Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15232 del 03/07/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 15232 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

SENTENZA
sul ricorso 17820-2008 proposto da:
NEGRO ANNA MARIA NGRNNA42H65G188R, elettivamente
domiciliata in ROMA, CORSO DEL RINASCIMENTO 11,
presso lo studio dell’avvocato PELLEGRINO GIOVANNI,
rappresentata e difesa dall’avvocato FINOCCHITO MAURO
con studio in 73028 OTRANTO, VIA S. FRANCESCO 34,
2014

giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

1153

contro

DE

BENE

BIAGIO

DBNBG144E15F221W,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BELSIANA 71, presso lo

1

Data pubblicazione: 03/07/2014

studio

GIUSEPPE,

DELL’ERBA

dell’avvocato

rappresentato e difeso dall’avvocato NISI SALVATORE
giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente nonchè contro

COLUCCIA FRANCESCO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 303/2008 della CORTE D’APPELLO
di LECCE, depositata il 05/05/2008 R.G.N. 64/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/05/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO
MARIA STALLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per l’inammissibilita’ in subordine per il rigetto
del ricorso.

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COLUCCIA GIOVANNI, COLUCCIA ADRIANO, COLUCCIA ANNA,

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

Svolgimento del giudizio.
Nel maggio 1998 Biagio De Bene conveniva in giudizio Anna Maria
Negro, chiedendone la condanna al pagamento della somma di lire 24
milioni, a titolo di arricchimento ex artt.2041/2042 cc. Ciò in
relazione a lavori migliorativi di rifinitura (intonaco e

affittuari Coluccia Giovanni e Cantoro Antonia, che venivano pure
evocati in giudizio – in una casa di abitazione poi risultata
essere in proprietà della Negro.
Nella costituzione dei convenuti, interveniva la sentenza
n.253/04 con la quale il Tribunale di Lecce accoglieva la domanda
di arricchimento e condannava la Negro al pagamento a tale titolo
della somma di euro 9.569,10, oltre spese di lite a favore del De
Bene (spese che venivano compensate nei riguardi dei ColucciaCantoro, nei cui confronti non erano state formulate domande).
Interposto appello dalla Negro nel cui giudizio si
costituivano il De Bene e gli eredi della Cantoro, deceduta in
corso di causa – veniva emessa la sentenza n.303/08 con la quale
la corte di appello di Lecce rigettava il gravame e condannava la
Negro alla rifusione delle spese del grado nei confronti del De
. Bene.
Avverso tale sentenza viene dalla Negro proposto ricorso per
cassazione sulla base di sette motivi, ai quali resiste con
controricorso il De Bene. I Coluccia non hanno svolto attività
difensiva. Tanto la Negro quanto il De Bene hanno depositato
memoria ex art.378 cod.proc.civ..
3

pavimentazione) da lui realizzati su commissione degli

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

Motivi della decisione.
.5 1.1 Con il primo motivo di ricorso la Negro lamenta, ex art.360

1^ co.n.3 cpc, violazione e falsa applicazione degli artt.2042
cod.civ. e 5 legge fall., dal momento che la corte di appello, pur
dopo aver correttamente affermato la proponibilità nei confronti

insolvenza del diretto debitore ex

contractu,

aveva errato

nell’individuare nella specie tale stato di insolvenza in capo ai
Coluccia. Nel caso in questione, anzi, faceva difetto non soltanto
l’insolvenza definita dall’art.5 1.fall., ma anche
l’inadempimento. Ciò doveva desumersi dal fatto che il Coluccia
era stato sì dichiarato fallito, ma in forza di un fallimento già
chiuso per concordato quasi 10 anni prima dell’introduzione del
giudizio e che, comunque, non aveva coinvolto la Cantoro; inoltre,
il Coluccia risultava raggiunto da una sola azione esecutiva
mobiliare per un modesto importo, e per giunta successiva
all’introduzione del giudizio.
Con il secondo motivo di ricorso la Negro denuncia, ex
art.360 l^ co.n.5) cpc, omessa e contraddittoria motivazione su un
punto decisivo. Ciò perché la corte di appello non aveva preso in
considerazione gli elementi che deponevano per l’inesistenza
apoditticamente individuata nella mancanza dì
lavoro stabile e di beni immobili in capo ai Coluccia. In special
modo, non aveva la corte territoriale rilevato come dalle prove
raccolte risultasse che: – il Coluccia aveva un’attività stabile;
– la Cantoro era coltivatrice diretta; – l’ esecuzione mobiliare
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del terzo dell’azione sussidiaria di arricchimento in ipotesi di

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

(n. 9341/99) aveva raggiunto il Coluccia soltanto come

debitor

debitori.9 in sede di pignornmnte) presso terzI.

Nel terzo motivo di ricorso la Negro lamenta, ex art.360
1^co.n.4) cpc, violazione degli artt. 99, 112 e 115 cpc, dal
momento che l’elemento di asserita insolvenza costituito dalla

appello d’ufficio, ed in assenza di riscontri agli atti di causa.
§ 1.2

Questi tre motivi di ricorso debbono essere trattati

unitariamente perché tutti incentrati – nella prospettiva della
violazione normativa sostanziale e processuale, nonché della
carenza motivazionale – sul medesimo presupposto dell’accertamento
dell’insolvenza dei committenti dei lavori: Coluccia e Cantoro.
Va premesso che le censure in esame non contrastano
specificamente la conclusione in diritto alla quale sono pervenuti
i giudici di merito circa la proponibilità dell’azione ex articolo
2041 cod.civ. nei confronti del terzo, in ipotesi di arricchimento
indiretto di questi e di insolvenza del debitore ex contractu.
In effetti si tratta di soluzione in linea con l’orientamento
di legittimità il quale, dopo precedenti contrasti, è pervenuto
all’approdo di cui alla sentenza Sez. U. n. 24772 dell’
8/10/2008, la quale ha appunto eccezionalmente ammesso tale azione
– per ragioni di riconduzione ad equità del sistema – nell’ipotesi
in cui il terzo abbia conseguito a titolo gratuito la prestazione
dell’impoverito; riaffermando con ciò l’orientamento già sostenuto
da alcune precedenti statuizioni (tra cui Cass. 18.8.1993 n. 8751;
Cass. 3.8.2002 n.11656;

contra,

Cass. 24.5.2002 n. 7627, in un
5

mancanza di lavoro stabile era stata affermata dalla corte di

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

caso in cui l’arricchimento ottenuto dal locatore nell’esecuzione
di opere di miglioramento era stato ritenuto giustificato, per
apposita clausola contrattuale o ex art.1592 cod.civ., dal
rapporto di locazione intercorrente con il conduttore che aveva
ordinato i lavori).

in esame (la seconda delle quali è anche priva del ‘momento di
sintesi’ o quesito di fatto’ prescritto dall’art.366 bis
cod.proc.civ., qui applicabile ratione temporls)

debbono reputarsi

inammissibili perché in realtà finalizzate ad ottenere una diversa
e più favorevole ricostruzione ‘in fatto’ da parte del giudice di
legittimità.
Il presupposto della proponibilità ‘indiretta’ dell’azione di
arricchimento nei confronti del terzo è stato dal giudice di
merito individuato (sulla scorta del suddetto insegnamento
giurisprudenziale) nell’accertata incapacità dei committenti di
far fronte al debito per l’esecuzione dei lavori. Tale incapacità
è stata correttamente colta nei suoi risvolti di natura puramente
economico-patrimoniale, ed indipendentemente dalla sua sussunzione
tecnico-giuridica nella fattispecie di cui all’articolo 5 legge
fallimentare. Senonchè, la valutazione della capacità dei
committenti di far fronte al debito in questione attiene a tipica
delibazione di fatto discrezionalmente affidata al giudice di
merito. La corte di appello ha d’altra parte congruamente motivato
il proprio convincimento, facendo richiamo ai vari elementi
istruttori da cui doveva convergentemente evincersi l’assoluta
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Ciò premesso in linea di diritto, tutte e tre le censure qui

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

incapacità finanziaria e patrimoniale dei Coluccia, tra i quali: il pregresso fallimento al quale il Coluccia era stato sottoposto;
– l’assenza di un lavoro stabile e di beni immobili;
l’impossidenza e la mancanza di redditi lavorativi altresì in capo
alla Cantoro; – il mancato pagamento di debiti precettati; – il

entrambi i debitori dal De Bene (sent.pagg.8-9).
Ora,

le censure in esame (anche quelle apparentemente

evidenzianti una violazione o falsa applicazione normativa) altro
non fanno che contrapporre alla considerazione unitaria di tutti
questi elementi, altre circostanze fattuali che avrebbero
asseritamente dovuto indurre il giudice di merito ad una
differente delibazione; ma ciò implica la già evidenziata
preclusione di sindacato.
Questa affermazione vale altresì per la specifica doglianza di
tipo motivazionale, alla luce del principio consolidato secondo
cui la deduzione di siffatto vizio conferisce al giudice di
legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera
vicenda processuale sottoposta al suo controllo, bensì la sola
facoltà di controllare, sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni
svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il
compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di
assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, dì scegliere, tra le complessive risultanze del
processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
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mancato esito delle ripetute diffide di pagamento inoltrate ad

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (
salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che
il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione,
insufficienza, contraddittorietà della medesima, può dirsi

sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente)
esame dei punti decisivi della controversia, prospettati dalle
parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile
contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da
non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico
posto a base della decisione (ex

multis,

Cass. n. 8718 del

27/04/2005). Si è inoltre stabilito (Sez. U., n. 24148 del
25/10/2013) che la motivazione omessa o insufficiente è
configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di
merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale
obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa
decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel
complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo
ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo
convincimento; ma non già quando, invece, vi sia difformità
rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul
valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi
delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in
un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del
convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova
8

sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito,

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini
del giudizio di cassazione.
Quanto, infine, all’ asserita violazione procedurale di cui
alla terza doglianza, basterà osservare come quanto stabilito dal
giudice di merito sia il frutto di una doverosa valutazione di

al contraddittorio tra le parti. Con la conseguenza che non di
violazione del principio dispositivo e di allegazione si è
trattato, bensì di attribuzione agli elementi istruttori in atti
del valore probatorio discrezionalmente ritenuto loro proprio. Il
che attiene alla essenziale prerogativa decisionale del giudice ex
art.116 cod.proc.civ.
2.1

Con il quarto motivo di ricorso la Negro deduce violazione

degli artt.2730, 2735 e 2041 cc; nonché insufficiente motivazione
su fatti decisivi e controversi.
In particolare, non avrebbe la corte di appello considerato che
essa convenuta aveva titolo per trattenere i miglioramenti senza
riconoscere alcunchè ai conduttori, come desumibile dall’art.6 del
contratto di affitto di fondo rustico stipulato il 27.2.92 con i
committenti dei lavori; oltre che dagli artt.1592 cc e 16
1.203/82. Viene formulato il seguente quesito di diritto ex
art.366 bis cod.proc.civ., cit.:

“se vero che la dichiarazione

sfavorevole alle tesi prospettate da una parte, resa nell’ambito
di un contratto dalla parte medesima, integri confessione
rivesta pertanto fede privilegiata senza possibilità di prov
contraria”.
9

e

risultanze (documentali) ritualmente versate in causa e sottoposte

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

Nella quinta censura la Negro deduce, ex art.360 l^ co.n.4)
cpc, violazione del principio di correlazione tra il chiesto ed il
pronunciato ex art.111 cpc, atteso che la corte di appello aveva
omesso di considerare la clausola n.6 del contratto di affitto,
che prevedeva il suo diritto di trattenere i miglioramenti senza

quesito di diritto:

“vero che la eccepita esistenza della

previsione contrattuale di cui all’art.6 del contratto 27.2.92,
posta a fondamento del secondo motivo di appello, attiene a fatto
impeditivo dell’arricchimento senza causa, che il giudice di
appello aveva l’obbligo di esaminare e valutare specificamente; in
ossequio al principio di corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato”.
Nella sesta censura, la Negro lamenta violazione degli
artt.936, 1150 e 2041 cc, nonché insufficiente, illogica e
contraddittoria motivazione, sotto il profilo che l’arricchimento
da parte sua non sarebbe stato ingiustificato – in forza delle
disposizioni citate –

nemmeno se i lavori fossero in ipotesi

stati anteriori all’affitto. Viene formulato il seguente quesito
di diritto:

“se vero che il diritto al pagamento dei miglioramenti

previsto a favore del possessore dagli artt.936 e 1150 cc escluda
già in tesi l’arricchimento del beneficiario e, quindi, il
presupposto di ammissibilità dell’azione ex art.2041 cc.”
§ 2.2

Queste tre censure debbono essere trattate unitariamente,

perché tutte basate sull’asserita sussistenza, nella specie, di
una giusta causa di acquisizione dei miglioramenti da parte della
10

riconoscere alcunchè agli affittuari. Viene formulato il seguente

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

Negro (tale da rendere inapplicabile, nei suoi confronti, il
rimedio ex art.2041 cod.civ.).
Esse sono inammissibili perché non assistite da quesiti
conformi al modello legale di cui all’art.366 bis cit..
E’ orientamento consolidato di legittimità (tra le tante: Cass.

19769; Cass. 30 settembre 2008, n. 24339; Cass. 25 marzo 2009, n.
7197; Cass. 8 novembre 2010, n. 22704) che il quesito di cui
all’art.366 bis cit. – dovendo costituire un momento di
congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e
l’enunciazione del principio generale – non può esaurirsi nella
mera enunciazione di una regola astratta, dovendo invece
presentare uno specifico collegamento con la fattispecie concreta.
Esso deve in altri termini raccordare la prima alla seconda, ed
entrambe alla decisione impugnata; di cui deve indicare la
discrasia con riferimento alle specifiche premesse di fatto. Deve
pertanto ritenersi inammissibile il ricorso che contenga quesiti
di carattere generale ed astratto, privi di qualunque indicazione
sul tipo della controversia, sugli argomenti dedotti dal giudice
‘a quo’ e sulle ragioni per le quali non dovrebbero essere
condivisi.
Si è in particolare affermato (Cass. 19 novembre 13 n. 25903)
che il quesito di diritto “deve essere formulato in modo tale da
esplicitare una sintesi logico-giuridica della questione, cosi da
consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris
suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori
11

, sez. un., 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass. 17 luglio 2008, n.

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; in altri
termini, esso deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione
degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito (siccome
da questi ritenuti per veri, altrimenti mancando la critica di
pertinenza alla ratio decidendi della sentenza impugnata); b) la

giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del
ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Sicché,
il quesito non deve risolversi in un’enunciazione di carattere
generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo
della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in
esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la
causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi altresi
desumere 11 quesito stesso dal contenuto del motivo o integrare il
primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto
articolo (Cass., sez. un., 11 marzo 2008, n. 6420) (…)”.
Tanto premesso, risulta evidente come i quesiti qui in esame
non rispondano ai criteri anzidetti, risolvendosi
nell’enunciazione di interrogativi astratti; scollegati dalla

sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel

concreta fattispecie a cui essi pretendono di riferirsi, della
quale non riproducono termini e modalità essenziali. Dalla loro
lettura – che, come detto, ha rilevanza autonoma, non potendo
trovare integrazione o specificazione nella narrativa di
illustrazione del motivo, atteso altrimenti l’aggiramento della /
/
previsione di legge, secondo la quale la formulazione del quesito i
è richiesta

‘a pena di inammissibilità’
12

non è dato di

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

individuare lo specifico errore di diritto nel quale sarebbe
incorso il giudice di appello; e nemmeno la regola di diritto che
si assume violata e la cui corretta applicazione sostitutiva
dovrebbe indurre ad una decisione diversa.
Su questa comune premessa, deve in particolare osservarsi che:
il primo quesito su riportato (quarto motivo) richiama una non

meglio descritta ‘dichiarazione’ contrattuale di una parte, alla
quale il quesito stesso attribuisce senz’altro contenuto
sfavorevole e di confessione della parte dichiarante, facendone
così discendere apoditticamente effetto di fede privilegiata
‘senza possibilità di prova contraria’; dalla sola lettura del
quesito, come dev’essere in base alle già svolte considerazioni,
non è tuttavia possibile individuare alcuna relazione tra
l’assunto in esso formulato e la risoluzione del caso concreto;
non senza osservare, poi, come la natura confessoria di una
dichiarazione (ancorché contenuta in un regolamento contrattuale)
involga una quaestio facti riservata alla valutazione del giudice
di merito;

b)

il secondo quesito in esame (quinto motivo),

menziona in effetti un dato fondamentale della fattispecie
concreta (la clausola n.6 del contratto 27 febbraio 92), ma non la
riporta e, soprattutto, non la contestualizza nell’ambito di una
decisione che si caratterizza non già per l’omessa pronuncia sugli
effetti impeditivi dell’arricchimento di tale clausola ma, a
monte, per l’implicito rigetto della tesi della rilevanza di
quest’ultima (avendo il giudice di merito argomentato che
l’acquisizione da parte della Negro dei lavori in questione non
13

a)

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

poteva trarre giustificazione causale, ex art.2041 cod.civ., nel
contratto di affitto, posto che essi erano stati eseguiti
anteriormente alla stipulazione del contratto che tale clausola
conteneva, ed allorquando non sussisteva tra le parti nessun altro
vincolo di natura contrattuale: sent.pag.10); c) il terzo quesito

teorico sulla asserita incompatibilità tra l’azione di
arricchimento nei confronti del terzo ed il regime dei
miglioramenti nei confronti del possessore ex articoli 936 e 1150
cod.civ., senza specificare in che termini tale problema
interferisca con la risoluzione del caso concreto; ci si trova in
realtà di fronte ad un’affermazione di principio che dà
dichiaratamente

(‘in tesi’)

per scontata l’esclusione

dell’arricchimento del beneficiario, senza peraltro menzionarne le
ragioni nè considerare nessuno degli altri elementi della
fattispecie complessa di proposizione indiretta dell’azione ex
articolo 2041 cod.civ..
§ 3.

Con l’ultima censura, la Negro lamenta vizio di motivazione

in ordine alla regolazione delle spese di primo grado di giudizio,
atteso che l’identità delle questioni trattate avrebbe dovuto
indurre la corte di appello a riformare tale decisione mediante
compensazione delle spese nei confronti di tutte le parti
processuali; ovvero mediante condanna alla loro rifusione non
soltanto di essa convenuta, ma anche dei Coluccia.
Va tuttavia considerato che la valutazione sulla sussistenza
dei giusti motivi di compensazione delle spese processuali esula
14

in discussione (sesto motivo) si risolve poi in un mero interpello

Ric.n.17820/08 rg. – Ud. dell’8 maggio 2014.

dal vaglio di legittimità; al quale compete unicamente il
controllo circa l’eventuale violazione del principio per cui le
spese di lite non possono essere poste a carico della parte
interamente vittoriosa, il che non è qui accaduto. D’altra parte,
la corte di appello (sent.pag.12) ha ritenuto – con ragionamento

rapporto processuale con i Coluccia in ragione del fatto che
costoro erano stati evocati in giudizio per ragioni meramente
processuali, e senza che venissero nei loro confronti formulate
domande o conclusioni di sorta.
Ne segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con
condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del
presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
Pqm

La Corte

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del

giudizio di cassazione a favore di parte controricorrente, che
liquida in euro 2400,00, di cui euro 200,00 per esborsi ed il
resto per compenso professionale; oltre spese generali ed
accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio della terza sezione civile
in data 8 magg o 2014.

congruo ed immune da vizi logici – di compensare le spese nel

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