Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15229 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/06/2017, (ud. 23/03/2017, dep.20/06/2017),  n. 15229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11646-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO

IACOBELLI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3756/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/04/2010 R.G.N. 1503/2007.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE con sentenza resa pubblica il 30/4/2010 la Corte d’Appello di Roma confermava la pronuncia di prime cure con cui era stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto intercorso fra la s.p.a. Poste Italiane e M.F., stipulato per “ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione di personale addetto al recapito presso la filiale di (OMISSIS) assente nel periodo (OMISSIS) con diritto alla conservazione del posto”;

osservava come, pur risultando indicato nel contratto la filiale di (OMISSIS) come sede di lavoro, le mansioni per le quali il lavoratore era stato assunto nonchè il periodo di riferimento, mancassero le indicazioni circa il numero dei lavoratori assenti e la tipologia dell’assenza;

deduceva altresì che la prova era generica, in quanto priva di dati numerici, ed impediva di verificare il nesso causale tra l’assunzione a termine e le scoperture temporanee verificatesi nel medesimo contesto lavorativo;

confermava, quindi, la continuità del rapporto e la condanna della società al risarcimento del danno, come definita dal primo giudice, nella misura delle retribuzioni maturate dal 26/1/2005 fino all’effettivo ripristino del rapporto;

avverso la suddetta sentenza, la s.p.a. Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione fondato su quattro motivi, resistiti con controricorso dalla parte intimata che ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. con il primo motivo (omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio) ed il secondo motivo (contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, nonchè dell’art. 1362 c.c., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), la ricorrente si duole che la Corte di merito abbia accertato la nullità del termine per effetto della genericità della causale in esso indicata, che per contro descriveva specificamente la ragione sostitutiva, (assenza di personale), le mansioni ascritte al lavoratore, la durata del contratto e l’ufficio di assegnazione; lamenta altresì che nel vagliare le istanze probatorie formulate non abbia adeguatamente valutato un fatto decisivo per il giudizio o, comunque, non abbia integrato un quadro probatorio definito insufficiente, mediante l’uso dell’ampio potere istruttorio esercitabile d’ufficio ex artt. 420 e 421 c.p.c.;

2. tali motivi, da esaminarsi congiuntamente per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, risultano privi di pregio ove si faccia richiamo ai principi affermati da questa Corte che vanno qui ribaditi, secondo i quali la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore è sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, di recente, Cass. 8/4/2014 n. 8008, Cass. SS. UU. 25/10/2013 n. 24148);

le censure formulate tendono a risolversi in critiche che, omettendo di fare riferimento specifico al tenore delle prove articolate, mirano ad una rivisitazione delle considerazioni di merito operate dalla Corte territoriale senza che vengano evidenziati elementi fattuali e giuridici idonei ad inficiarne la comprovata coerenza e congruità motivazionale;

3. la Corte di merito riteneva infatti inadeguata la prova testimoniale articolata dalla società giacchè, per la mancanza di specifici dati numerici, non consentiva di verificare il nesso causale fra l’assunzione a termine del lavoratore e la scopertura temporanea verificatasi in quel contesto lavorativo;

tale apprezzamento congruo sotto il profilo logico e corretto sul versante giuridico, resiste alla censura all’esame che si palesa priva di fondamento anche con riferimento al mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio giacchè, per idoneamente censurare in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sul punto della mancata attivazione di tali poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio (ipotesi questa non verificatasi nella fattispecie), in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito (vedi Cass. 27/1/2009 n. 1894, Cass. 26/6/2006 n. 14731);

4. con il terzo motivo la società ricorrente, denunziando omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia nonchè violazione di legge, censura la decisione per avere ritenuto, quale conseguenza sanzionatoria della nullità del termine, la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non facendo applicazione del principio generale in tema di nullità parziale di cui all’art. 1419 c.c., secondo il quale la nullità della clausola contenente il termine importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità; deduce al riguardo di avere compiutamente dimostrato che senza la apposizione del termine non avrebbe concluso il contratto in controversia;

5. il motivo è privo di fondamento, giacchè la statuizione della Corte territoriale si pone in linea con il consolidato orientamento espresso da questa Corte alla cui stregua “la disposizione dell’art. 1419 c.c., comma 2, a norma della quale la nullità di singole clausole contrattuali non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative, impedisce che al risultato dell’invalidità dell’intero contratto possa pervenirsi in considerazione della sussistenza di un vizio del contratto, avente ad oggetto la clausola nulla in rapporto alla norma imperativa destinata a sostituirla, poichè l’essenzialità di tale clausola rimane esclusa dalla stessa prevista sua sostituzione con una regola posta a tutela di interessi collettivi di preminente interesse pubblico (vedi Cass. 29/9/05 n. 19156) Cass. 12985/2008).

6. con il quarto motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1271, 1218, 1219, 1223, 2094, 2099 e 2697 c.c., lamentandosi l’omesso accertamento in ordine allo svolgimento da parte del lavoratore, di ulteriore attività in epoca successiva alla scadenza del termine – ed invocandosi l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale ius superveniens;

la doglianza attinente all’aliunde perceptum deve ritenersi assorbita in quanto va accolta l’istanza di applicazione dello jus superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, in base al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico (vedi Cass. S.U. 27/10/2016, n. 21691);

7. pertanto, il ricorso va accolto entro i limiti descritti con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello designata in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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