Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15249 del 24/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2010, (ud. 12/05/2010, dep. 24/06/2010), n.15249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – rel. Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 10760/2007 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

R.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2/2006 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di BOLOGNA, SEZIONE DISTACCATA di PARMA del 12/01/06, depositata il

18/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/05/2010 dal Presidente Relatore Dott. FERNANDO LUPI;

è presente il P.G. in persona del Dott. VINCENZO MARINELLI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione a sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “La C.T.R. dell’Emilia Romagna ha ritenuto che R.P., artigiano elettricista, esente dall’IRAP in quanto era accertato che svolgeva la sua attività avvalendosi di limitati beni strumentali e senza dipendenti o collaboratori.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione deducendo con un primo motivo che i soggetti passivi dell’imposta sono a sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3, le persone fisiche esercenti attività imprenditoriale precisando che esercizio di impresa si intende l’esercizio per professione abituale anche se non esclusiva delle attività indicate nell’art. 2195 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa. Poichè l’art. 2195 c.c., qualifica imprenditori i soggetti che esercitano una attività di produzione di un servizio si deve concludere che sono tenuti al pagamento dell’IRAP. Con un secondo mezzo ha contestato l’accertamento dell’entità dei beni strumentali.

Sulla questione dell’assoggettamento all’imposta degli agenti di commercio e dei promotori finanziari si era delineato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità che è stato composto dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 12108 del 2009, che ha affermato i principi: In tema IRAP, a norma del combinato disposto del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio dell’attività di agente di commercio, di cui alla L. n. 204 del 1985, art. 1 e di promotore finanziario, di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 2, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito e è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia sotto qualsiasi forma il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni. I principi, poichè è identica la questione, sono estensibili ai soggetti che esercitano altri tipi di impresa.

Il secondo motivo è inammissibile in quanto in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione il ricorrete non ha trascritto e neppure indicato le risultanze della dichiarazione dei redditi del contribuente dalla quale risulterebbe illogico l’accertamento”.

Rilevato che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alla parte costituita;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 375 c.p.c., n. 5, della manifesta infondatezza del ricorso e che, pertanto, la sentenza impugnata vada confermata.

che in ordine alle spese la novità della citata giurisprudenza consiglia la compensazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2010

 

 

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