Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15253 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 20/06/2017, (ud. 15/03/2017, dep.20/06/2017),  n. 15253

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26344-2012 proposto da:

A.F.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 110, presso lo studio dell’avvocato MARCO

MACHETTA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE SEMERARO;

– ricorrente –

contro

L.V., C.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 516/2012 della CORTE D’APPELLO DI LECCE

sezione distaccata di TARANTO, depositata il 18/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato SEMERARO Giuseppe difensore del ricorrente che ha

chiesto di illustrare oralmente le difese depositate;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, con sentenza depositata il 18 settembre 2012, confermò la statuizione del 25 luglio 2008, con la quale il Tribunale della medesima città aveva condannato A.F.A. ad arretrare il proprio manufatto, costruito alla distanza di metri 1,35 dal confine della proprietà di L.V. e C.G., fino al rispetto della distanza minima di metri dieci, prevista dallo strumento urbanistico del Comune di Castellaneta.

Avverso quest’ultima sentenza ricorre per cassazione A.F.A., proponendo cinque motivi di censura.

La controparte non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 184 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè in relazione al numero 5 medesimo articolo, per omesso esame di un fatto controverso e decisivo.

Sostiene il ricorrente che la Corte locale aveva affermato la mancanza di prova in ordine la preesistenza della costruzione del deducente dopo aver ingiustamente giudicato irrilevante l’articolazione istruttoria dal medesimo formulata in primo grado ed inammissibile la produzione documentale offerta in appello. Quanto al primo profilo, il Tribunale non aveva affatto preso in considerazione le richieste della parte e la Corte d’appello si era limitata ad affermarne l’irrilevanza. Invece, attraverso il deferito interrogatorio formale e la richiesta prova testimoniale, l’odierno ricorrente avrebbe potuto dimostrare il proprio assunto. In particolare, si era chiesto di provare l’affermazione contenuta nella comparsa di risposta avente il seguente tenore: “a seguito di dette vendite, il confine della odierna proprietà L./ C. cade ad una distanza di cm 120 dalla preesistente costruzione di proprietà A. (fabbricato rurale con annessi ovili)”. Non era dato comprendere perchè il capitolo di prova su tale asserzione era stato giudicato irrilevante, specie tenuto conto del fatto che l’opera, che era stata ritenuta costruzione, tale non era, essendosi trattato di un muro con copertura pensile, diverso ed ulteriore rispetto al fabbricato.

Con il secondo motivo viene denunziata la violazione dell’art. 191 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè in relazione al numero 5 medesimo articolo, per omesso esame circa un fatto decisivo e controverso.

Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale non ha dato risposta alla specifica censura, con la quale il medesimo si era doluto del fatto che il Giudice di primo grado, nel conferire il mandato al CTU, aveva omesso di porre gli specifici quesiti proposti dalla parte oggi ricorrente. In particolare, si è richiesto di dare mandato al CTU di reperire ogni utile documentazione presso gli uffici pubblici, al fine di verificare se lo stato dei luoghi fosse rimasto immutato, venendo ad essere modificata solo la linea di confine, a seguito della vendita frazionata dell’appezzamento di terreno; di accertare se la preesistente costruzione di A.F.A. avesse subito un intervento edilizio, consistente nella sostituzione della muratura a secco e se detta sostituzione avesse modificato la volumetria o seppure spostato il perimetro dell’edificio; se i coniugi L./ C. avessero eseguito opere di sbancamento tali da determinare cedimenti nella proprietà A.; se per porre rimedio ad un tale cedimento costoro avessero realizzato sul confine opere murarie in cemento armato, tali da avere i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione da doversi considerare muro di fabbrica.

Non risulta chiaro al ricorrente perchè l’accertamento era stato escluso. Accertamento, che invece avrebbe avuto il carattere della risolutività.

Con il terzo motivo A.F.A. deduce la violazione dell’art. 2712 c.c. e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè in relazione al n. 5 stesso articolo, per omesso esame di un fatto decisivo e controverso.

Per il ricorrente la Corte di merito aveva “ritenuto sussistere dimostrazione della posteriorità” della costruzione del ricorrente. Una tale affermazione poggiava sulla istanza di sanatoria, la quale recava come epoca di ultimazione dei lavori l’anno 1993. Il documento, doveva ritenersi nient’affatto decisivo, lo stesso infatti, indicava solo la data di conclusione dei lavori e, precisa il ricorrente: “la circostanza che l’opera sia stata ultimata nel ‘93 non significa, invero, che la stessa non preesistesse da epoca remota e che sia stata rifinita e completata (come detto: ultimata) soltanto in epoca più recente”.

Con il quarto motivo il ricorso lamenta la violazione degli artt. 345 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame di un fatto decisivo e controverso, art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente contesta il giudizio di inammissibilità espresso dal Giudice d’appello con riguardo alla produzione documentale di secondo grado. Andava chiarito che la documentazione doveva ritenersi assolutamente rilevante e dirimente ai fini del petitum. “Per un verso infatti, gli atti pubblici esibiti consentono di rilevare tempo e oggetto delle cessioni, per un altro le foto esibite da questa difesa attestano che nel momento in cui veniva ad essere costruito il muro da parte dei resistenti, la costruzione del deducente sussisteva già, tanto da apparire sulle immagini scattate”.

La Corte locale aveva riconosciuto rilievo al disconoscimento manifestato dalla controparte. Disconoscimento, che, tuttavia, avrebbe dovuto essere considerato privo di rilevanza, stante che “la prova fotografica e quindi documentale esibita consente di rilevare, ictu oculi, la presenza della costruzione del deducente al tempo in cui fu realizzato un muro di tufo in sostituzione della muratura a secco preesistente”. Inoltre l’epoca di tale realizzazione trovava controprova nella produzione del relativo progetto, risalente al 1978, allorquando la proprietà dell’intero stacco di terreno si apparteneva a un solo proprietario.

In conclusione per il ricorrente “la certa piena rilevanza della detta produzione documentale” l’avrebbe dovuta far ritenere indispensabile ai fini del decidere. Da qui l’errore nel quale era incorso il Collegio di secondo grado, il quale si era limitato ad affermare la inammissibilità della produzione, senza verificarne la capacità risolutiva. Nè, peraltro, il giudizio di non indispensabilità avrebbe potuto restare non espresso come nel caso in esame.

Il disconoscimento, poi, operato dalla controparte non avrebbe potuto, in ogni caso, incidere sui documenti amministrativi che si chiedeva di produrre; nè sulla prova fotografica, sempre liberamente apprezzabile dal giudice.

Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 878 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, art. 360 c.p.c., n. 5.

La sentenza impugnata merita censura per aver escluso la natura di costruzione al manufatto eretto dalla controparte sul confine. Il predetto doveva certamente ritenersi costruzione, trattandosi di un muro di cemento armato che non aveva la sola finalità divisoria e protettiva.

2. La natura delle censure, tutte dirette, in prevalenza, a contestare il vaglio probatorio e l’esercizio del potere istruttorio del giudice, consiglia trattazione unitaria.

Il tenore complessivo delle critiche mosse è tale da far intendere, senza che residuino dubbi, che il ricorrente, nonostante l’ostensione di un percorso censuratorio formalmente rispettoso delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., insti per un terzo e inammissibile giudizio di merito, peraltro anche libero da preclusioni.

Con il primo motivo, che introduce un fatto nuovo (non si sarebbe trattato di una vera e propria autonoma costruzione), che non consta essere stato affrontato prima, il ricorrente non si confronta con la ragione del rigetto di cui alla sentenza d’appello (aver abbandonato le istanze istruttorie non accolte dal Tribunale, non avendole più riproposte in sede di precisazione delle conclusioni).

Il secondo motivo è inammissibilmente diretto a sconfessare l’opera del CTU.

In ordine all’apporto di sapere proveniente dalla CTU va ribadito che se, per un verso, il giudice del merito, ove dia mostra di aver conosciuto e apprezzato le conclusioni del consulente, non è tenuto a fornire alcuna ulteriore motivazione, è altrettanto evidente che il ricorrente non può limitarsi a dissentire dalle predette conclusioni in sede di legittimità, ricadendo su di lui l’onere di puntualmente controdedurre, riportando i singoli passaggi della relazione e le specifiche ragioni poste a suo tempo in contrapposizione. In altri termini, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità. La parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (cfr., Sez. 1, n. 11482 del 03/06/2016,Rv. 639844; Sez. 1, n. 16368 del 17/07/2014, Rv. 632050; Sez. 1, n. 3224 del 12/02/2014, Rv. 630385).

Più in generale, non può farsi a meno di evidenziare che, come spesso accade, con il ricorso si propone l’approvazione di una linea interpretativa dei fatti di causa alternativa rispetto a quella fatta propria dal giudice, così sperdendosi del tutto il senso del sindacato di legittimità.

Come reiteratamente affermato in questa sede, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 prima dell’ulteriore modifica di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile “ratione temporis”), il quale implica che la motivazione della “quaestio facti” sia affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che si presentasse tale da determinarne la logica insostenibilità (cfr., Sez. 3, n. 17037 del 20/8/2015, Rv. 636317). Con l’ulteriore corollario che il controllo di legittimità del giudizio di fatto non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Con la conseguenza che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr. Sez. 6, ord. n. 5024 del 28/3/2012, Rv. 622001). Da qui la necessità che il ricorrente specifichi il contenuto di ciascuna delle risultanze probatorie (mediante la loro sintetica, ma esauriente esposizione e, all’occorrenza integrale trascrizione nel ricorso) evidenziando, in relazione a tale contenuto, il vizio omissivo o logico nel quale sia incorso il giudice del merito e la diversa soluzione cui, in difetto di esso, sarebbe stato possibile pervenire sulla questione decisa (cfr. Sez. 5, n. 1170 del 23/1/2004, Rv. 569607).

Da qui appare evidente che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, (nella versione ante riforma ex D.L. n. 83 del 2012) si configura nella ipotesi di carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo. Parimenti, il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere intrinseco alla sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. 2, n. 3615 del 13/04/1999, Rv. 525271). Con l’ulteriore implicazione che il vizio di contraddittorietà della motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non può essere riferito a parametri valutativi esterni, quale il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio Sez. 1, n. 1605 del 14/02/2000, Rv. 533802). Peraltro, osservandosi che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, resta integrato solo ove consti la carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo; mentre il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere proprio della sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. L., n. 8629 del 24/06/2000, Rv. 538004; Sez. 1, n. 2830 del 27/02/2001, Rv. 544226).

Si è condivisamente ulteriormente precisato, così da scolpire nitidamente l’ambito di legittimità, che il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Sez. L, n. 2272 del 02/02/2007,Rv. 594690). Proprio per ciò non è ammesso perseguire con il motivo di ricorso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, finalità sicuramente estranea alla natura e allo scopo del giudizio di cassazione. Infatti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., fra le tante, Sez. L., n. 9233 del 20/4/2006, Rv. 588486 e n. 15355 del 9/8/2004, Rv. 575318).

La spiegazione alternativa proposta con il ricorso, fronteggiante una insanabile contraddittorietà della motivazione, deve essere tale da apparire l’unica plausibile e la deduzione di un vizio di motivazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì il solo potere di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr., fra le tante, Sez. 3, n. 20322 del 20/10/2005, Rv. 584541; Sez. L., n. 15489 dell’11/7/2007, Rv. 598729). Lo scrutinio di merito resta, in definitiva, incensurabile, salvo l’opzione al di fuori del senso comune (Sez. L., n. 3547 del 15/4/1994, Rv. 486201); la stessa omissione non può che concernere snodi essenziali del percorso argomentativo adottato (cfr., Sez. 2, n. 7476 del 4/6/2001, Rv. 547190; Sez. 1, n. 2067 del 25/2/1998, Rv. 513033; Sez. 5, n. 9133 del 676/2012, Rv. 622945, Sez. U., n. 13045 del 27/12/1997, Rv. 511208).

A maggior ragione priva di fondamento si mostra la contestazione della decisione del Giudice d’appello di non ammettere i documenti nuovi offerti dal ricorrente. La determinazione, invero, si giustifica con l’assenza di decisività, constando aliunde la prova che la costruzione non era antecedente all’approvazione dello strumento urbanistico vigente al tempo della domanda ed appare perfettamente sintonica con quanto assai di recente statuito dalle Sezioni Unite, le quali hanno precisato che prova nuova indispensabile di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif., dalla L. n. 134 del 2012, è quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato (Sez. U, sentenza 4 maggio 2017, n. 10790).

Infine, senza tener conto delle risultanze della CTU, l’ A., insiste nell’assegnare natura di fabbrica al muro di confine eretto dalla controparte.

Al rigetto non consegue statuizione sulle spese non avendo la controparte svolto difese.

PQM

 

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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