Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1523 del 23/01/2020

Cassazione civile sez. I, 23/01/2020, (ud. 16/10/2019, dep. 23/01/2020), n.1523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10647/2018 proposto da:

S.T., rappresentato e difeso dall’avvocato Corace Giacinto,

giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

02/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/10/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 763/2018 depositato il 02-03-2018 il Tribunale di Brescia ha respinto il ricorso di S.T., cittadino del (OMISSIS), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non del tutto credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè temeva di essere ucciso da suo padre, che soffriva di disturbi mentali ed era violento, e dagli zii per questioni ereditarie. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Gambia, descritta nel decreto impugnato.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

3. il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c). Ad avviso del ricorrente, il Tribunale non ha compiuto alcun esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente stesso e la situazione generale del Gambia nelle aree da esso indicate da eseguirsi mediante la puntuale osservanza degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale. Deduce il ricorrente che, quanto alla valutazione di credibilità del suo racconto, il Tribunale si è limitato a confrontare quanto trascritto nel mod. C3 e quanto dichiarato successivamente, in difformità dalle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

2. Con il secondo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, nonchè omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Deduce che il Tribunale ha omesso l’esame di fatti decisivi (come da doc. 6 e 7 prodotti in primo grado), nonostante il ricorrente avesse chiaramente indicato il motivo della sua persecuzione, di origine familiare, e di fuga. Richiamando la normativa di riferimento, allega che dalle persecuzioni già patite era dato desumere il serio indizio di fondatezza delle persecuzioni future e in Gambia le persone subiscono violenze e persecuzioni dai propri stessi familiari per ragioni di interesse economico.

3. Con il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 17 e art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Il Tribunale di Brescia, pur prendendo in considerazione quale fonte principale di informazione sulla regione di origine del ricorrente l’ultimo report EASO del 2017, ha omesso di valutare anche la situazione politica del Gambia. Il ricorrente rimarca che il Tribunale non ha adempiuto all’obbligo di cooperazione istruttoria circa la condizione delle faide familiari e sulla situazione di sicurezza del Paese. Inoltre, ad avviso del ricorrente, il Tribunale ha dato atto che il Gambia si trova in una fase di delicata transizione da una situazione di palese violazione dei diritti umani, pur ritenuta in fase di superamento, ma non ne ha tenuto conto nella valutazione del danno grave cui è esposto il ricorrente. Assume che in Gambia ci siano varie situazioni attenzionate, con riferimento a fatti avvenuti nel dicembre 2014 ad opera del dittatore J..

4. Con il quarto motivo lamenta la violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità; omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima. Circa la domanda di protezione umanitaria, deduce, richiamando le fonti normative di riferimento, che il rimpatrio lo porrebbe in una situazione di emergenza umanitaria imponendogli condizioni di vita inadeguate in spregio agli obblighi di solidarietà di fonte nazionale ed internazionale. Allega il ricorrente di essere ben integrato nel territorio italiano e di aver imparato la lingua italiana, nonchè svolto corsi di formazione e volontariato. Rileva che il Tribunale non ha esplicitato sulla base di quali fonti sia stata tratta la conclusione che in Gambia non vi sia una generalizzata violazione dei diritti umani (pag. 29 ricorso).

5. I primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione in quanto entrambi finalizzati a censurare il giudizio di credibilità, sono infondati.

5.1. Quanto al giudizio di credibilità, questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in base ai parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come precisati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 8054/2014), in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito.

5.2. Nel caso di specie, il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità, difforme da quella accertata nel giudizio di merito. Il Tribunale non si è affatto limitato a confrontare quanto trascritto nel mod. C3 e quanto dichiarato successivamente dal ricorrente, ma ha esaminato compiutamente i fatti allegati dallo stesso (pag. n. 3 decreto) e li ha considerati non plausibili, anche all’esito dell’audizione personale, evidenziando che le contraddizioni e lacune del racconto non erano state chiarite.

Una volta esclusa dal Giudice territoriale, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione adeguata, la credibilità delle vicende personali narrate, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b), D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. n. 6503/2014; Cass. n. 16275/2018). Non vi è infatti ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo. In casi siffatti, una indagine nel senso indicato si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti non dimostrati, difetterebbe comunque di concretezza e non potrebbe mai presentare il richiesto grado di personalizzazione (Cass. n. 16925/2018 e Cass. n. 14283/2019).

6. I motivi terzo e quarto, da esaminarsi congiuntamente in quanto le doglianze, sotto distinti ma collegati profili, involgono la verifica della situazione del Paese di provenienza, sono fondati nei limiti di seguito precisati.

6.1. Secondo l’orientamento di questa Corte a cui il Collegio intende dare continuità, in tema di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, che va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Cass. n. 14283/2019). Inoltre nei giudizi di protezione internazionale e di accertamento del diritto al permesso per motivi umanitari, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la verifica delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Cass. n. 28990/2018).

6.2. Nel caso di specie, il ricorrente, sebbene nella rubrica e nell’illustrazione del terzo motivo esponga, per evidente refuso, che sia stato citato nel decreto impugnato l’ultimo report Easo del 2017, mentre non è dato rinvenire nel decreto il richiamo a detta fonte, lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma e si duole espressamente della mancata indicazione delle fonti sia con riferimento al diniego della protezione sussidiaria di cui al citato art. 14, lett. c (pag. n. 17 ricorso), sia in relazione al diniego della protezione umanitaria (pag. n. 29 ricorso).

Effettivamente il Tribunale non ha indicato specificatamente le fonti di conoscenza, ma si è limitato a richiamare “fonti internazionali istituzionali” (pag. n. 3 del decreto impugnato, in cui, peraltro, si fa riferimento ad una vicenda personale – partecipazione ad una manifestazione organizzata dal partito UDP – che non è quella del ricorrente) e “report e informazioni di stampa”, senza altro precisare, neppure in ordine alle date di aggiornamento delle notizie utilizzate.

Il Tribunale, pertanto, non si è attenuto ai principi di diritto suesposti e la motivazione del decreto impugnato non consente di individuare quali siano le precise fonti istituzionali di conoscenza su cui è fondato il percorso argomentativo che ha condotto alla statuizione di rigetto della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) citato e della protezione umanitaria, con riferimento, quanto a quest’ultima, all’allegata violazione generalizzata dei diritti umani in Gambia ed alla sussistenza di una situazione di vulnerabilità oggettiva, sicchè ricorrono i vizi di violazione di legge e motivazionali denunciati.

7. Alla stregua delle considerazioni che precedono, i motivi terzo e quarto meritano accoglimento nei termini precisati, con la cassazione del decreto impugnato e rinvio al Tribunale di Brescia, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta i motivi primo e secondo di ricorso, accoglie nei sensi di cui in motivazione i motivi terzo e quarto, cassa il decreto impugnato nei limiti dei motivi accolti e rinvia al Tribunale di Brescia, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2020

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