Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15221 del 22/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 22/07/2016, (ud. 27/04/2016, dep. 22/07/2016), n.15221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5975-2015 proposto da:

P.S.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18 REGUS BOSINKOF, presso lo studio

dell’avvocato SALVATORE DI PARDO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIANO PRENCIPE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ISTITUTI DI VIGILANZA RIUNITI D’ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO, 8, presse lo studio dell’avvocato

ANDREA MUSTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CARLO FOSSATI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

G.G., D.V.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1058/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

dsepositata il 11/12/2014 r.g.n. 867/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2016 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato PICCIONI ALESSANDRO per delega Avvocato PRENCIPE

MARIANO;

udito l’Avvocato MUSTI ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissiblità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’11 dicembre 2014, la Corte d’Appello di L’Aquila, pronunziando in sede di reclamo L. n. 92 del 2012, ex art 1, comma 58, avverso la decisione resa dal Tribunale di Chieti in ordine all’impugnativa proposta dai Sig.ri P.S.D., G.G. e D.V.M. avverso il licenziamento disciplinare loro intimato dagli Istituti di Vigilanza Riuniti d’Italia, loro datore di lavoro, in relazione all’addebito concernente lo smarrimento, nel corso dell’effettuazione di un servizio di portavalori, di un plico di denaro, che i primi due avevano il compito di consegnare ed il terzo di ricevere presso il caveau dell’azienda datrice, confermava la pronunzia sfavorevole resa nei confronti del P., rigettando la domanda relativa alla declaratoria di illegittimità del recesso e riformava parzialmente la pronunzia di accoglimento resa quanto ai Sig.ri G. e D.V., rigettando la domanda di quest’ultimo.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, a seguito dell’accertamento dei comportamenti di ciascuno degli interessati rispetto agli obblighi previsti dal regolamento aziendale in relazione ai distinti ruoli dagli stessi rivestiti nel corso del servizio in questione, la sussistenza e la gravità degli addebiti contestati al P. e al D.V. e non di quelli riferiti al G..

Per la cassazione di tale decisione ricorre il P., affidando l’impugnazione a tre motivi, preceduti da una premessa, cui resiste, con controricorso, la Società, che ha poi presentato memoria, mentre gli altri due originari ricorrenti, pure intimati, non hanno svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo è volto a denunciare l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per aver la Corte pretermesso il riferimento al testo della contestazione disciplinare elevata al ricorrente e posto, pertanto, a fondamento del recesso un fatto diverso da quello ivi indicato, dato, non come ritenuto dalla Corte, dalla mancata osservanza della procedura aziendale relativa all’espletamento del servizio, bensì dall’imputazione una court della condotta di fatto tenuta dal ricorrente medesimo.

Il medesimo vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è dedotto con il secondo motivo, imputando alla Corte territoriale il mancato riscontro dell’inidoneità probatoria della documentazione su cui, a detta del ricorrente, avrebbe fondato il proprio convincimento, nel contempo precludendo al ricorrente, attraverso la mancata ammissione dei mezzi istruttori all’uopo richiesti, la prova della propria versione dei fatti, incentrata sulla tesi per cui il mancato rinvenimento del plico non riconsegnato al caveau dell’azienda sarebbe dipeso dalla circostanza che lo stesso fosse caduto o fosse rimasto nel locale utilizzato dal tesoriere cui il ricorrente non aveva accesso.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 c.c., dell’art. 101 del CCNL per le imprese di vigilanza privata e della L. n. 183 del 2010, art. 30 lamenta l’erroneità del giudizio di proporzionalità della sanzione al fatto contestato operato dalla Corte territoriale, rilevando il contrasto della valutazione giudiziale con quella emergente dal codice disciplinare di cui alla contrattazione collettiva applicabile, alla cui stregua, in ragione delle esemplificazioni ivi contenute alle quali appare, a suo dire, riconducibile la condotta del ricorrente, la condotta medesima risulterebbe idonea a legittimare l’irrogazione di una mera sanzione conservativa e l’assenza di qualsiasi motivazione in ordine al difforme esito, giustificativo dell’irrogazione della massima sanzione, del proprio giudizio.

Rilevata l’infondatezza del primo motivo, per l’insussistenza del denunciato travisamento dell’oggetto della contestazione ad opera della Corte territoriale, atteso che il riferimento da questa effettuato alle procedure aziendali non vale quale identificazione della mancanza con essa addebitata, bensì come selezione del parametro di valutazione della condotta inadempiente cui ha riguardo la contestazione medesima, si deve ritenere l’inammissibilità del secondo motivo, in quanto si tende ad accreditare una versione dei fatti differente da quella asseverata, secondo il proprio libero apprezzamento dalla Corte territoriale che, compiutamente argomentata e scevra da vizi logici e giuridici, risulta insindacabile in questa sede.

Parimenti infondato si rivela il terzo motivo, dal momento che la motivazione che, contrariamente a quanto qui asserito dal ricorrente, si rinviene nella sentenza impugnata in ordine all’idoneità della condotta addebitata a pregiudicare il vincolo fiduciario, così da incidere sull’affidamento del datore circa l’esatto adempimento delle prestazioni future da parte del ricorrente, rende ragione della congruità del giudizio di proporzionalità, che, come deve ritenersi ammissibile stante la natura legale della clausola generale della giusta causa, supera le, in ipotesi più attenuate, valutazioni a riguardo codificate dall’autonomia collettiva.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore della Società elle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed in Euro 4.500,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2016

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