Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15248 del 12/07/2011

Cassazione civile sez. I, 12/07/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 12/07/2011), n.15248

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.L. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA TACITO 41, presso l’avvocato ZINI ADOLFO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAGNINI ANDREA, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO TECNO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (C.F.

(OMISSIS)), in persona del Curatore Dott.ssa R.G.,

selettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 72, presso

l’avvocato SIMONCINI ALDO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MILLONI SANDRO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1279/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 08/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato A. PAGNINI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 31.1.2002, il Tribunale di Prato rigettava il ricorso proposto da D.L., con il quale il predetto, in opposizione allo stato passivo del fallimento della Tecno 2000 s.r.l., reclamava l’ammissione, in via privilegiata, di un proprio credito di lavoro di lire 9.307.531, oltre rivalutazione ed interessi, a titolo di stipendio e trattamento di fine rapporto, in relazione dell’asserita attività di lavoro subordinato prestata alle dipendenze della società fallita, della quale aveva rivestito altresì la carica di componente del consiglio di amministrazione e di consigliere delegato.

Argomentava il Tribunale, nella sua decisione, non essere stata fornita la prova dell’effettiva sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, distinto dal rapporto intrattenuto dal D. con la società in virtù delle sue cariche amministrative.

Proponeva appello il D., dolendosi della interpretazione data dal Tribunale ai risultati dell’istruttoria e insistendo per l’ulteriore audizione di altri testi.

La Curatela del fallimento della Tecno 2000 s.r.l., nel chiedere il rigetto del gravame, eccepiva in ogni caso l’intervenuta decadenza dell’appellante dalla facoltà di chiedere l’audizione dei testi non ammessi in primo grado, non essendo stata esercitata, tale facoltà, in sede di precisazione delle conclusioni.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza 1279/05, rigettava il gravame.

Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione il D. sulla base di dieci motivi cui resiste con controricorso il fallimento Tecno 2000 srl.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi del ricorso il ricorrente contesta la ritenuta inattendibilità del teste D..

Con il terzo motivo deduce che erroneamente la sentenza ha ritenuto non concludenti sotto il profilo probatorio ,in quanto generiche, le dichiarazioni della teste B..

Con il quarto motivo si duole della mancata ammissione del teste C.F..

Con il quinto ed il sesto motivo lamenta la mancata presa in considerazione dei documenti allegati all’istanza di ammissione al passivo costituiti dalla tabella TFR, dalle buste paga e dal libretto di lavoro, nonchè dal fatto che esso ricorrente avrebbe continuato a prestare la propria opera lavorativa anche dopo essere cessato dalla carica di consigliere di amministrazione Con il settimo motivo si duole della esclusiva presa in considerazione della documentazione della controparte, in violazione del principio di parità delle parti.

Con l’ottavo motivo contesta la ritenuta mancanza di idonea dimostrazione probatoria dell’esistenza del rapporto di lavoro.

Con il nono ed il decimo motivo censura, sotto diversi profili, la pronuncia impugnata laddove ha ritenuto l’incompatibilità dei poteri conferiti dalla carica di amministratore con quella di dipendente subordinato.

I primi due motivi sono infondati.

Questa Corte si è già espressa nel senso che il giudice deve discrezionalmente valutare l’attendibilità di un teste alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza delle dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite) (Cass. 16529/04).

Nel caso di specie, la Corte d’appello si è correttamente attenuta a tali criteri avendo ritenuto scarsamente attendibile la deposizione del teste D. dati gli strettissimi legami di parentela con il ricorrente di cui è figlio.

Da ciò consegue che, essendo il giudizio sull’attendibilità dei testimoni istituzionalmente affidato al giudice del merito, lo stesso sfugge al sindacato in sede di legittimità,quando sia – come nel caso di specie – congniamente ed adeguatamente motivato sotto il profilo logico – giuridico ( Cass 16529/04).

Le censure infatti che il ricorrente muove alla descritta motivazione tendono in realtà a prospettare una diversa interpretazione circa l’interesse del teste alla causa e alla credibilità della sua deposizione, investendo in tal modo inammissibilmente il merito della decisione.

Anche il terzo motivo è infondato.

La Corte d’appello ha ritenuto generiche le dichiarazioni della teste B. rilevando che le stesse tendevano a confondere i compiti espletati dal D. all’interno della società ..riportando un brano della deposizione ove si faceva riferimento alle direttive che il D. impartiva ,a chi prendeva le decisioni nella società (tra cui il D. con altri) e alla tenuta della contabilità.

Trattasi di una valutazione di merito adeguatamente motivata che, come tale, non è suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità risultando le censure del ricorrente la inammissibile proposizione di una lettura alternativa delle risultanze della deposizione che investe il merito della decisione.

Con il quarto motivo ci si duole della mancata ammissione del teste C.F.. Tale motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che la parte che, in sede di ricorso per cassazione addebiti a vizio della sentenza impugnata la mancata ammissione di prove testimoniali richieste nel giudizio di merito, ha l’onere, se non di trascrivere nell’atto di impugnazione i relativi capitoli, almeno di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che formavano oggetto della disattesa istanza istruttoria, in quanto il detto ricorso deve risultare auto sufficiente e, quindi, contenere in sè tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisivita1 dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della pronuncia impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti difensivi del pregresso giudizio di merito (Cass. 20700/04 Cass. 9558/97; Cass. 1037/94).

A tale principio non si è attenuto il ricorrente che non ha in alcun modo riportato nel ricorso i capitoli di prova richiesti nè le circostanze su cui chiedeva si svolgesse la testimonianza.

Venendo all’esame del quinto motivo, con cui si assume la mancata presa in considerazione dei documenti allegati all’istanza di ammissione al passivo costituiti dalla tabella TFR, dalle buste paga e dal libretto di lavoro, si rileva l’assoluta genericità ed apoditticità della contestazione che appare del tutto priva di autosufficienza, non avendo il ricorrente indicato quando i documenti in questione erano stati prodotti nè avendone riportato il contenuto nel ricorso , in tal modo impedendo a questa Corte , cui è inibito gli accessi agli atti della fase di merito, di prendere contezza degli stessi e conseguentemente di emettere ogni valutazione in merito alla loro rilevanza.

Lo stesso deve dirsi per quanto concerne il sesto motivo con cui si afferma che esso ricorrente avrebbe continuato a prestare la propria opera lavorativa anche dopo essere cessato dalla carica di consigliere di amministrazione onde tale attività rivestiva indubbiamente carattere lavorativo.

Anche in questo caso viene effettuata una affermazione del tutto generica, priva di elementi circostanziati e priva di alcun riferimento alle risultanze processuali che dovevano essere specificatamente riportate nel motivo.

Il settimo motivo con cui il ricorrente si duole della esclusiva presa in considerazione della documentazione della controparte, in violazione del principio di parità delle parti prima ancora che essere manifestamente infondato è inammissibile.

Il ricorrente non indica infatti, in violazione del principio di autosufficienza, quali sarebbero i documenti da esso prodotti ed ignorati dalla sentenza limitandosi soltanto ad evidenziare la presa in considerazione da parte di quest’ ultima di un documento avversario. La doglianza dunque, del tutto generica, non consente a questa Corte, cui,come già detto , non è consentita la diretta presa in visione degli atti del fascicolo della fase di merito , di valutare la fondatezza della domanda. Sul punto è appena il caso di ricordare l’orientamento già espresso da questa Corte secondo cui il ricorrente, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso non può limitarsi a censurare la valutazione d’inadeguatezza delle prove documentali da parte del giudice del merito, in quanto la norma processuale impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all’incidenza rispetto alla decisione (Cass. 4589/09). A non diversa conclusione deve addivenirsi in ordine all’ottavo motivo del ricorso ,con cui si contesta la ritenuta mancanza di idonea dimostrazione probatoria dell’esistenza del rapporto di lavoro sotto il profilo che si sarebbe accolta sul punto una eccezione tardiva della controparte e che non si sarebbe tenuto conto di una serie di elementi probatori acquisiti in giudizio. Per quanto concerne il primo aspetto, è sufficiente rammentare che l’onere di provare l’esistenza di un rapporto di lavoro gravava sul D. in quanto è l’attore che è tenuto a provare il fondamento della propria pretesa onde la contestazione del suo diritto costituisce non già una eccezione ma una mera difesa che può essere avanzata in qualunque momento del giudizio di merito.

Circa il secondo aspetto, vale quanto in precedenza detto e, cioè, che il ricorrente non può limitarsi ad indicare una serie di elementi probatori che a suo dire non sarebbero stati valutati ma deve riportarne in modo specifico ed adeguato il contenuto nel ricorso, non essendo altrimenti la censura in questione scrutinabile in questa sede di legittimità. Il nono ed il decimo motivo del ricorso, con cui si censura sotto diversi profili la pronuncia impugnata laddove ha ritenuto l’incompatibilità dei poteri conferiti dalla carica di amministratore con quella di dipendente subordinato,omettendo di tener conto che quest’ultimo può svolgere altresì una attività dirigenziale, possono essere esaminati congiuntamente essendo tra loro connessi e sono anch’essi infondati.

Con tali motivi, il ricorrente pone la questione astratta della compatibilita della carica di amministratore della società con quella di dipendente della stessa, ma per accertare tale compatibilita occorreva in primo luogo provare quale fosse stata l’attività che si assumeva essere stata svolta nella qualità di dipendente e le modalità con cui la stessa era avvenuta.

In assenza di detta prova qualunque valutazione di compatibilità tra le due funzioni risulta in concreto impossibile e priva di rilevanza.

Il ricorso va, in conclusione, respinto.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 800,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2011

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