Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15231 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. III, 11/07/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 11/07/2011), n.15231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

T.F. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZALE CLODIO 8, presso lo studio Arcuri d’Ambrosio

rappresentato e difeso dall’avvocato URSINI GIUSEPPE, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTI DEI PASCHI DI SIENA SPA (OMISSIS) in persona del

legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DI SAN VALENTINO 21, presso lo studio dell’avvocato CARBONETTI

FRANCESCO, che la rappresenta e difende, giusta procura alle liti a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3478/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

26.9.08, depositata il 03/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito per il ricorrente l’Avvocato Giuseppe Ursini che si riporta

agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. COSTANTINO

FUCCI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

La Corte:

Letti gli atti depositati.

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 Con ricorso notificato il 17 novembre 2009 T.F. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 3 ottobre 2008 dalla Corte d’Appello di Napoli che, dichiarata nulla la sentenza del Tribunale di Benevento per violazione del principio di corrispondenza tra domanda e pronunzia, respingeva la domanda di rimborso da parte della Banca Monte dei Paschi di Siena di quanto versato dal T. in esecuzione del contratto relativo ad un prodotto finanziario intercorso tra le parti.

La Banca intimata ha resistito con controricorso.

2 – Il ricorso viola palesemente il dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Le argomentazioni poste a sostegno contengono ripetuti riferimenti al piano finanziario sottoscritto dal T., nei cui confronti mancano le indicazioni prescritte dalla norma. Infatti è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3^ n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità.

In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

3. – Sotto diverso profilo, la formulazione dei due motivi di ricorso non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

Il primo motivo denuncia violazione art. 112 c.p.c., nullità della sentenza anche in relazione ai criteri di individuazione della domanda. Con esso il ricorrente ripropone le proprie tesi piuttosto che formulare critiche specifiche alla motivazione della sentenza impugnata. Ma, soprattutto, formula un quesito che non postula l’enunciazione di un principio di diritto, ma chiede che la Corte di Cassazione, “esaminati gli atti del giudizio di merito” – attività notoriamente inibita al giudice di legittimità – accerti se abbia errato la Corte territoriale nel ritenere la sentenza di primo grado viziata da extrapetizione. In sostanza, con il quesito proposto, da un lato chiede un’attività valutativa del merito della questione e dall’altro frustra le finalità perseguite dall’art. 366 bis c.p.c..

Il secondo motivo lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; violazione e falsa applicazione di norme di diritto;

carenza e illogicità di motivazione per avere la Corte d’Appello omesso di valutare le richieste già formulate in primo grado dichiarandole inammissibili perchè nuove; vizio di motivazione.

Non vengono indicate le norme di cui si denuncia violazione e falsa applicazione, peraltro non specificate come se fossero sinonimi. La censura difetta di autosufficienza con riferimento alle prove di cui lamenta la mancata ammissione e non ne spiega la decisività. Viene formulato un quesito assolutamente generico e astratto, mentre manca il momento di sintesi necessario per specificare il fatto controverso e per spiegare in quali parti e per quali ragioni la motivazione della sentenza risulti, rispettivamente, omessa, insufficiente, contraddittoria, carente, illogica.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Il ricorrente ha presentato memoria ed ha chiesto d’essere ascoltato in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che le argomentazioni addotte dal ricorrente con la memoria non superano i rilievi della relazione considerata, in particolare, l’assoluta inadeguatezza dei quesiti;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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