Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15258 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 20/06/2017, (ud. 22/03/2017, dep.20/06/2017),  n. 15258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8311-2013 proposto da:

L.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FEDERICO CONFALONIERI 1, presso lo studio dell’avvocato CARLO

CIPRIANI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE MARIA

ROMITO;

– ricorrente –

contro

LO.AN., C.B., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA FABIO MASSIMO 107, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

LUCA LOBUONO TAJANI, rappresentati e difesi dagli avvocati NICOLA

VITTORIO RICCARDI, LUCIO RICCARDI;

– controricorrenti –

e contro

L.D., + ALTRI OMESSI

– intimati –

avverso la sentenza n. 1445/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 27/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato ROMITO Giuseppe Maria, difensore del ricorrente che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato LOBUONO TAJANI Roberto Luca, con delega depositata

in udienza dell’Avvocato RICCARDI Nicola Vittorio, difensore dei

resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso in via preliminare la verifica

della produzione della sentenza in copia autentica notificata,

improcedibilità in subordine rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Lo.An. e C.B. comproprietari di un locale a piano terra in (OMISSIS) facente parte di un fabbricato condominiale sito in detta via per averlo acquistato con atto pubblico dai sigg. S.P. e L.B., con atto di citazione del 1 settembre 1990, convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Bari la condomina D.C.V., vedova L., proprietaria del locale pianoterra distinto dal civico (OMISSIS) e dell’intero sovrastante primo piano, avente accesso dal civico n. (OMISSIS) affinchè accertato, ai sensi dell’art. 1117 c.c., il loro diritto di comproprietà del lastrico solare, terrazzo di copertura della palazzina condominiale e fosse dichiarato il loro diritto ad accedere a tale parte comune attraverso il portone di cui al civico (OMISSIS) al fine di sciorinare i panni con la conseguente condanna della convenuta a consegnare ad essi attori un esemplare delle chiavi di detto portone, nonchè il risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede.

Si costituiva la D.C. contestando la fondatezza della domanda attrice ed, in particolare, assumeva di essere proprietaria esclusiva del lastrico salare, per altro, dall’atto di acquisto degli attori emergeva che, tutt’al più ad essi spettava una servitù di sciorinio dei panni, non esercitata da oltre trent’anni. Spiegava domanda riconvenzionale finalizzata ad ottenere l’accertamento della proprietà esclusiva del lastrico solare, terrazzo in capo ad essa convenuta e la declaratoria di estinzione del diritto di servitù per intervenuta prescrizione.

Completata l’istruttoria il Tribunale di Bari con sentenza non definitiva n. 2580 del 1993 rigettava la domanda principale e in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarava la proprietà esclusiva della convenuta del lastrico terrazzo in contestazione, con ordinanza disponeva la prosecuzione del processo al fine di accertare l’intervenuta estinzione per non uso della servitù di cui si dice. Successivamente, lo stesso Tribunale con sentenza definitiva n. 263 del 2005 accoglieva la domanda riconvenzionale dispiegata dalla D.C. e dichiarava estinta la servitù per non uso ventennale della stessa.

La Corte di Appello di Bari, pronunciandosi su appello proposto da Lo.An. e C.B. avverso entrambe le sentenze (non definitiva e definitiva), e su appello incidentale avanzato da L.D. erede di D.C., accoglieva l’appello principale e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava i sigg. L. e C. titolari del diritto di proprietà condominiale sul lastrico solare del fabbricato oggetto di causa e per l’effetto condannava gli appellati a consegnare agli appellanti un duplicato della chiave del portone di ingresso posto al numero civico (OMISSIS). Rigettava le ulteriori domande riconvenzionali proposte dalla parte convenuta e l’appello incidentale proposta dall’appellato. Compensava un terzo delle spese del primo e del secondo grado del giudizio e poneva la restante parte a carico dell’appellato. Secondo la Corte di Bari, il lastrico solare di cui si dice integra gli estremi di un bene condominiale, sia perchè doveva presumersi in comproprietà di tutti i condomini e non risultava diversamente da alcun titolo neppure dall’atto di divisione con il quali i germani L. nel lontano 1954 procedevano allo scioglimento della comunione ereditaria, attribuendosi la proprietà esclusiva dei singoli beni appartenuti ai propri genitori ed in particolare dei due locali a piano terra ubicati ai civici (OMISSIS) e si dava atto che il sovrastante primo piano avente accesso dal numero civico (OMISSIS) era di proprietà esclusiva del fratello Stefano, il che equivaleva a dire che la situazione di condominialità del fabbricato sito in (OMISSIS) era antecedente al contratto di divisione.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da C.S. con ricorso affidato a tre motivi. Lo.An. e C.B. hanno resistito con controricorso. In prossimità dell’udienza pubblica le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il proposto ricorso è improcedibile. Deve ribadirsi, infatti, alla luce di una giurisprudenza al momento consolidata di questa Corte regolatrice, che la previsione – di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 – dell’onere di deposito a pena di improcedibilità, entro il termine di cui al primo comma della stessa norma, della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, è funzionale al riscontro, da parte della Corte di Cassazione – a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con la osservanza del cosiddetto termine breve.

Nell’ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione deve – quindi – essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell’art. 372 c.p.c., comma 2 applicabile estensivamente, purchè entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, o dal rinvenimento anche tra gli atti del controricorrente della copia della sentenza con la relata di notifica.

Epperò, nel caso in esame il ricorrente nella intestazione del proprio ricorso (p. 1) ha dichiarato di proporre ricorso, per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Bari n. 1445 del 27 dicembre 2012, notificata per espressa ammissione dell’odierno il 17 gennaio 2013 dall’altro, ha depositato esclusivamente una copia della sentenza di cui ha chiesto la cassazione, priva della relata di notifica (copia conforme all’originale) – così come risulta dalla certificazione di cancelleria. Copia di sentenza con la relata di notifica non si neppure rinvenuta tra gli atti del controricorrente.

Alla declaratoria di improcedibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Il Collegio dà atto che ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte dichiara improcedibile il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di cassazione in favore di parte controricorrente, che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % ed accessori, come per legge. Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, commi 1 quater e bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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