Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15231 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 16/07/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 16/07/2020), n.15231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15717-2017 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

GRACCHI n. 128, presso lo studio dell’avvocato ISABELLA MARIA

CESARINA DE ANGELIS, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GAETANO VENETO;

– ricorrente –

contro

CNL – CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA

DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 396/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/03/2017 R.G.N. 1042/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati ISABELLA MARIA CESARINA DE ANGELIS e GAETANO

VENETO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’ Appello di Bari, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto il ricorso, ha rigettato le domande proposte nei confronti del Consiglio Nazionale delle Ricerche da G.S., il quale aveva agito in giudizio per ottenere il riconoscimento, a fini giuridici ed economici, dell’anzianità di servizio maturata sulla base di rapporti di lavoro a termine intercorsi fra le parti e la condanna dell’amministrazione convenuta a corrispondere, nei limiti della prescrizione quinquennale, le differenze retributive conseguenti alla ricostruzione della carriera.

2. La Corte territoriale ha ritenuto preliminare ed assorbente il motivo d’appello con il quale il CNR aveva dedotto che i rapporti a termine intercorsi fra le parti non potevano essere fatti valere ai fini dell’applicazione della clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE perchè risalenti ad epoca antecedente il 10 luglio 2001.

3. Il giudice d’appello ha richiamato giurisprudenza della Corte di giustizia per sostenere che le norme comunitarie di diritto sostanziale si possono applicare a situazioni createsi anteriormente alla loro entrata in vigore soltanto qualora dalla lettera, dallo scopo o dallo spirito di tali disposizioni risulti con chiarezza che alle stesse debba essere attribuita efficacia retroattiva.

4. Ha precisato che tale retroattività non è stata prevista per la direttiva sul lavoro a tempo determinato, che, pertanto, non poteva essere invocata dall’appellato il quale, immesso definitivamente in ruolo il 16 dicembre 1997, pretendeva di far valere contratti a termine risalenti a periodi di gran lunga antecedenti l’entrata in vigore della normativa comunitaria.

5. Infine la Corte territoriale ha rilevato che, sebbene l’anzianità di servizio non costituisca uno status nè un distinto bene della vita oggetto di autonomo diritto, nel caso di specie non poteva non spiegare effetti la circostanza che i fatti generatori del preteso diritto alla ricostruzione della carriera si collocassero in un momento temporale in cui la disciplina legittimamente escludeva l’effetto utile invocato.

6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G.S. sulla base di tre motivi, ai quali ha opposto difese con tempestivo controricorso il Consiglio Nazionale delle Ricerche.

6. La causa, dapprima avviata alla trattazione camerale dinanzi alla VI Sezione, con ordinanza n. 6200/2019 è stata rimessa a questa Sezione ex art. 380 bis c.p.c., comma 3, in ragione dell’importanza delle questioni giuridiche coinvolte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c. – acquiescenza alla sentenza del Tribunale di Bari – giudicato implicito – violazione di legge anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” e sostiene, in sintesi, che l’ente aveva prestato tacita acquiescenza alle statuizioni della sentenza del Tribunale di Bari ponendo in essere atti dai quali era possibile desumere l’univoca volontà di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia di primo grado. Precisa al riguardo che il Tribunale aveva emesso una sentenza meramente dichiarativa del diritto ed aveva precisato, in motivazione, che il passaggio da una posizione stipendiale all’altra, seppure connesso alla maggiore anzianità di servizio, è subordinato anche ad una valutazione positiva dell’operato del dipendente nell’arco temporale in considerazione, valutazione che nella specie non era stata espressa con la conseguenza che non poteva il giudice esprimere il giudizio in luogo del datore di lavoro.

All’esito della pronuncia, sebbene il ricorrente non avesse in alcun modo sollecitato l’ottemperanza alla stessa, il CNR, spontaneamente, aveva dato corso alla verifica delle attività svolte dal ricercatore e, in considerazione del giudizio positivo, aveva provveduto al pagamento delle differenze retributive non prescritte e a riconoscere lo stipendio base previsto per la 6a fascia stipendiale.

Addebita alla Corte territoriale di non avere in alcun modo considerato l’eccezione proposta e di avere ignorato la documentazione, tempestivamente prodotta, che attestava la pacifica e spontanea accettazione del decisum.

2. La seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, imputa alla sentenza impugnata la “violazione e falsa applicazione della Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, così come interpretata dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea”. Il ricorrente sostiene, in sintesi, che ha errato la Corte territoriale nell’escludere ogni rilevanza dell’anzianità maturata sulla base di rapporti a termine intercorsi fra le parti in data antecedente all’entrata in vigore della direttiva, innanzitutto perchè il contratto a tempo indeterminato, del quale era stata eccepita la nullità parziale, era stato sottoscritto il 28 dicembre 2001 in piena vigenza della direttiva e lo stesso, disconoscendo l’anzianità maturata, aveva realizzato una discriminazione ingiustificata, protrattasi ininterrottamente sino alla spontanea esecuzione della sentenza del Tribunale di Bari avvenuta nel giugno 2015. Richiama le ragioni per le quali la Corte di Giustizia, in plurime decisioni, ha ribadito che, qualora l’anzianità di servizio incida sull’ammontare della retribuzione, occorre tener conto anche della prestazione lavorativa resa sulla base di contratti a tempo determinato, se comparabile all’attività del dipendente a tempo indeterminato, e nel giudizio di comparazione si deve tener conto solo della natura delle mansioni espletate, nella specie rimasta sempre immutata.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e segnatamente in ordine al requisito dell’esistenza del contratto di lavoro a tempo indeterminato come primo ricercatore con decorrenza dal 28 dicembre 2001…” nonchè violazione del CCNL 1998/2001 per i dipendenti del comparto della ricerca, artt. 1 e 20, e dell’art. 132 c.p.c.. Ribadisce che l’inquadramento contestato nel profilo di primo ricercatore, secondo livello professionale, era stato disposto il 28 dicembre 2001 a seguito di partecipazione al concorso pubblico per titoli e colloquio bandito nell’anno 2000, perchè in precedenza egli era stato assunto, sempre all’esito di procedura concorsuale, quale ricercatore di III livello. Richiama i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte per sostenere l’autonomia del successivo contratto rispetto al precedente, pur nella continuità del rapporto di lavoro intercorso fra le parti. Infine sottolinea che il principio di non discriminazione è stato fatto proprio anche dalle parti collettive le quali hanno previsto che al personale assunto a tempo determinato debba applicarsi il medesimo trattamento economico e normativo previsto per i dipendenti a tempo indeterminato, compatibilmente con la durata del contratto a termine.

4. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente in relazione all’asserita mancanza o insufficienza dell’esposizione dei fatti di causa.

L’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 risponde non ad una esigenza di mero formalismo, bensì a quella di consentire una conoscenza chiara dei fatti di causa, in modo da permettere alla Corte di Cassazione di intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato.

Il requisito, quindi, è soddisfatto ogniqualvolta l’atto fornisca gli elementi indispensabili per una precisa cognizione della vicenda processuale, sicchè la valutazione sulla completezza della esposizione dei fatti contenuta nell’atto introduttivo deve essere effettuata considerando il fine che il requisito stesso mira ad assicurare e contemperando l’esigenza di fornire alla Corte tutti gli elementi necessari ai fini della decisione con quella della necessaria sinteticità degli atti processuali.

Ne discende che, come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, la “esposizione sommaria dei fatti di causa” non richiede nè la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali nè che “si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’è articolata” (così in motivazione Cass. S.U. 11.4.2012 n. 5698), essendo sufficiente una sintesi della vicenda “funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata”. Le Sezioni Unite nella citata pronuncia hanno anche significativamente aggiunto che “il ricorso non può dirsi inammissibile quand’anche difetti una parte formalmente dedicata all’esposizione sommaria del fatto, se l’esposizione dei motivi sia di per sè autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso” (in questi stessi termini, fra le più recenti, Cass. n. 17036/2018).

Dai richiamati principi discende che nella fattispecie non è ravvisabile l’eccepito difetto del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3 perchè il ricorrente, oltre a trascrivere nel ricorso la sintesi della vicenda processuale effettuata dalla Corte territoriale nella sentenza gravata, alle pagine da 3 a 6 ha indicato tutti gli elementi di fatto rilevanti, ripercorrendo la sua storia lavorativa, ed ha riassunto gli argomenti sulla base dei quali era stata domandata una ricostruzione della carriera che tenesse conto dell’anzianità pregressa maturata in forza di rapporti a termine, argomenti poi ripresi ed ulteriormente sviluppati nel corpo dei motivi.

5. La prima censura è infondata.

L’acquiescenza alla sentenza impugnata consiste nell’accettazione della decisione, ovvero nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di rinunciare all’impugnazione, la quale può avvenire in forma, oltre che espressa, anche tacita. In questo caso, tuttavia, l’acquiescenza può ritenersi sussistente solo allorquando l’interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, evenienza, questa, che si realizza qualora gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione (Cass. S.U. n. 9687/2013).

E’ stato precisato al riguardo che l’incompatibilità deve essere assoluta, sotto il profilo logico e giuridico, con la conseguenza che l’acquiescenza va esclusa ogniqualvolta non sia possibile ravvisare una volontà abdicativa, perchè ai comportamenti del soggetto possono essere attribuite finalità diverse ed obiettivamente giustificabili (Cass. S.U. n. 10503/2012).

Sviluppando i richiamati principi si è evidenziato che dalla spontanea ottemperanza alla sentenza esecutiva non si può desumere la volontà di non impugnare la decisione, giacchè si è in presenza di una condotta che ben può essere finalizzata ad evitare gli ulteriori effetti pregiudizievoli dell’azione esecutiva che la parte potrebbe intraprendere (cfr. fra le più recenti Cass. nn. 34548, 14417, 8462 del 2019).

5.1. Nel caso di specie risulta dalla sentenza impugnata, nonchè dal ricorso che alla stessa rinvia quanto allo svolgimento dei fatti di causa, che il Tribunale, dichiarato il diritto di G.S. al riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata sulla base di contratti a tempo determinato, aveva condannato il CNR “a corrispondere alla parte attrice le differenze tra il trattamento retributivo spettante in dipendenza dell’anzianità come sopra riconosciuta e quello in effetti corrisposto, nei limiti della prescrizione quinquennale…” (pag. 2 della sentenza e pag. 2 del ricorso).

Tutte le considerazioni svolte nel corpo del motivo sulla natura meramente dichiarativa della decisione si fondano sulla sola motivazione della pronuncia di primo grado nella parte in cui, quanto all’inquadramento nella fascia stipendiale superiore, evidenzia che lo stesso presuppone una valutazione, riservata al datore di lavoro, dell’attività svolta dal dipendente.

Il ricorrente non considera affatto il comando giudiziale contenuto nel dispositivo, alla luce del quale la condotta tenuta dall’ente non si rivela idonea a manifestare la volontà di prestare acquiescenza alla decisione.

Al riguardo va anche sottolineato che, sebbene l’avvio del procedimento, disposto con nota dell’11 maggio 2015, si collochi in un momento di poco antecedente il deposito del ricorso in appello, risalente al 15 giugno 2015, il pagamento delle differenze retributive derivanti dal riconoscimento dell’anzianità pregressa è collocato temporalmente nel mese di dicembre 2015 (pag. 8 e 9 del ricorso), quando già l’impugnazione era stata proposta, e ciò non consente di desumere dal compimento delle attività, volte ad ottemperare al dispositivo della pronuncia di primo grado, l’asserita accettazione delle statuizioni.

6. Il secondo ed il terzo motivo, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico-giuridica, sono fondati.

Questa Corte ha già esaminato la questione inerente il riconoscimento dell’anzianità maturata sulla base di contratti a termine dai dipendenti del C.N. R. e di altri enti di ricerca ed ha affermato, in fattispecie nelle quali venivano in rilievo le procedure di stabilizzazione di cui alla L. n. 296 del 2006, che al lavoratore “deve essere riconosciuta l’anzianità di servizio maturata precedentemente all’acquisizione dello status di lavoratore a tempo indeterminato, allorchè le funzioni svolte siano identiche a quelle precedentemente esercitate nell’ambito del contratto a termine, non potendo ritenersi, in applicazione del principio di non discriminazione, che lo stesso si trovasse in una situazione differente a causa del mancato superamento del concorso pubblico per l’accesso ai ruoli della P.A., mirando le condizioni di stabilizzazione fissate dal legislatore proprio a consentire l’assunzione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione poteva essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo” (Cass. n. 27950/2017; negli stessi termini Cass. n. 7118/2018 e Cass. nn. 3473 e 6146 del 2019 queste ultime in tema di personale stabilizzato alle dipendenze dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica).

6.1. Il principio di diritto è stato fondato sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale, anche nelle pronunce successive agli arresti di questa Corte (Corte di Giustizia 20.6.2019, causa C- 72/18 Ustariz Arostegui; 11.4.2019, causa C- 29/18, Cobra Servizios Auxiliares; 21.11.2018, causa C- 619/17, De Diego Porras; 5.6.2018, causa C – 677/16, Montero Mateos), ha dato continuità alla propria interpretazione della clausola 4 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE ribadendo che:

a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicchè la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno(Corte Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C-307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana);

b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137, n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorchè proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42);

c) le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata);

d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, nè rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perchè la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi).

6.2. La Corte di Giustizia ha precisato, inoltre, ed il principio è stato ripreso da questa Corte con le recenti sentenze nn. 31149 e 31150 del 2019 in tema di ricostruzione della carriera del personale della scuola, che l’applicabilità della clausola 4 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE non può essere esclusa nei casi in cui il rapporto abbia acquisito stabilità attraverso la definitiva immissione in ruolo. Della disposizione, infatti, si deve fornire un’interpretazione non restrittiva perchè l’esigenza di vietare discriminazioni dei lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato viene in rilievo anche qualora il rapporto a termine, seppure non più in essere, venga fatto valere ai fini dell’anzianità di servizio (cfr. Corte di Giustizia 8.11.2011 in causa C-177/10 Rosado Santana punto 43; Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C- 302/11 a C-305/11, Valenza ed altri, punto 36).

6.3. E’ stata altresì affrontata la questione della prescrittibilità del diritto alla ricostruzione della carriera e si è affermato, in linea con un orientamento già consolidatosi nell’ambito dell’impiego privato, che l’anzianità di servizio non è uno status nè un distinto bene della vita oggetto di un autonomo diritto, rappresentando piuttosto la dimensione temporale del rapporto di lavoro di cui integra il presupposto di fatto di specifici diritti, e, pertanto, “l’effettiva anzianità di servizio può essere sempre accertata anche ai fini del riconoscimento del diritto ad una maggiore retribuzione per effetto del computo di un più alto numero di anni di anzianità salvo, in ordine al quantum della somma dovuta al lavoratore, il limite derivante dalla prescrizione quinquennale cui soggiace il diritto alla retribuzione” (Cass. n. 2232/2020).

6.4. I richiamati principi, ai quali il Collegio intende dare continuità, orientano anche nella soluzione della questione che qui viene più specificamente in rilievo, ossia quella della computabilità, ai fini del calcolo dell’anzianità complessiva dell’assunto a tempo indeterminato, dei rapporti a termine che si collocano temporalmente in data antecedente l’entrata in vigore della direttiva 1999/70/CE.

Sul punto questa Corte si è già incidentalmente pronunciata (Cass. n. 31149/2019 punto 10 della motivazione) pervenendo alla conclusione che ai fini dell’applicabilità della direttiva, quanto alla rilevanza dell’anzianità pregressa, occorre avere riguardo all’epoca in cui sorge il diritto del quale l’anzianità stessa costituisce un presupposto di fatto.

Il principio deve essere qui ribadito, perchè non sono condivisibili gli argomenti sui quali la Corte territoriale ha fondato il rigetto della domanda, asserendo che la stessa implicasse un’applicazione retroattiva della direttiva.

Va detto subito che la Corte di Giustizia, ai punti 89 e 90 della sentenza 22.10.2010 in cause riunite c – 444/09 e c- 456/09, richiamata dal giudice d’appello, si è limitata ad affermare che “il beneficio delle indennità per anzianità di servizio, come quelle triennali oggetto della causa principale” deve essere riconosciuto, fatta salva l’applicazione delle norme interne sul regime di prescrizione, solo per il periodo successivo alla scadenza del termine fissato per la trasposizione della direttiva. Non è, però, questa la questione che qui viene in rilievo, perchè il ricorrente non domanda una modifica delle condizioni di impiego in relazione al periodo antecedente l’entrata in vigore dell’accordo quadro, bensì invoca quest’ultimo per ottenere la parificazione agli assunti ab origine a tempo indeterminato nei successivi sviluppi di carriera ed in particolare in relazione all’anzianità riconosciuta al momento della sottoscrizione del contratto di lavoro del 28 dicembre 2001, stipulato, in piena vigenza della direttiva, all’esito del superamento della procedura concorsuale alla quale aveva partecipato per acquisire la qualifica di primo ricercatore di II livello.

Può, pertanto, essere esteso alla fattispecie il medesimo principio affermato dalla Corte di Giustizia con riferimento all’applicazione della clausola 4 dell’accordo quadro 97/81/CE sul lavoro a tempo parziale, principio secondo cui il diritto alla parità di trattamento può essere fatto valere, facendo leva su contratti stipulati in data antecedente l’entrata in vigore della direttiva, per ottenere la parificazione in ordine ad un trattamento spettante in data successiva. Ciò perchè “secondo una giurisprudenza costante, una nuova norma si applica, salvo deroghe, immediatamente agli effetti futuri delle situazioni sorte sotto l’impero della vecchia legge (v., in tal senso, in particolare, sentenze 14 aprile 1970, causa 68/69, Brock, Racc. pag. 171, punto 7; 10 luglio 1986, causa 270/84, Licata/CES, Racc. pag. 2305, punto 31; 18 aprile 2002, causa C-290/00, Duchon, Racc. pag. 1-3567, punto 21; 11 dicembre 2008, causa C-334/07 P, Commissione/Freistaat Sachsen, Racc. pag. I-9465, punto 43, nonchè 22 dicembre 2008, causa C-443/07 P, Centeno Mediavilla e a./Commissione, Racc. pag. 1-10945, punto 61)” (Corte di Giustizia 10.6.2010 in cause riunite c-395/08 e c396/08, INPS, punto 53; negli stessi termini Corte di Giustizia 12.9.2013 in casua c- 614/11, Kuso).

Nessuna espressa deroga a detto principio, proprio dell’ordinamento Eurounitario, è contenuta nella clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 99/10/CE, che sostanzialmente ricalca quella interpretata dalla Corte di Giustizia nei termini sopra indicati.

Non occorre, pertanto, fare ricorso allo strumento del rinvio pregiudiziale, perchè lo stesso presuppone il dubbio interpretativo su una norma del diritto dell’Unione, dubbio che non ricorre, oltre che nei casi in cui il senso della disposizione sia evidente, qualora sulla stessa, o su norme analoghe, la Corte di Giustizia si sia già pronunciata (Cass. n. 15041/2017 che richiama Cass. S.U. n. 12067/2007).

6.5. La Corte territoriale ha ritenuto infondata la domanda sul presupposto, assorbente ma erroneo, che il ricorrente in nessun caso potesse fare valere l’anzianità maturata in forza di rapporti a termine stipulati prima dell’entrata in vigore della direttiva. La sentenza, pertanto, deve essere cassata con rinvio al giudice d’appello indicato in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, anche delle questioni assorbite e qui riproposte dal CNR, attenendosi ai principi di diritto sopra richiamati nonchè a quello che qui si enuncia nei termini che seguono: “La clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone al datore di lavoro pubblico di riconoscere, ai fini della progressione stipendiale e degli sviluppi di carriera successivi al 10 luglio 2001, l’anzianità di servizio maturata sulla base di contratti a tempo determinato, nella medesima misura prevista per il dipendente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato, fatta salva la ricorrenza di ragioni oggettive che giustifichino la diversità di trattamento. Il principio è applicabile anche nell’ipotesi in cui il rapporto a termine sia antecedente alla data sopra indicata, di entrata in vigore della direttiva, perchè, in assenza di espressa deroga, il diritto – dell’Unione si applica agli effetti futuri delle situazioni sorte nella vigenza della precedente disciplina.”

7. Alla Corte territoriale è demandato anche di provvedere sul regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Non sussistono le condizioni processuali richieste per il raddoppio del contributo unificato dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012.

PQM

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso e rigetta il primo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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