Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15256 del 17/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/07/2020, (ud. 11/07/2019, dep. 17/07/2020), n.15256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

nel giudizio iscritto al n. 29310/2014, promosso da:

C.A., rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro

Dagnino, presso lo studio del quale, in Roma, via Crescenzio n. 25,

è elettivamente domiciliato.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 191/24/13 emessa inter partes il

17 ottobre 2013, dalla Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 luglio 2019

dal Consigliere Bruno Gilotta;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Ettore Pedicini, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito per il ricorrente l’avv. Alessandro Dagnino;

udito per l’Agenzia delle Entrate l’avv. Giovanni Palatiello.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

Con l’avviso di accertamento (OMISSIS) per I.V.A., I.R.PE.F. e I.R.A.P. 2002 la Direzione Provinciale di (OMISSIS) dell’Agenzia delle Entrate, sulla base del processo verbale di constatazione redatto il (OMISSIS) dalla Guardia di Finanza a conclusione di operazioni di verifica, contestò ad C.A., titolare di un’impresa edile individuale, l’omessa contabilizzazione di ricavi per Euro 51.364,57 e l’indebita deduzione di costi per Euro 12.041,99.

L’accertamento, impugnato davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, fu da questa annullato in rito siccome riferentesi ad un p.v.c. non allegato; e altresì nel merito, perchè l’Ufficio non aveva tenuto conto delle ulteriori variabili che potevano essere intervenute dalla chiusura delle operazioni di verifica alla fine dell’esercizio.

Su appello dell’Agenzia delle Entrate, la sentenza è stata riformata dalla Commissione Tributaria Regionale di Palermo che ha validato l’atto impositivo e rigettato il ricorso del contribuente.

Il contribuente ricorre per la cassazione della sentenza di appello per tre motivi.

L’Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia “omessa pronuncia sull’eccezione d’inammissibilità dell’atto di appello per essere stato proposto avverso sentenza diversa da quella resa inter partes e mancata rilevazione d’ufficio dell’inammissibilità dell’appello, per effettiva difformità della copia depositata in giudizio, rispetto all’originale notificato al contribuente; conseguente error in procedendo per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 3, e art. 53, nonchè dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, il vizio di omessa pronuncia, in riferimento all’art. 112 c.p.c., e art. 360 c.p.c., comma 4, è configurabile solo su questioni di merito e non anche su questioni processuali (Cass., 1876/’18; Cass., 25154/’18; Cass., 10422/2019).

In secondo luogo, la questione qui riproposta dal ricorrente, riguardante l’erronea indicazione – nella copia notificata dall’Agenza appellante – dei tratti identificativi (numero e data di pubblicazione) della sentenza impugnata, tratti poi corretti a penna nell’atto depositato presso la segreteria della Commissione Tributaria Regionale – è speciosa, essendo evidente trattarsi di un refuso, ed è comunque superata, in base al principio teleologico, dal fatto che l’errore non ha impedito all’appellato di svolgere pienamente le sue difese con riferimento proprio alle sentenza 149/10/2008 della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, concernente l’accertamento del quale si tratta.

Con il secondo motivo deduce “violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, della L. n. 241 del 1990, art. 3, del D.Lgs. n. 32 del 2001, (norme richiamate dal giudice a quo), nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 1, e dell’art. 15 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3,” perchè la sentenza ha ritenuto che l’obbligo di allegazione o di trascrizione del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, richiamato dall’atto impositivo, era stato legittimamente surrogato dalla precedente notifica. Sostiene in proposito che della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, non ammette eccezioni al principio secondo cui se nella motivazione si fa riferimento ad altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, solo in tale modo realizzandosi l’esigenza di tutela della proprietà a fronte degli atti impositivi dell’Amministrazione Finanziaria.

Anche questo motivo è palesemente infondato.

E’ consolidata la giurisprudenza di questa Corte che ritiene che l’allegazione dell’atto dalla motivazione del quale trae giustificazione l’atto impositivo è superflua quando risulti che l’atto di riferimento sia stato precedentemente notificato al contribuente, così in grado di valutare il significato probatorio trattone dall’Ente impositore e di approntare la relativa difesa. E’ stato in particolare statuito, in ragione della specialità delle disposizioni sui singoli tributi rispetto alla regola generale posta dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, che in tema di avviso di accertamento, la motivazione “per relationem” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass., 32957/’18; Cass., 32127/’18; Cass., 31406/’18).

Con il terzo motivo deduce “error in procedendo per difetto assoluto di motivazione e conseguente violazione dell’art. 113 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4,” perchè la sentenza è stata motivata recependo i motivi d’appello dell’Ufficio, senza enunciarli e senza spiegare le ragioni dell’infondatezza dei motivi addotti dal contribuente a sostegno dell’impugnazione dell’accertamento.

Il motivo è fondato.

La motivazione dei provvedimenti giudiziari è funzionale al controllo e alla verifica del percorso logico attraverso il quale la decisione è stata assunta. E’ principio ripetutamente affermato da questa Corte che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., sez. un. 22232/’16). Più specificamente, è stato affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di appello abbia sostanzialmente riprodotto la decisione di primo grado, senza illustrare – neppure sinteticamente – le ragioni per cui ha inteso disattendere tutti i motivi di gravame, limitandosi a manifestare la sua condivisione della decisione di prime cure (Cass., 16057/’18); e che ricorre altresì il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., 9113/’12; Cass. 9105/’17). E’ stato ulteriormente precisato che la sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass., 27112/’18).

In questo caso la motivazione della Commissione Tributaria Regionale si esaurisce nella seguente frase: “considerato che il ricorso d’appello ha individuato tutte l’infondatezze delle eccezioni del contribuente e che le determinazioni della sentenza sono state esaurientemente motivate, per cui vi sia rinvia”; frase dalla quale non solo non è dato conoscere quali siano stati i motivi di appello recepiti e perchè gli stessi abbiano superato i motivi d’impugnazione dell’accertamento; ma che è intrinsecamente contraddittoria, perchè nella sua seconda parte sembra recepire anche le determinazioni della sentenza, ancorchè riformata, le cui “determinazioni sono state affrontate e esaurientemente motivate”.

La sentenza va quindi cassata e rinviata alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso; rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale delle Sicilia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2020

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