Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15241 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/07/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 16/07/2020), n.15241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30301-2018 proposto da:

S.G., in proprio e quale socio amministratore della

società MA.RI.OR di S.G. snc, elettivamente domiciliato

in ROMA, VAI GREGORIO VII 474, presso lo studio dell’avvocato

DOMENICO ARIZZI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE MESSINA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3027/2/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di PALERMO SEZIONE DISTACCATA di MESSINA, depositata il

17/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DELLI

PRISCOLI LORENZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la società contribuente proponeva ricorso avverso il diniego di condono presentato ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, per gli anni dal 1997 al 2001, sia ai fini IRAP che IVA, diniego notificato il 27 maggio 2005;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente ritenendo che la presentazione dell’istanza con l’indicazione del codice 2, corrispondente a “dichiarazione validamente presentata”, anzichè col pertinente codice 1, corrispondente a “dichiarazione omessa” fosse frutto di un mero errore formale, che sfocia in una irregolarità che non poteva giustificare il diniego pronunciato;

la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate ritenendo che la definizione automatica non si perfeziona se essa si fonda su dati non corrispondenti a quelli contenuti nella dichiarazione originariamente presentata, mentre l’errore materiale deve essere manifesto e riconoscibile e consistere nella discordanza, immediatamente rilevabile dal testo, tra l’intendimento dell’autore e la sua materiale esteriorizzazione, e nel caso di specie non è rinvenibile nè un errore materiale nè trattasi di interpretare la reale volontà del contribuente dal momento che, sebbene la dichiarazione fosse stata omessa, il contribuente ha utilizzato un codice corrispondente ad una fattispecie totalmente diversa;

la parte contribuente proponeva ricorso affidato a due motivi mentre l’Agenzia delle entrate si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002 che definiscono le condizioni perchè possa considerarsi la scusabilità dell’errore;

Considerato che con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la parte contribuente denuncia l’omesso esame di un fatto, decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti e che costituisce un punto decisivo della controversia, per avere la CTR omesso di esaminare la scusabilità dell’errore;

ritenuto che i motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto entrambi ruotano intorno alla scusabilità o meno dell’errore commesso dalla parte contribuente consistente nell’aver presentato una istanza di condono con l’indicazione del codice 2, corrispondente a “dichiarazione validamente presentata”, anzichè quella che sarebbe stata corretta ossia con l’indicazione del codice 1, corrispondente a “dichiarazione omessa” dal momento che la dichiarazione era stata omessa;

considerato che, secondo questa Corte in tema di condono, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 15, la definizione automatica si perfeziona solo ove si fondi su dati corrispondenti a quelli contenuti nella dichiarazione integrativa che non costituisce una dichiarazione di scienza, come tale modificabile, ma un atto volontario, sicchè è irrevocabile e non può essere modificata dall’ufficio nè contestata dal contribuente se non per errore materiale, che deve essere manifesto e riconoscibile e consistere nella discordanza, immediatamente rilevabile dal testo, tra l’intendimento dell’autore e la sua materiale esteriorizzazione (Cass. n. 20690 del 2016, citata dalla CTR);

in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dalla L. n. 689 del 1981, art. 3, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. E’ comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass. n. 2139 del 2020);

il contribuente che abbia commesso un errore nella dichiarazione dei redditi, dal quale sia derivato un maggiore prelievo fiscale, può procedere alla correzione chiedendo all’amministrazione il rimborso di quanto pagato in eccesso nel termine previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1 (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, antecedente alle modifiche apportate dalla L. n. 133 del 1999, art. 1, comma 5), anche se l’errore è intervenuto prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 435 del 2001, art. 2, comma 1, lett. c) e d), che ha introdotto l’istituto della dichiarazione dei redditi integrativa: peraltro, il diritto al rimborso non si consolida, qualora l’Amministrazione finanziaria non effettui la rettifica nel termine previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis (testo applicabile “ratione temporis”, introdotto dal D.P.R. n. 506 del 1979, art. 1), che ha natura meramente ordinatoria (come precisato dalla L. n. 449 del 1997, art. 28, comma 1), ovvero non compia alcun accertamento nel termine stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, poichè tali termini operano solo con riferimento all’accertamento dei crediti, e non dei debiti, dell’Erario, gravando quindi sul contribuente, che impugni il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione, l’onere di provare, in base alle regole generali, il vantato diritto al rimborso (Cass. n. 6861 del 2019);

la dichiarazione dei redditi affetta da errori è emendabile con limitato riguardo ai dati riferibili ad esternazioni di scienza o di giudizio, mentre, nel caso di errori relativi all’indicazione di dati costituenti espressione di volontà negoziale, il contribuente ha l’onere, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli artt. 1427 c.c. e ss., di fornire la prova della riconoscibilità e dell’essenzialità di detti errori (Cass. n. 30404 del 2018);

ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale si è conformata ai suddetti principi, laddove per un verso ha adeguatamente motivato sulla circostanza che non sia nella specie ravvisabile un mero errore materiale, ragionevolmente affermando che, sebbene la dichiarazione era stata omessa, il contribuente ha tuttavia utilizzato un codice corrispondente ad una fattispecie totalmente diversa, che ha portato alla presentazione di un’istanza di condono dai contenuti essenziali non confacenti, sicchè il suo accoglimento avrebbe comportato la determinazione di un tributo diverso da quello conteggiato, con integrale modifica dunque dell’istanza presentata, e per un altro verso, nel ritenere l’insussistenza di una ipotesi di errore materiale, ha implicitamente ma correttamente addossato l’onere della prova della riconoscibilità e dell’essenzialità dell’errore in capo al contribuente;

ritenuta pertanto l’infondatezza di entrambi i motivi di impugnazione, il ricorso va rigettato; le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.000, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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