Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15236 del 22/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 22/07/2016, (ud. 03/12/2015, dep. 22/07/2016), n.15236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27873-2014 proposto da:

F.L., quale unica erede di COMODI CLAUDIO, elettivamente

domiciliata in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR,

rappresentata e difesa dall’Avvocato GIOVANNI LOVELLI, giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 4713 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del

17/01/2014, depositato l’01/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;

udito l’Avvocato GIOVANNI LOVELLI, difensore del ricorrente, che

chiede l’accoglimento del ricorso e deposita cartolina A/R.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in riassunzione depositato in data 27 dicembre 2012 presso la Corte d’appello di Firenze, a seguito della cassazione con rinvio (Cass. n. 17688 del 2012) del decreto (pronunciato il 25.6.2011) di integrale rigetto del ricorso depositato il 9.2.2011, B.A. + 25 insistevano nella richiesta di condanna del Ministero della giustizia al pagamento del danno patrimoniale e non derivato dalla irragionevole durata della procedura concernente il fallimento della Ceramiche Fratelli De Petris srl., società di cui i ricorrenti erano dipendenti, iniziata con dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Perugia in data 12 dicembre 1994 e ancora pendente al momento della presente domanda.

L’adita Corte d’appello, a fronte della complessiva durata della procedura fallimentare in quindici anni e nove mesi, pur indicando in sette anni la ragionevole durata, per cui il ritardo irragionevole era di otto anni e nove mesi, non riconosceva alcunchè per il danno patrimoniale preteso per interessi legali e rivalutazione sul credito percepito in sede fallimentare ritenendo generica la relativa domanda. Quanto al danno non patrimoniale, lo liquidava in Euro 5.250,00 per ciascun ricorrente, pari ad Euro 1.500,00 per i primi tre anni di ritardo, e 3.250,00 per i successivi cinque ed Euro 500,00 per gli ultimi nove mesi, oltre ad interessi dalla domanda, con compensazione per la metà delle spese di lite.

Per la cassazione del predetto decreto agisce F.L., quale unica erede di C.C., con ricorso affidato ad unico complessivo motivo.

L’intimato Ministero non ha svolto difese in sede di legittimità.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con l’unico motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., degli artt. 459, 470, 484, 490 e 2697 c.c. e della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1, 2 e 3, e art. 3, comma 5, dell’art. 6, par. 1 Convenzione EDU, oltre a vizio di motivazione, per avere la corte di merito nel giudizio di rinvio liquidato l’indennizzo in suo favore solo in proprio e non anche quale unica erede di C.C., creditore ammesso al passivo del fallimento, deceduto nel (OMISSIS).

Il ricorso è fondato.

Occorre premettere che, nel caso di specie, vi è la necessità di distinguere l’azione esercitata dalla F., quale erede di C.C., da quella relativa alla durata non ragionevole del processo vantata iure proprio dalla stessa F..

In altri termini, è necessario procedere ad una ricostruzione analitica delle diverse frazioni temporali al fine di valutarne separatamente la ragionevole durata, senza, tuttavia, escludere la possibilità di un cumulo tra il danno morale sofferto dal dante causa e quello personalmente patito dalla ricorrente, non ravvisandosi incompatibilità tra il pregiudizio patito iure proprio e quello che lo stesso soggetto può far valere pro quota e iure successionis, ove già entrato a far parte del patrimonio del proprio dante causa (in termini, Cass. n. 21646 del 2011; nello stesso senso: Cass. n. 10517 del 2013; Cass. n. 995 del 2012; Cass. n. 1309 del 2011; Cass. n. 13803 del 2011).

Nella specie risulta evidente la mancata valutazione da parte della corte di merito della posizione della F. vantata quale unica erede del C., anch’egli ex dipendente ammesso allo stato passivo della procedura fallimentare della Ceramiche Fratelli D.P. s.r.l., tenendo peraltro conto che rispetto al diritto vantato iure hereditatis, essendo il credito già caduto nella successione del de cuius, dovrà essere computato fino alla data del decesso.

Dunque, alla luce delle considerazioni sopra svolte il ricorso va accolto ed il decreto impugnato deve essere cassato, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione. Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso;

cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2, il 3 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2016

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