quali si sarebbe originato il giudicato, trascrivendo all’uopo l’indice dei propri fascicoli di parte.

p. 1.a.1 – L’attuale mancanza delle sentenze del parallelo giudizio, con apposita certificazione del passaggio in giudicato, non consente al Collegio un’approfondita analisi comparativa tra causa petendi e petitum di quei procedimenti e quelli posti a base dell’attuale processo; invero l’onere della Corte di valutare la fondatezza dell’exceptio judicati mediante l’esame diretto degli atti, ne presuppone non solo la originaria produzione, bensì anche la sua persistenza nel fascicolo di parte; urta in ogni caso con il principio di autosufficienza – manifestazione del più generale canone della specificità del ricorso in cassazione – la mancata riproposizione del contenuto delle domande agite e delle conseguenti decisioni adottate nel separato giudizio.

p. 1.a.2 – Da quanto parzialmente riportato in ricorso (fol quarto) comunque, dovrebbe escludersi la formazione del giudicato preclusivo della proposizione dell’azione di revindica in questa sede, atteso che la mancata dimostrazione, nel separato giudizio, dell’esistenza di un diritto dominicale che avrebbe potuto abilitare i resistenti alla concessione in affitto, non escludeva affatto che fosse maturato un diverso titolo (usucapione), non più per l’azione personale di retrocessione bensì a sostegno dell’azione reale di revindica; la negazione della esistenza di un efficace contratto di affitto agrario poi non avrebbe, in ipotesi, condotta inevitabilmente a ritenere che gli allora pretesi affittuari fossero stati giudicati in quella sede come esercitanti un possesso valido per l’usucapione ma solo che il rapporto che essi avevano con il predio non poteva essere qualificato come rientrante nell’affittanza agraria; in più, nulla sarebbe stato accertato in quella decisione in ordine al momento in cui sarebbe iniziato il rapporto con il terreno ed in virtù di quale titolo o condotta.

p. 2 – Con il secondo motivo viene denunciato un triplice ed indifferenziato vizio di motivazione – secondo la formulazione dell’art 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anteriore alla riforma portata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012 – nonchè la violazione degli artt. 2697 c.c.; ed altresì degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. allorchè la Corte del merito ha basato la sua decisione di ritenere maturata la usucapione avversaria e non provata invece quella dei ricorrenti; in particolare le parti ricorrenti censurano la svalutazione delle risposte dei testi a sè favorevoli con il riferimento alla già citata missiva del 26 maggio 1994, non considerando che invece dette testimonianze (testi P.M. ed I.A.) avrebbero trovato riscontro nel giudicato circa la inesistenza del contratto di locazione.

p. 2.a Il motivo è inammissibile perchè la valutazione del valore probatorio delle deposizioni, soprattutto in caso di contrasto, forma oggetto del potere discrezionale del giudice di merito, non censurabile se, come in questo caso, ragionevolmente giustificato; nè, va aggiunto, la descritta circostanza avrebbe rivestito una univoca significazione favorevole alla tesi delle parti ricorrenti atteso che, anche se fosse stato irretrattabilmente escluso che i ricorrenti potessero dirsi nella disponibilità del fondo, oggetto di donazione, per effetto di una concessione in affitto, tale circostanza non sarebbe stata di per sè idonea a negare il simmetrico ed opposto rapporto dei controricorrenti con il predio.

p. 3 – Con il terzo motivo viene fatto valere un vizio di motivazione genericamente riferito a tutte e tre le ipotesi dell’art. 360 c.pl.c., comma 1, n. 5 come per il mezzo che precede e, nuovamente, la violazione dell’art. 2697 c.c.; artt. 112, 115 e 116 c.p.c. là dove la Corte del merito ritenne di ricavare elementi di riscontro dell’acquisto della proprietà del bene da una divisione bonaria datata 1946: il mezzo è inammissibile perchè fa valere un argomento – la carenza di legittimazione del sottoscrittore dell’atto dispositivo-che non risulta aver formato oggetto del precedente grado di giudizio; per altro verso dalla sentenza di appello (vedi fol 8 della stessa) nonchè dallo stesso contenuto dell’atto riportato nel ricorso (vedi ultimo fol dell’atto) risulta che l’atto di cui si discute fu sottoscritto anche da D.C.M.A., moglie di E.S., intestataria del terreno.

p. 4 – Al rigetto del ricorso consegue, secondo le regole della soccombenza, la condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese di lite, secondo la liquidazione descritta nel dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti al pagamento in solido delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.000 (duemila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 (duecento), ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda della Corte di Cassazione, il 3 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA