Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15223 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. I, 16/07/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 16/07/2020), n.15223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7719/2015 proposto da:

Impresa B.G. & Figlio A. S.n.c., nella persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, presso lo studio dell’Avv. Laura Lucidi, che la rappresenta,

difende ed assiste, in virtù di delega a margine del ricorso per

cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero della Difesa, nella persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato ex lege presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1937/2014 della Corte d’appello di VENEZIA,

depositata il 13 agosto 2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/07/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 222/08 del 24 gennaio 2008, il Tribunale di Venezia ha accolto la domanda proposta dall’Impresa attrice di condanna al pagamento della somma di vecchie Lire 40.435.307 (pari a Euro 20.883,09), per l’inadempimento dell’obbligo di pagamento di Lire 1.712.879 (paria Euro 884,62), quale residuo ammontare del saldo dei lavori oggetto del contratto di appalto, oltre interessi legali e moratori, e per il risarcimento del danno derivato dal ritardato pagamento del secondo acconto di Lire 130.200.000, maturato il 12 febbraio 1993 e corrisposto solo in data 3 novembre 1994 e, per l’effetto, ha condannato il Ministero della Difesa al pagamento della somma di Euro 20.883,09, oltre gli interessi legali maturati dal 31 marzo 2004, al saldo e alla rifusione delle spese di lite.

2. Il Ministero della difesa ha proposto appello, censurando la sentenza impugnata in relazione alla statuizione di condanna al pagamento degli interessi morali e anatocistici, a titolo di risarcimento del danno derivante dal ritardato pagamento del secondo acconto.

3. La Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato il Ministero della difesa al pagamento della somma di Euro 1.641,60, a titolo di saldo delle opere eseguite, e della somma di Euro 3.743,25, a titolo di interessi dovuti per il ritardato pagamento del secondo acconto, oltre gli interessi legali su entrambi gli importi dalla domanda giudiziale al saldo.

4. L’Impresa B.G. & Fgilio A. S.n.c. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi e ha depositato memoria difensiva.

5. Il Ministero della difesa non ha svolto memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Impresa ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 46 delle C.G.A.L.G.M. del R.D. 17 marzo 1932, n. 366, nonchè del D.P.R. n. 1036 del 1962, artt. 35 e 36 e L. n. 741 del 1981, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

1.1 Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

1.2 Giova premettere che secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass., 26 giugno 2013, n. 16038).

In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle (Cass., 3 gennaio 2014, n. 51).

1.3 Nel caso in esame, la censura sollevata presenta profili di inammissibilità in quanto viene dedotta la violazione di una pluralità di disposizioni normative, omettendo di precisare le affermazioni in diritto della sentenza che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie (o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità), genericamente richiamate nella intestazione del motivo, e senza ricondurre una specifica statuizione della sentenza alla violazione di una determinata norma, impedendo cosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

L’Impresa ricorrente, infatti, nell’illustrazione del primo motivo richiama genericamente parti della motivazione, svolge contestazioni riguardo ad essa, ma non evidenzia in relazione a quale specifico vizio ed a quale specifica norma, che si assume violata o erroneamente applicata, limitandosi piuttosto a ribadire le medesime censure sollevate dinanzi alla Corte territoriale e sovrapponendo alle argomentazioni della Corte le proprie senza prospettare differenti profili argomentativi.

Ciò che sarebbe stato necessario a fronte delle specifiche motivazioni contenute nella sentenza impugnata che, peraltro, contrariamente a quanto affermato dalla parte ricorrente, ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto all’uopo richiamati.

1.4 E difatti, la Corte territoriale, dopo avere premesso che il contratto di appalto in esame prevedeva testualmente all’art. 2.1.8 che gli acconti dovevano essere corrisposti secondo le modalità stabilite negli artt. 40 e 46 delle Condizioni Generali per l’Appalto dei Lavori del Genio Militare di cui al R.D. n. 366 del 1932 e negli artt. 63 e 68 del Regolamento per i Lavori del Genio Militare di cui al R.D. n. 365 del 1932, ha dato rilievo alla circostanza che la stessa Impresa aveva ammesso, con dichiarazione sottoscritta in data 22 settembre 1993, che il ritardo nell’emissione del certificato relativo al secondo acconto dell’importo di Lire 13.000.000 era stato determinato da motivi organizzativi interni e ha riconosciuto che il diritto doveva ritenersi maturato da quella data.

Parimenti, la Corte distrettuale ha escluso l’applicabilità dell’art. 41 delle Condizioni Generali di Contratto per l’Appalto dei Lavori del Genio Militare di cui al R.D. n. 366 del 1932, stante l’esistenza di una specifica disciplina dettata dall’art. 46 ed in ragione del tenore letterale dell’art. 46 delle Condizioni Generali richiamate.

Alla luce degli enunciati principi, la censura del ricorrente si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che richiede che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Cass., 13 agosto 2018, n. 20721).

2. Con il secondo motivo l’Impresa ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 46 delle C.G.A.L.G.M. del R.D. 17 marzo 1932, n. 366 e del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 35 e L. n. 741 del 1981, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1 Il motivo è fondato.

2.2 Come affermato dalla società ricorrente, il D.P.R. 17 novembre 1986, n. 1038, ha sostituito dell’art. 46, comma 1 delle Condizioni generali per l’appalto dei lavori del genio militare, approvato con R.D. 17 marzo 1932, n. 366 e ha stabilito che “AI quarto e comma 5 del predetto art. 46 le espressioni “interesse semplice annuo del 5%” e “interesse annuo del 5%” sono sostituite dalla seguente: “interesse in misura pari a quello annualmente determinato a norma del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 35, concernente approvazione del capitolato generale d’appalto per le spese di competenza del Ministero dei lavori pubblici”.

3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 hanno effetto soltanto per i contratti stipulati dopo la data di entrata in vigore del presente decreto”.

Va, quindi, applicata la normativa vigente stante la stipula del contratto in esame in data 26 ottobre 1990 (pag. 22 del ricorso per cassazione).

3. La sentenza va, dunque, cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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