Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15234 del 22/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 22/07/2016, (ud. 03/12/2015, dep. 22/07/2016), n.15234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13142-2014 proposto da:

B.A., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 969/2013 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata i124/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 24 gennaio 2012 presso la Corte d’appello di Potenza, P.R., + ALTRI OMESSI L’adita Corte d’appello – premesso che dalla relazione del curatore fallimentare risultano una estremamente vasta platea di creditori, con piano di riparto approvato solo il 13.2.2008, effettuati i relativi pagamenti tra gennaio e febbraio 2009, con drastica riduzione dei crediti dei lavoratori dipendenti della società fallita, come i ricorrenti – considerava ragionevole la durata di otto anni, per cui riteneva che fosse indennizzabile un ritardo di nove anni, a fronte della durata complessiva di diciassette anni (decorrenti dalla data di ammissione allo stato passivo, i123.11.1995), e riteneva, altresì, che ai ricorrenti potesse essere liquidato un indennizzo di 2.000,00 per ciascuno, in considerazione del comportamento pressocchè contemplativo dei ricorrenti, con spese processuali compensate per la metà.

Avverso detto decreto i ricorrenti sopra indicati hanno proposto ricorso, affidato a due motivi.

L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e ss. art. 6, par. 1 CEDU, art. 111 Cost., Legge Costituzionale n. 2 del 1999, art. 1, art. 6, par. 1 della CEDU e art. 2056 c.c., nonchè vizio di motivazione in merito, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia determinato la durata ragionevole della procedura fallimentare presupposta in otto anni, in contrasto con le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la detta durata può essere al massimo di sette anni.

I ricorrenti, inoltre, si dolgono che la Corte d’appello abbia quantificato l’indennizzo in misura irrisoria per ciascun anno di ritardo, non sufficiente e comunque contrastante con i criteri fissati dalla giurisprudenza e tenendo conto della condotta dei creditori, senza tuttavia operare una concreta valutazione della c.d. posta in gioco e della importanza della stessa, che era tutt’altro che esigua.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 3 Cost., nonchè degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c., oltre a vizio di motivazione, insistendo nella inadeguatezza del risarcimento.

Entrambi i motivi, che sono da trattare congiuntamente per la stretta connessione argomentativa che li avvince, sono fondati.

Invero, questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass. n. 8468 del 2012), che la durata ragionevole delle procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni per quelle di media complessità, ed è elevabile fmo a sette anni, allorquando il procedimento si presenti notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in presenza di un numero elevato di creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.), della proliferazione di giudizi connessi alla procedura, ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle procedure concorsuali interdipendenti.

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha, di converso, ritenuto ragionevole una durata superiore al massimo consentito.

Quanto al criterio liquidativo prescelto dal giudice di merito, esso non è in linea con le soglie dettate tanto dalla giurisprudenza europea quanto da quella nazionale.

Questa Corte ha chiarito in numerose pronunce che, se è vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore ad Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (Cass. n. 18617 del 2010; Cass. n. 17922 del 2010). Si aggiunga, altresì, che è stato ritenuto in linea con le soglie dettate tanto dalla giurisprudenza europea quanto da quella nazionale, il criterio di Euro 500,00 per anno di ritardo in relazione alle procedure fallimentari (Cass. n. 16311 del 2014).

Tuttavia nella specie la Corte di merito, anche affermando di voler valorizzare il criterio del comportamento pressocchè contemplativo dei ricorrenti, ha poi finito per liquidare un indennizzo al di sotto di detto parametro, discostandosi, in senso riduttivo, da suddetti minimi.

Conclusivamente, va accolto il ricorso e il decreto impugnato deve essere cassato.

Non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Infatti, accertata la irragionevole durata della procedura fallimentare in anni dieci, alla liquidazione dell’indennizzo può procedersi applicando il criterio di Euro 500,00 per anno di ritardo, ritenuto dalla più recente giurisprudenza congruo in relazione alle procedure fallimentari (Cass. n. 16311 del 2014 cit.), e determinando quindi l’ammontare dell’indennizzo in favore di ciascun ricorrente in Euro 5.000,00.

In conclusione, il Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento, in favore di ciascun ricorrente, della somma di Euro 5.000,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al soddisfo.

Quanto alle spese processuali, va confermata sul punto la statuizione della corte di merito, con condanna del Ministero alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione.

PQM

La Corte, accoglie in parte il primo motivo di ricorso, nonchè il secondo ed il terzo;

cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore di ciascun ricorrente, della somma di Euro 5.000,00, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al saldo;

confermata la statuizione della Corte territoriale sulle spese di merito, condanna, altresì, il Ministero alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2, il 3 dicembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2016

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