Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15222 del 23/06/2010

Cassazione civile sez. I, 23/06/2010, (ud. 08/06/2010, dep. 23/06/2010), n.15222

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6244-2005 proposto da:

C.S. (C.F. (OMISSIS)) vedova V.,

V.L., domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate e difese

dall’avvocato DE PILATI GIORGIO, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO – BNL S.P.A. (P.I. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DI VAL GARDENA 3, presso l’avvocato DE

ANGELIS LUCIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FASSINO GIORGIO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 177/2004 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 07/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2010 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato ATTILIO TERZINO, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IMMACOLATA Zeno che ha concluso per il rigetto del secondo motivo e

per l’inammissibilità del primo.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 2 maggio 1991 il presidente del Tribunale di Trento, accogliendo un ricorso della Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., ingiunse alla G.B.L. Trento Engeenering s.r.l., titolare di un conto corrente bancario in passivo, nonchè al fideiussore sig. V.S., il pagamento di L. 238.321.536.

Gli ingiunti proposero opposizione ed, essendo il sig. V. deceduto in corso di causa, gli subentrarono in giudizio gli eredi, tra i quali le sigg.re C.S. e V.L..

Il tribunale, revocato il decreto ingiuntivo, condannò gli opponenti al pagamento della minor somma di Euro 92.401,19.

Le sigg.re C. e V. interposero gravame, che fu parzialmente accolto dalla Corte d’appello di Trento, la quale, con sentenza resa pubblica il 7 maggio 2004, condannò la sig.ra C. al pagamento di un terzo e la sig.ra V.L. al pagamento di un sesto della somma di Euro 55.746,53, oltre agli interessi, scaglionati secondo varie scadenze, da calcolarsi in base al cd. prime rate Abi.

Avverso tale sentenza le medesime sigg.re C. e V. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati poi anche da memoria.

La Banca Nazionale del Lavoro ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Le ricorrenti, col primo motivo, denunciano la nullità della sentenza impugnata, o altrimenti un vizio di omessa motivazione della stessa, sostenendo che la corte territoriale non ha preso in considerazione alcune specifiche censure rivolte alla decisione di primo grado: censure concernenti vuoi la discrasia tra il credito della banca individuato dal consulente tecnico d’ufficio designato in primo grado e quello poi liquidato dal tribunale, vuoi “il mancato ricalcolo (da parte sia del ctu che del giudice) degli interessi per tutto il periodo antecedente il decreto ingiuntivo”.

2. Il secondo motivo di ricorso, nel lamentare la violazione di molteplici articoli del codice civile e di procedura civile, nonchè nuovamente vizi di motivazione della sentenza impugnata, si sofferma sulla domanda di condanna generica al risarcimento dei danni, non accolta dalla corte territoriale, che era stata formulata dalle odierne ricorrenti per avere la banca, in forza del decreto ingiuntivo, iscritto ipoteca su beni degli ingiunti in misura largamente superiore al dovuto.

A parere delle ricorrenti il rigetto di tale domanda, motivato con la mancata prova del danno, non terrebbe conto del fatto che la condanna generica al risarcimento presuppone soltanto l’esistenza di un evento potenzialmente dannoso, essendo la prova dell’esistenza effettiva del pregiudizio rimessa ad un successivo giudizio.

3. Nessuna delle riferite doglianze appare meritevole di accoglimento.

3.1. In ordine alla prima di esse si deve subito rilevare che, contrariamente a quanto mostrano di ritenere le ricorrenti, la corte d’appello ha espressamente affrontato i profili attinenti alla determinazione delle somme dovute, facendosi carico di esaminare il tema della “dicotomia tra quanto stimato essere dovuto dal debitore principale a titolo di capitale e la sentenza” (sentenza impugnata, pag. 14) ed analiticamente poi motivando le proprie conclusioni in proposito.

Neanche il tema del calcolo degli interessi è stato trascurato, come si evince dalla lettura delle pagg. 9 e segg. della medesima sentenza, nelle quali, premessa appunto la necessità di esaminare la contestazione degli appellanti “concernente la misura degli interessi sul debito relativamente al periodo successivo alla messa in sofferenza dei crediti”, si procede ad una motivata analisi del tema anche alla luce delle pattuizioni destinate a regolare lo specifico rapporto bancario di cui si tratta.

Non occorre poi aggiungere che le critiche rivolte al modo in cui tale rapporto è stato ricostruito, al fine della determinazione del tasso d’interesse applicabile, attengono al merito della controversia e si sottraggono quindi al giudizio di legittimità, nel quale non è dato procedere ad un riesame delle risultanze istruttorie, onde neppure è possibile in questa sede valutare se davvero, come le ricorrenti sostengono, l’importo indicato come debito per capitale alla data di richiesta del decreto ingiuntivo da parte della banca già comprendesse una quota di interessi calcolati ad un tasso superiore al dovuto.

3.2. Del pari infondata è la doglianza concernente il mancato accoglimento della pretesa risarcitoria formulata dagli opponenti a decreto ingiuntivo.

Detta pretesa, motivata dall’esorbitanza dell’importo per il quale la banca ha agito in via monitoria ed ha poi ipotecato i beni degli ingiunti, appare astrattamente riconducibile alla previsione dell’art. 96 c.p.c..

La possibilità di emettere una condanna al risarcimento dei danni a norma di tale articolo presuppone, però, che la parte condannata sia rimasta soccombente nel giudizio in cui si assume essa abbia temerariamente agito o resistito; e siffatta condizione non ricorre, nel caso di specie, dovendosi la soccombenza valutare in relazione all’esito complessivo del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e non solo in funzione della revoca di questo.

E’ poi appena il caso di aggiungere che il carattere funzionale della competenza attribuita al giudice della causa dal citato art. 96 preclude l’ammissibilità stessa di una domanda di condanna generica al risarcimento, che presupporrebbe l’attribuzione ad un diverso giudice del compito di provvedere alla liquidazione (cfr. Cass. 17016/03, Cass. 17155/09, ed altre conformi).

4. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, con conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

PQM

La corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2010

 

 

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