Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15243 del 20/06/2017

Cassazione civile, sez. II, 20/06/2017, (ud. 15/02/2017, dep.20/06/2017),  n. 15243

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26268-2013 proposto da:

W.L.E., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

VITTORIA COLONNA 40, presso lo studio dell’avvocato BRUNO BIANCHI,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

W.V.J., C.F. (OMISSIS), K.I.M. CONIUGATA

W. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE CARSO

63, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BURIGANA;

– controricorrenti –

e contro

D.W.H.K.R.;

– intimata –

avverso il provvedimento n. 78/2012 del TRIBUNALE SEDE DISTACCATA di

LUINO, depositate il 04/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2017 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso per mancata impugnazione dell’ordinanza della Corte di

Appello (S.U. n.1914/2016), in subordine, per l’inammissibilità del

ricorso ex art. 348 ter c.p.c., comma 4 e per la condanna aggravata

alle spese;

udito l’Avvocato Tocci Marco con delega depositata in udienza

dell’avv. Bianchi Bruno difensore del ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento delle difese esposte ed in atti;

udito l’avv. Burigana Francesco con delega depositata in udienza

dell’avv. Marco Mainetti difensore dei controricorrenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 10.9.2007, W.V.J. e I.M.K., proprietari di un immobile in (OMISSIS), convennero innanzi al Tribunale di Varese – sezione distaccata di Luino – i confinanti W.L.E. e D.W.H.K.R. chiedendone la condanna all’arretramento dei pilastri sporgenti che costoro avevano realizzato sull’edificio di loro proprietà a distanza dal confine inferiore a quella prescritta, oltre al risarcimento del danno.

I convenuti si costituirono rilevando che il manufatto costituiva un accessorio della struttura principale e non era, pertanto, autonomamente computabile ai fini del calcolo delle distanze fra il fabbricato ed il confine; chiesero pertanto il rigetto della domanda e spiegarono riconvenzionale per ottenere la condanna degli attori alla rimozione di alcune cisterne che essi avevano collocato sul confine, previa esatta determinazione dello stesso.

Il Tribunale accolse la domanda principale e rigettò la riconvenzionale.

A sostegno della decisione rilevò che dagli accertamenti tecnici compiuti era emersa la realizzazione, da parte dei convenuti, di un edificio i cui pilastri e sporti di gronda non rispettavano la distanza minima dal confine prescritta dai regolamenti edilizi; x che, per contro, le cisterne oggetto di doglianza erano state da tempo rimosse dagli attori ed il confine fra le proprietà, ben risultante dalla morfologia dei terreni e dalla recinzione in essere, corrispondeva a quello individuato presso i pubblici uffici competenti.

2. La sentenza venne appellata da W.L.E.; W.V.J. e I.M.K. si costituirono chiedendo che l’appello fosse dichiarato inammissibile od in subordine respinto.

La Corte d’Appello di Milano, pronunziando in contumacia di D.W.H.K.R., dichiarò inammissibile l’impugnazione ex art. 348 bis c.p.c..

3. Avverso la sentenza del tribunale W.L.E. propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo e ha depositato memoria; resistono gli intimati W.V.J. e I.M.K. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con l’unico motivo, denominato genericamente “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, il ricorrente assume che il tribunale avrebbe errato nel ritenere sussistente un’edificazione a distanza dal confine inferiore rispetto a quella prescritta; ciò in quanto il manufatto realizzato non alterava la sagoma esteriore ed il volume del preesistente edificio, rispetto al quale aveva una funzione meramente ornamentale, così da non potersi definire una “nuova costruzione” agli effetti del computo delle distanze.

La censura è priva di pregio.

Circa il rapporto fra le sporgenze di fabbricato e la disciplina delle distanze legali fra edifici, questa corte ha più volte affermato che non sono computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità, mentre rientrano nel concetto civilistico di “costruzione” le parti dell’edificio, cosiddette “aggettanti”, che seppure non corrispondenti a volumi abitativi coperti sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato e vanno perciò assoggettate alle prescrizioni in tema di distanze (in termini cfr. Cass. n. 17242/2010; Cass. n. 1556/2005; Cass. n. 5963/2004); a tale principio si è attenuta la sentenza impugnata, che ha richiamato le risultanze della consulenza tecnica nella parte in cui la stessa dà atto della sussistenza di un ampliamento della consistenza del fabbricato, attraverso la realizzazione di pilastri le cui basi aggettanti sono poste a distanza dal confine inferiore da quella prescritta, come peraltro rappresentato dalla stessa proprietà ricorrente nella documentazione allegata alla richiesta di sanatoria. Queste specifiche considerazioni non vengono incise dal motivo di ricorso, che si limita a sostenere la tesi di una funzione meramente decorativa del manufatto senza neppure entrare nel merito delle valutazioni operate dal consulente tecnico cui il tribunale ha motivatamente aderito e richiede una rivalutazione del fatto inammissibile in questa sede di legittimità.

5. Il ricorso va dunque rigettato e le spese del giudizio vanno poste a carico del ricorrente e liquidate come in dispositivo.

Deve rigettarsi la domanda di condanna aggravata alle spese formulata dal PG non ravvisandosi i presupposti di cui all’art. 385 c.p.c., comma 4, ratione temporis applicabile, posto che a tal fine occorre che il ricorso sia non soltanto erroneo in diritto, ma evidenzi un grado di imprudenza, imperizia o negligenza accentuatamente anormali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 deve dichiararsi la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente W.L.E. a pagare ai controricorrenti W.V.J. e I.M.K. le spese di questo processo di cassazione che liquida in Euro 2.500,00 per compensi oltre 15% per spese generali, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile della Corte di Cassazione, il 15 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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