Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15257 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 20/06/2017, (ud. 22/03/2017, dep.20/06/2017),  n. 15257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8218-2013 proposto da:

S.D.L.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CHIANA 35, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO MAZZEI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ACHILLE SEPE;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POGGIO MOIANO,

34/C, presso lo studio dell’avvocato LETIZIA NAPOLITANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato STANISLAO GIAMMARINO;

– controricorrente –

e contro

S.D.L.G., (OMISSIS), S.D.L.A.

(OMISSIS), S.D.L.M.R. (OMISSIS),

S.D.L.E. (OMISSIS), SC.DI.LU.AD. (OMISSIS),

S.D.L.M. (OMISSIS), S.D.L.N. (OMISSIS),

C.M.F. (OMISSIS), SC.CL., SC.DI.LU.AM.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3433/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 25/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato GIAMMARINO Stanislao, difensore del resistente che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.D.L.A. con atto di citazione del 3 marzo 1997 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Napoli, S.C. per sentire costituire in suo favore in piena proprietà per usucapione il fondo sito in (OMISSIS) con annesso fabbricato sito nello stesso fondo, entrambi già in proprietà di S.C.. L’attore esponeva di possedere i beni di che trattasi per oltre vent’anni in modo pacifico pubblico, continuo e non interrotto, che provvedeva alla manutenzione ordinaria e straordinaria, esercitando i pieni poteri di unico ed esclusivo proprietario.

Si costituiva S.C., la quale sollevava l’eccezione di incompetenza per valore e per territorio del Tribunale di Napoli in favore del Pretore di Pozzuoli e nel merito eccepiva la nullità dell’atto di citazione per l’incompleta indicazione dei requisiti di cui all’art. 163 c.p.c., n. 3, contestava in fatto ed in diritto la pretesa attore.

Il Tribunale di Napoli con sentenza n. 3754 del 2005 rigettava la domanda e condannava l’attore al pagamento delle spese di lite.

Avverso questa sentenza proponevano appello gli eredi di Sc.Di.Lu.Al. ( G., Ar. e S.) per non aver il giudice di prime cure fatto corretta applicazione dei principi in materia di onere della prova; per l’erronea interpretazione delle risultanze istruttorie; per non avere erroneamente riconosciuta la interversio possessionis. Chiedevano la riforma integrale della sentenza.

Si costituiva S.C., eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’appello per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di altri figli e della moglie di S.D.L..

La Corte di Appello di Napoli, dopo aver integrato il contraddittorio, e dopo aver espletato la fase istruttoria, con sentenza n. 3433 del 2012, rigettava l’appello e condannava gli appellanti al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio. Secondo la Corte distrettuale, gli appellanti non avevano dato prova di un possesso utile ad usucapire la proprietà dei beni di cui si dice, considerato che lo stesso S.D.L.A. nell’interrogatorio formale, aveva ammesso di essere stato immesso nella detenzione dei beni di che trattasi dal padre di C. e, che lo stesso aveva detenuto i beni per mera tolleranza e non risultava fosse stata effettuata un’interversio possessionis.

La cassazione, di questa sentenza, è stata chiesta da S.D.L.S., con ricorso affidato a due motivi. C.D. (intervenuto nel giudizio di appello dichiarando di aver acquistato, nelle more, gl’immobili di cui è causa), ha resistito con controricorso, illustrato con memoria. Successivamente in data 7 aprile 2015 S.D.L.S. ha spontaneamente integrato il contraddittorio con S.D.L.G., Sc.Di.Lu.Ar., con gli eredi S.D.L.V. ( C.M.F., S.D.L.A., S.D.L.M., S.D.L.N.) S.D.L.M.R.; S.D.L.E..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo di ricorso, S.D.L.S. lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 1141 c.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 3) circa un fatto decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360 c.p.c., n. 5). Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale nell’aver escluso che nel caso specifico fosse maturata l’usucapione della proprietà del bene di cui si dice a vantaggio di S.D.L.A. non avrebbe tenuto conto che ammesso pure che il potere di fatto sui beni oggetto del presente giudizio, di S.D.L. fosse di detenzione, dal 21 luglio 1966 per atto dell’originario proprietario e cioè per atto di vendita di S.G. alla propria figlia C., quel poter di fatto si era trasformato, per fatto di, in possesso utile all’usucapione.

La Corte distrettuale, sempre secondo il ricorrente, avrebbe errato nel ritenere che S.C. non aveva alcun onere di provare che il godimento degli immobili era dovuto a mera tolleranza del concedente, posto che tale elemento era stato, espressamente, riconosciuto ed affermato dallo stesso attore, in sede di libero interrogatorio, perchè non avrebbe tenuto conto che S.C. non aveva posto in essere alcun comportamento diretto all’esercizio del proprio diritto di proprietà: non ha chiesto il rilascio del fondo, non ha costituito alcun altro rapporto, agrario, locatizio o misto, non ha alienato nuovamente lo stesso bene. Piuttosto, la Corte distrettuale avrebbe statuito violando il disposto di cui all’art. 1141 c.c. che presume il possesso in capo a chi esercita il potere di fatto sulla cosa se non prova che questi abbia iniziato ad esercitarlo come mera detenzione.

1.1. = Il motivo è infondato.

Sebbene non espressamente richiamato, il ricorrente intende chiaramente riferirsi al principio affermato dall’art. 1164 c.c., per il quale “chi ha il possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario”, precisandosi che, in tal caso, “il tempo necessario per l’usucapione decorre dalla data in cui il titolo del possesso è stato mutato”. A sua volta, l’atto di interversione che proviene dal terzo può assumere caratteristiche diverse, tuttavia, è necessario che l’atto del terzo sia utile ad interrompere il rapporto che giustificava il potere di fatto tra il soggetto e il bene consentendo di ritenere che il potere di fatto sul bene che aveva le caratteristiche della detenzione, abbia assunto le caratteristiche proprie del possesso utile all’usucapione.

Ora nel caso in esame l’atto di alienazione di cui si dice non integrava gli estremi di un atto del terzo idoneo a mutare la detenzione in possesso cui fa riferimento l’art. 1141 c.c. e l’eventuale variazione dell’assetto proprietario rispetto alla res non ha rilievo alcuno ai fini del mutamento delle originarie modalità concrete con cui il potere di fatto era stato esercitato. Incombeva sempre allo S.d.L. provare una eventuale interversio possessionis laddove per altro la Corte partenopea aveva evidenziato che la S., anche nel periodo successivo non si era affatto disinteressata del bene tanto è vero che si era occupata anche dal posizionamento dei condizionatori.

1.2.= E, comunque, la Corte distrettuale che ha esaminato quest’aspetto della questione e valutato il materiale istruttorio è pervenuta alla conclusione che l’alienazione in favore di S.C. nel 1966 non aveva trasformato in un rapporto di possesso la detenzione dei beni da parte di S.D.L.. Come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale “(….) Anche il motivo con cui l’appellante si duole che il giudice di prime cure non ha ritenuto che, sebbene il rapporto con i beni de quibus originariamente si connotasse come detenzione, successivamente all’alienazione in favore di S.C. nel 1966 si fosse trasformato in un rapporto di possesso è totalmente infondato. Il materiale istruttorio depone in senso contrario a quanto dedotto, vieppiù, in considerazione di quanto dichiarato dai testimoni P.A. e Cu.Ma., in merito all’episodio della collocazione dei condizionatori, riferito circa sei anni prima, che comprova inequivocabilmente il permanere del rapporto di detenzione (scaturente da un affitto ad meliorandum), tra S.D.L.A. e S.C.. Secondo la valutazione della Corte distrettuale, in conclusione, il materiale istruttorio evidenziava che, anche dopo il trasferimento del bene a S.C., non solo il godimento del bene da parte del sig. S.D.L. non era accompagnato da un animus possidendi ma, soprattutto, il detentore aveva, comunque, riconosciuto la qualità di proprietaria anche in capo a S.C.. Si tratta a ben vedere di una valutazione dei dati processuali non censurabile nel giudizio di cassazione, posto che non presenta alcun vizio logico e/o giuridico. Senza dire che quest’ultima valutazione non sembra sia stata censurata dal ricorrente.

2.= Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 1141 c.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 3) circa un fatto decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360 c.p.c., n. 5). Il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale nell’aver escluso un possesso utile per l’usucapione non avrebbe tenuto conto di dati processuali significativi. In particolare la Corte Distrettuale, secondo il ricorrente, non avrebbe tenuto conto: a) che l’attuale ricorrente aveva realizzato nel fondo oggetto del presente giudizio un vero e proprio immobile, trasformando il piccolo capanno esistente in un appartamento di tre vani e servizi, ma anche di essere stato processato penalmente per tale costruzione realizzata abusivamente; b) del documento pubblico costituito dal decreto di citazione a giudizio per il reato di costruzione; c) di altro documento rappresentato dal cambiamento presentato al catasto terreni.

Non parrebbe conforme a logica, il ragionamento, incredibilmente contraddittorio, secondo il quale lo S. avrebbe realizzato si l’immobile, ma su altro suolo pure posseduto in zona, perchè il decreto di citazione a giudizio indicava la realizzazione dell’immobile in via (OMISSIS) esattamente, dunque sui terreni per cui è causa.

2.1. = Anche questo motivo è infondato, non solo perchè si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali, non proponibile, nel giudizio Di cassazione, se, come nel caso in esame, la valutazione della Corte distrettuale non presenta vizi logici e/o giuridici, ma, e, soprattutto, perchè la Corte distrettuale non ha trascurato di esaminare e valutare proprie quelle risultanze istruttorie cui fa riferimento il ricorrente. La Corte distrettuale ha avuto modo di precisare “(…) in merito all’incongruenze, denunciate, dall’appellante (odierno ricorrente) riferite dal predetto testimone in ordine al procedimento penale instaurato a carico dell’attore per un immobile diverso da quello per cui è causa e alla sua collazione a pochi anni prima del terremoto del 1980, benchè le opere abusive risultano realizzate nel 1970 nel decreto penale, osserva la Corte che non si rinviene alcun riferimento al decreto di citazione allegato agli atti del giudizio dato che nel capo di imputazione è contestata la costruzione di un terraneo senza licenza edilizia laddove, invece, il testimone ha specificato trattasi di una costruzione su di un bene demaniale, ovvero, di un fatto diverso ed al quale, per altro, lo stesso attore ha fatto riferimento in sede di libero interrogatorio (…)” Alcuna efficacia può attribuirsi al decreto di citazione penale per una costruzione abusiva riferita, secondo l’assunto difensivo dell’appellante al fondo per cui è causa e, parimenti alle cartelle di pagamento di tributi erariali, versati in atti, dato che come correttamente ritenuto dal Tribunale non era dato desumere da detti documenti una sicura riferibilità ai beni oggetto di causa anche in considerazione della circostanza che S.D.L.A. era colono di altro terreno, frontistante (…)”.

E di più, conclusivamente, la Corte distrettuale ha avuto modo di chiarire, in modo significativo, che “(…) non essendo stata provata da parte dell’attore la realizzazione a sue spese e di sua iniziativa, delle costruzioni non può farsi applicazione del principio invocato dall’appellante, secondo cui detta attività è indicativa dell’animus rem sibi habendi incompatile con l’intenzione di esercitare un potere di fatto sul bene, corrispondente al contenuto di un diritto diverso da quello di proprietà (….)”.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% del compenso, ed accessori, come per legge. Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione seconda Civile della Corte di Cassazione, il 22 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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