Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15253 del 21/07/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 15253 Anno 2015
Presidente: BOGNANNI SALVATORE
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 21220-2013 proposto da:
BRUNATTO MARCO BRNMRC73A17L219G, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio
dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e difende
unitamente agli avvocati NATALE MANGANO, MARIA SONIA
VULCANO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– sontroricorrente

3.223

Data pubblicazione: 21/07/2015

r

avverso la sentenza n. 11/06/2013 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di TORINO del 17/07/2012,
depositata il 06/02/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
22/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI

udito l’Avvocato Claudio Lucisano difensore del ricorrente che ha
chiesto raccoglimento del ricorso.
In fatto e in diritto
Brunatto Marco ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi,
contro la sentenza resa dalla CTR Piemonte n.11/06/13, depositata il 6.2.2013.
Il giudice di appello rigettava l’impugnazione proposta dal contribuente avverso
la decisione resa dal primo giudice che aveva disatteso il ricorso contro l’avviso
di accertamento per maggiore imponibile IRPEF per l’anno 2007 derivante da
plusvalenza relativa a cessione di attività di panificazione.
Secondo il giudice di appello, per quel che qui ancora rileva, l’Ufficio aveva
legittimamente determinato la plusvalenza reddituale derivante dalla cessione
d’azienda posta a base della rettifica di valore dichiarato ai fini dell’imposta di
registro. Il contribuente, sul quale ricadeva l’onere di vincere la presunzione di
corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in sede di
applicazione dell’imposta di registro, non aveva fornito elementi idonei a tale
ultimo fine e si era limitato a riproporre la documentazione che già il giudice di
primo grado aveva valutato negativamente.
Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione della sentenza
impugnata con cui non erano stati indicati gli elementi idonei a giustificare il
corrispettivo percepito a seguito della cessione, non potendosi nemmeno
configurare una motivazione per relationem; il giudice di appello non aveva
esposto le ragioni che l’avevano indotto a confermare la decisione impugnata.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art.68 dPR
n.917/86. La CTR, violando la disposizione appena ricordata, aveva posto a
base dell’accertamento il valore di mercato e non il corrispettivo percepito.
L’Agenzia delle entrate, costituitasi con controricorso, ha chiesto il rigetto del
ricorso ed ha specificamente evidenziato, quanto al primo motivo, che il giudice
di primo grado aveva puntualmente esaminato la documentazione prodotta e gli
elementi esposti dal contribuente a sostegno della correttezza del valore
indicato nell’atto di cessione di azienda, ritenendoli inidonei a giustificare
l’assunto difensivo. E poichè la censura in appello aveva riguardato le
medesime questioni esposte innanzi al giudice di primo, la CTR non era tenuta
a riesaminare una questione genericamente formulata nell’atto di
impugnazione. D’altra parte, la censura medesima si risolveva
inammissibilmente nel tentativo di suscitare da parte di codesta Corte una
rivisitazione degli elementi che il giudice di appello aveva già valutato.
Aggiunge che la seconda censura contrastava con il consolidato orientamento di
Ric. 2013
-2-

n. 21220 sez.

MT- ud. 22-04-2015

CONTI;

2013 n. 21220 sez. MT ud. 22-04-2015

-3-

questa Corte in punto di utilizzabilità degli elementi emersi in sede di
determinazione dell’imposta di registro ai fini della plusvalenza, salvo l’onere
della prova contraria incombente sul contribuente.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Giova premettere che nel caso di specie trova applicazione il testo dell’art.360
c.1 n.5 c.p.c. novellato per effetto dell’art.54 d.l.n.83/2012, conv. nella
I.n.132/2012, risultando la sentenza impugnata depositata dopo il 12.9.2012.
Ciò consente di escludere la ritualità della censura nella parte in cui contesta la
carenza di motivazione, dovendosi fare applicazione dei principi espressi dalle
Sezioni Unite di questa Corte nelle sentenze nn.8053 e 8054 del 2014 ai quali è
sufficiente rinviare. Peraltro nel caso di specie la CTR ha esposto in maniera
compiuta gli elementi dai quali inferire l’infondatezza delle prospettazioni
difensive esposte dalla parte contribuente —cfr.quineultimo cpv. e ss. a pag.4
della sentenza impugnata-. Ciò esclude di potere profilare la nullità della
sentenza in ragione del difetto assoluto di motivazione efo della motivazione
apparente.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Questa Corte non ha mancato di affermare che in tema di plusvalenze
patrimoniali realizzate a seguito di cessione di azienda, la dichiarazione del
contribuente, ai fini IRPEF, di un valore inferiore a quello già accertato in via
definitiva per il medesimo bene in sede di imposta di registro legittima
l’amministrazione finanziaria a procedere all’accertamento induttivo della
plusvalenza, integrando o correggendo la relativa imposizione con possibilità di
utilizzare una seconda volta, ricorrendo anche a presim7ioni, gli stessi elementi
probatori già posti a fondamento del precedente accertamento, mentre spetta al
contribuente, che deduca l’inesattezza della correzione o dell’integrazione,
superare la presunzione dimostrando di aver venduto al minor prezzo indicato
in bilancio, fermo restando che il principio di collaborazione tra contribuente ed
amministrazione finanziaria, sancito dall’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n.
212, non può mai comportare, ai fini dell’accertamento dell’ imposta, il
superamento di circostanze accertate in giudizio o determinare la mancata
applicazione del principio dell’onere della prova- cfr.Cass.n. 23115
/2013 ;Cass .n.4291/2009, Cass . n_4057/2007-.
D’altra parte, è senz’altro vero che secondo la disciplina del TUIR la
plusvalenza è data dalla differenza positiva tra il prezzo di cessione ed il valore
fiscale dell’azienda al momento della cessione e che, per converso, ai fini
dell’imposta di registro rileva il valore di mercato del bene. Ma questo non
incide sulla utilizzabilità del valore della cessione accertato in sede di registro ai
fini dell’imposta diretta, fatta salva la prova che detto valore non corrisponda
alla plusvalenza. Il che non vuol certo dire che l’accertamento in sede di
registro assume un’efficacia automatica ai fini della plusvalenza, ma solo che
quanto acclarato in quella circostanza si presume costituire la base su cui
calcolare l’imposta RPEF.
Sulla base di tali considerazioni il ricorso va rigettato. Alla soccombenza del
ricorrente segue la condanna al pagamento delle spese processuali in favore
dell’Agenzia delle entrate.
P.Q.M.
La Corte, visti gli arrt.375 e 380 bis cpc
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

i.

che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate in euro 6000,00 per compensi,
oltre spese prenotate a debito.
Dà atto, ai sensi dell’art.13 c.1 quater dPR n.115/2002, della sussistenza dei
presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a
norma del comma 1 bis dell’art.13 comma 1 quater d.PR n.115/2002.
Cosi deciso il 22.4.2015 nella camera di consiglio della sesta sezione civile in
Roma.

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