Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15245 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/07/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 16/07/2020), n.15245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9975-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

ELLE BI SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati FABIO PACE, MATTIA SARTORI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3872/17/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGONALE della LOMBARDIA, depositata il 19/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DELLI

PRISCOLI LORENZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della parte contribuente avverso una intimazione di pagamento notificata in data 3 agosto 2016;

la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello della parte contribuente rilevando che: nei confronti della società contribuente erano state notificate una serie di cartelle di pagamento, mai impugnate, tra il 2000 e l’8 gennaio 2008, che relativamente ad esse erano stati notificati alla società dei solleciti di pagamento tra il 6 dicembre 2012 e il 24 gennaio 2013 e che per tutte era oramai maturata la prescrizione in quanto per quasi tutte le cartelle il termine di prescrizione è di 5 anni, con eccezione delle prime per le quali è di 10 anni, risultando comunque decorso anche tale più ampio termine di prescrizione;

l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato ad un unico motivo mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che con l’unico motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Agenzia delle entrate denuncia nullità della sentenza per motivazione apparente e incomprensibile in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 132 c.p.c..

Il motivo è fondato.

Infatti, secondo questa Corte: il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 23940 del 2017; Cass. SU n. 8053 del 2014);

in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22598 del 2018).

Dalla lettura della sentenza della CTR e dalle date indicate di notifica delle cartelle, dei solleciti e dell’intimazione di pagamento si evince che per molte delle cartelle sarebbe stato decisivo, al fine della possibilità di evincere dalla motivazione se fosse o meno estinto il diritto per intervenuta prescrizione, conoscere di quali tributi si trattasse, in relazione ad esempio alla summa divisio tra tributi erariali con prescrizione decennale e tributi locali con prescrizione quinquennale. Parimenti le date delle interruzioni della prescrizione non sono riferite alle singole cartelle ma sono indicate in generale e analogamente la data della notifica delle cartelle è indicata nell’arco temporale di 8 anni, dal 2000 all’8 gennaio 2008. E’ evidente che, poichè elemento decisivo del giudizio è il calcolo del tempo trascorso dal momento della notifica delle cartelle alle relative interruzioni della prescrizione, la sentenza è priva di quella minima chiarezza, scientificità e descrizione dei fatti che permetterebbero di controllare il decorso o meno della prescrizione per ogni singola cartella, non potendosi affrontare globalmente un discorso relativo alla prescrizione quando le cartelle si riferiscono a tributi diversi, e le date della loro notifica e delle relative interruzioni della prescrizione sono diverse. Ad esempio, facendo riferimento a dati che si evincono dallo stesso controricorso, la cartella n. 06820040372564629000, notificata il 19 gennaio 2005 per IRAP e IRPEG, e per la quale vi è stato un sollecito in data 24 gennaio 2013 oltre che l’intimazione di pagamento del 3 agosto 2016 non sembrerebbe prescritta, in ragione del principio secondo cui il diritto alla riscossione dei tributi erariali, in mancanza di un’espressa disposizione di legge, si prescrive nel termine ordinario di dieci anni e non nel più breve termine quinquennale, non costituendo detti crediti erariali prestazioni periodiche, ma dovendo la sussistenza dei relativi presupposti valutarsi in relazione a ciascun anno d’imposta (Cass. n. 32308 del 2019).

Pertanto, l’estrema genericità e la mancanza di un minimo di scientificità della sentenza impugnata non permettono di collocare la stessa ad un livello di motivazione qualificabile come “minimo costituzionale”, laddove il particolare oggetto della controversia avrebbe invece dovuto suggerire una ricostruzione analitica dei tempi di prescrizione, ossia cartella per cartella.

Pertanto, ritenuto fondato il motivo di impugnazione, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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