Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15226 del 12/06/2018

Civile Ord. Sez. 6 Num. 15226 Anno 2018
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 24032-2017 proposto da:
A.A.
– ricorrente contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’
DELLA RICERCA 80185250585, in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GI NERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– contradcorrente Contro

UFFICIO SCOI „ASTICO REGIONALE DELLE MARCHE;

Data pubblicazione: 12/06/2018

– intimato avverso la sentenza n. 9390/2017 della CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE di ROMA, depositata il 12/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 05/04/2018 dal Consigliere Dott. GIULIO

RILEVATO
che il Tribunale di Macerata rigettò l’impugnazione proposta da
A.A., insegnante in servizio presso l’IPSIA “F.
Corridoni” di Civitanova Marche, delle seguenti sanzioni disciplinari:
1) sospensione dall’insegnamento per undici giorni, irrogata il 17
marzo 2010; 2) sospensione dal servizio per mesi due, irrogata il 20
luglio 2010; 3) sospensione dall’insegnamento per mesi sei, irrogata
il 31 marzo 2011; 4) licenziamento con preavviso, irrogata il 13
febbraio 2012; la accolse solo con riferimento alla sanzione della
sospensione dal servizio per un mese irrogata il 12 luglio 2010;.
che con sentenza n. 90 del 2015, depositata il 4 marzo 2015, la
Corte di Appello di Ancona accolse in parte il gravame proposto
dall’A.A. e, in parziale riforma della decisione del primo giudice
che confermava nel resto, riduceva la sanzione disciplinare irrogata
con provvedimento del 20 luglio 2010, alla misura di 30 giorni di
insegnamento;
che, con sentenza n. 9390/17 del 12 aprile 2017 questa Corte
rigettava il ricorso per cassazione proposto dall’A.A.;
che per la revocazione di tale decisione per errore di fatto ex art.
395, n. 4, cod. proc. civ. ha proposto ricorso l’A.A. affidato a
due motivi cui resiste con controricorso il MIUR;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art.
380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti,
unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio;

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FI RN AN 1)1

che il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc.
civ. in cui dissente dalla proposta del relatore ed insiste per
l’accoglimento del ricorso;
CONSIDERATO
che con i due motivi si deduce che questa Corte , per effetto di un
errore di fatto risultante in maniera chiara ed evidente dagli atti e

– a)

avrebbe ritenuto rispettato il termine perentorio di 120 giorni

previsto dall’art. 55 bis , comma 4, del d.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165
per la conclusione del procedimento disciplinare sfociato nel
licenziamento avendolo fatto decorrere dalla intimazione a
riprendere servizio di cui alla missiva del 27 ottobre 2011 piuttosto
che dalla data di acquisizione della notizia dell’infrazione, avvenuta il
3 ottobre 2011, da parte del responsabile della struttura in cui il
dipendente lavorava o , al più, dal 10 ottobre 2011, data di
conoscenza dell’infrazione da parte dell’Ufficio Scolastico Regionale
(U.S.R.), avendo questa Corte erroneamente ritenuto la missiva del
27 ottobre 2011 la prima acquisizione della notizia dell’infrazione
mentre altro non era che una diffida volta a smentire le
argomentazioni dell’A.A. ed

a intimargli nuovamente di

rientrare in servizio ( primo motivo);
– b)

aveva affermato il rispetto da parte dell’Amministrazione del

termine di 40 giorni importo dall’art. 55 bis. d.Lgs. n. 165 del 2001
individuandone la decorrenza dalla predetta missiva del 27 ottobre
2011 così giungendo a ritenere la contestazione del 6 dicembre 2011
tempestiva mentre, in realtà, la medesima era intervenuta dopo 57
giorni dalla conoscenza del fatto da parte dell’U.S.R. il dies a quo
decorreva dal 10 ottobre 2011 , data in cui l’U.S.R. aveva avuto
conoscenza dell’infrazione posta a fondamento del provvedimento
espulsivo;
che il ricorso è inammissibile non denunciando alcun errore di fatto
previsto dall’art. 395 cod. proc. civ., n. 4, idoneo a determinare la
revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di
cassazione, il quale, secondo la consolidata giurisprudenza di questa
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dai documenti di causa:

Corte, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una
svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente
rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di
un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a
considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti
indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato,

controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i
caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per
essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di
indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione
del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del
fatto medesimo; sicchè detto errore non soltanto deve apparire di
assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza
che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di
indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto
apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme
giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella
ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità
delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass. sez. un.
7217/2009, nonché 22171/2010; 23856/2008; 10637/2007;
7469/2007; 3652/2006; 13915/2005; 8295/2005); che, pertanto,
non è stata ritenuta inficiata da errore di fatto la sentenza della
Suprema Corte della quale si censuri la valutazione del motivo
d’impugnazione, in quanto espressa senza considerare le
argomentazioni contenute nell’atto di impugnazione, perché in tal
caso è dedotta una errata valutazione ed interpretazione degli atti
oggetto di ricorso (Cass. n. 10466/2011; 14608/2007), così come è
stata esclusa la ricorrenza di errore revocatorio nel preteso errore
nell’individuazione delle questioni oggetto di motivi del ricorso (Cass.
n. 5086/08), nell’interpretazione dei motivi (Cass. n. 9533/06) o
nella lettura del ricorso (Cass. n. 5076/08), così come si è escluso
che possa rappresentare errore revocatorio il mancato rispetto del

Ric. 2017 n. 24032 sez. ML – ud. 05-04-2018
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la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto

principio di autosufficienza del motivo di ricorso (Cass.14608 del
2007);
che nel caso in esame, infatti, entrambi i motivi di ricorso
finiscono con il lamentare la errata interpretazione che questa Corte
ha fornito della missiva del 27 ottobre 2011 e con il censurare la
motivazione dell’impugnata sentenza laddove ha scrutinato,

dedotta: a) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 55-bis, quarto
comma, del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360, n. 3,
cod. proc. civ., per aver ritenuto che il termine di 120 giorni per la
conclusione del procedimento disciplinare decorresse dalla
intimazione, effettuata il 27 ottobre 2011, di riprendere servizio e
non dalla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione,
avvenuta in data 3 ottobre 2011, da parte del responsabile della
struttura in cui il dipendente lavorava, o al più tardi il 10 ottobre
2011, data di conoscenza dell’infrazione da parte dell’Ufficio
scolastico regionale; b) dell’art. 55-bis del d.lgs n. 165 del 2001 in
relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere individuato
nella lettera del 27 ottobre 2011 di invito alla ripresa del servizio il
dies a quo per la contestazione dell’addebito e non invece dalla data

di ricezione il 10 ottobre 2011 da parte dell’USR, con conseguente
violazione del termine di giorni 40;
che, alla luce di quanto esposto, in adesione alla proposta del
relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile;
che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da
dispositivo in favore del MIUR;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
previsto dall’art. 13, comma 1

quater,

del d.P.R. 30 maggio,

introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n.
228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione
ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale
quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del
13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
Ric. 2017 n. 24032 sez. ML – ud. 05-04-2018
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rigettandoli, i primi due motivi di ricorso con i quali era stata

P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente
alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi,
euro 3.000,00 per compensi professionali oltre rimborso spese
forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà

ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2018

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del

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