Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15250 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 20/06/2017, (ud. 01/03/2017, dep.20/06/2017),  n. 15250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11154-2013 proposto da:

B.L., (OMISSIS), B.G. (OMISSIS),

B.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI

119, presso lo studio dell’avvocato ORESTE BISAZZA TERRACINI, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI CALIARO;

– ricorrenti –

contro

C.L., + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

e contro

CH.TA.CH.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 506/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 18/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/03/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che con la sentenza depositata il 18 aprile 2013 la Corte d’appello di Brescia, Sezione Specializzata Agraria, confermò la sentenza emessa dal Tribunale, Sezione Specializzata Agraria della stessa città dell’11/12/2009, con la quale, rigettata la domanda riconvenzionale, era stato disposto lo scioglimento della comunione dei beni, assegnandosi, come dal progetto n. 1 del CTU, ai ricorrenti C.L.P., + ALTRI OMESSI

ritenuto che G., M. e B.L. propongono ricorso per cassazione avverso la statuizione di cui sopra, prospettando due motivi di censura, ulteriormente illustrati mediante memoria, e che i C. resistono con controricorso;

considerato che il primo motivo, con il quale le ricorrenti deducono violazione degli artt. 718, 720 e 1114 c.c., non merita di essere accolto, stante che con la censura in esame i ricorrenti assumono che la violazione di legge era derivata dal fatto che gli artt. 718 e 1114 cit., assegnano a ciascun partecipante alla comunione ereditaria il diritto a conseguire in natura la propria parte del compendio, violazione del tutto insussistente in quanto la sentenza ha, appunto, disposto l’assegnazione a ciascuno dei due blocchi contrapposti i beni in natura, salvo il minimale conguaglio di poco più di tre Euro;

che, il preteso frazionamento dell’edificio, sì da attribuirne un lacerto a ciascuno degli eredi, trova ostacolo, siccome chiarito in sentenza, nella incomoda divisibilità del bene, destinato ad azienda agrituristica, stante che il diritto a conseguire la propria parte in natura soffre il limite espressamente previsto dall’evocato art. 718 c.c., il quale fa salve le ipotesi disciplinate dagli articoli che ad esso seguono;

considerato che il secondo motivo, denunziante la violazione dell’art. 132 c.p.c., nonchè omesso esame circa un fatto decisivo, cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5), si mostra, del pari, giuridicamente infondato, stante che con la doglianza in scrutinio i ricorrenti pretendono procedersi a una nuova stima dei beni relitti, assegnando, di conseguenza, a questa Corte, un potere che impinge nelle preclusioni del giudizio di legittimità, trovando qui applicazione il nuovo testo del citato n. 5, siccome introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134), sicchè resta escluso già in tesi, che la sentenza censurata sia venuta meno al dovere di rendere effettiva motivazione sul punto, essendosi i ricorrenti limitati a giudicare non soddisfacente la stima effettuata, in particolare pretendendo di ancorarla all’estratto del listino immobiliare della Camera di Commercio di Brescia, documento non ignorato dalla Corte locale, ma ben diversamente svalutato nel merito, tenuto in prevalente conto l’avanzato stato di grado del complesso;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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