Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15221 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 15221 Anno 2015
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 26034-2009 proposto da:
GULLO ANGELA c.f. GLLNGL67T67C351M, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO 22, presso
lo studio dell’avvocato ANGELO COLUCCI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2015
2069

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25-3, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 21/07/2015

difende giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 641/2008 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 27/11/2008 r.g.n. 642/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

TRIA;
udito l’Avvocato COLUCCI ANGELO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega verbale
PESSI ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GTACALONE, che ha concluso il
rigetto del ricorso.

udienza del 07/05/2015 dal Consigliere Dott. LUCIA

Udienza del 7 maggio’2015 —Aula A
n. 34 del ruolo — RG n. 26034/09
Presidente: Di Cerbo – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di Angela Gullo avverso la sentenza
del Tribunale di Ascoli Piceno n. 1025/2006, di rigetto della domanda della Gallo, volta ad Ottenere
la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato ex art. 25 CCNL del
2001, con POSTE ITALIANE s.p.a., con decorrenza 2 luglio 2001, “per esigenze di carattere
straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale
riposizionarnento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero
conseguenti all’introduzione di nuove tecnologie, prodotti o servizi”, congiuntamente alla
“necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie contrattualmente
dovute a tutto il personale durante il periodo estivo”
La Corte d’appello di Ancona, per quel che qui interessa, precisa che:
a) dalla ricostruzione del quadro normativo e contrattuale di riferimento si desume che, per
effetto dell’art. 25 del CCNL del 2001, dopo 1’11 gennaio 2001 il ricorso a contratti a termine per
esigenze straordinarie concernenti processi di riorganizzazione è stato consentito senza limiti
temporali;
b) inoltre, nella specie, non si applicano né l’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, né l’art. 21 del
d.l. n. 112 del 2008;
c) in base alla disciplina applicabile possono concorrere più causali, se coerenti tra loro, come
accade nella specie, essendo plausibile che alle “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di
ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali” si accompagni la necessità di sostituire
il personale assente per ferie contrattualmente dovute;
d) né la clausola in oggetto può considerarsi generica per il mero riferimento alla dizione della
disposizione contrattuale, da reputare sufficiente data la notorietà del processo di ristrutturazione di
POSTE ITALIANE;
e) infine, l’eccezione di avvenuto superamento della percentuale di assunzioni a termine
consentita su base regionale, originariamente mal proposta, risulta essere stata proposta in modo
corretto (facendo riferimento al personale di tutte le categorie e non solo ai lavoratori assunti a
tempo indeterminato inquadrati nello stesso livello e per settore produttivo) tardivamente e, quindi,
va dichiarata inammissibile.
2.— Il ricorso di Angela Gullo domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste,
con controricorso, POSTE ITALIANE s.p.a.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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La società controricorrente deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ., nella quale
chiede l’applicabilità dello jus superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32,
commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare va anche precisato che il Collegio ha autorizzato la motivazione
semplificata e che al presente ricorso si applicano ratione temporis le prescrizioni di cui all’art. 366bis cod. proc. civ.

1.— Il ricorso è articolato in due motivi, con i quali la lavoratrice:
1) denunciando errata e falsa applicazione di norme di diritto, chiede a questa Corte (nel
quesito posto a corredo del motivo) di stabilire se l’onere della prova di cui all’art. 3 della legge n.
230 del 1962, a carico del datore di lavoro, “imponga a quest’ultimo di dimostrare che esistano
concretamente le esigenze dettate dalle clausole previste dal CCNL ex art. 23 della legge n. 56 del
1987 giustificanti la relativa assunzione a termine” (primo motivo);
2) denunciando violazione o falsa applicazione di norme di diritto, chiede a questa Corte (nel
quesito posto a corredo del motivo) di stabilire se “l’interpretazione dell’art. 25 del CCNL dell’ 1 l
gennaio 2001 suggerita dalla parte — secondo cui i criteri di individuazione della percentuale del 5%
dei lavoratori da assumere a tempo indeterminato dovrebbe riferirsi solo ai lavoratori assunti a
tempo indeterminato con le medesime mansioni — sia vincolante per il giudice nell’accertamento
della violazione della norma contrattuale”. E, in particolare, deduce che nel prospettare, fin dal
ricorso introduttivo del giudizio, la censura relativa al mancato rispetto, da parte della società, della
clausola di contingentamento, si era limitata a “suggerire” che il relativo riscontro si sarebbe dovuto
effettuare facendo ai lavoratori assunti a tempo indeterminato inquadrati nello stesso livello e per
settore produttivo, quand’anche tale suggerimento fosse da ritenere errato (perché il raffronto si
sarebbe dovuto fare con il personale di tutte le categorie), in ogni caso la doveva considerarsi
ritualmente proposta, dovendo il giudice, nell’esercizio del proprio potere di interpretazione e
qualificazione della domanda, provvedere ex officio alla correzione del criterio di calcolo. Pertanto,
sostiene l erroneità della statuizione con la quale la Corte anconetana ha dichiarato la suddetta
censura inammissibile per tardività, sull’assunto secondo cui la modifica in appello del criterio di
calcolo originariamente “suggerito” fosse da qualificare come una domanda nuova, comportante
indagini di fatto del tutto diverse da quelle effettuate nel giudizio (secondo motivo).

Il — Esame delle censure
2.- Il secondo motivo di ricorso — da esaminare per primo, in ordine logico — deve essere
accolto, per le ragioni di seguito esposte.
2.1.- La Corte d’appello ha dichiarato inammissibile l’eccezione di avvenuto superamento
della percentuale di assunzioni a termine consentita su base regionale, perché ha affermato che tale
eccezione originariamente mal proposta, sarebbe stata proposta in modo corretto (facendo
riferimento al personale di tutte le categorie e non solo ai lavoratori assunti a tempo indeterminato
inquadrati nello stesso livello e per settore produttivo) solo tardivamente in appello.
2

I — Sintesi dei motivi di ricorso

-

!.

Sulla base di tale erronea premessa, la Corte territoriale non ha affatto preso in considerazione
la deduzione della ricorrente — che, seppure indicando un criterio di calcolo erroneo, era ritualmente
stata proposta nel giudizio di primo grado e riproposta in quello di appello, come risulta dagli atti
esaminabili in questa sede dato il tipo di censura in argomento — di mancata osservanza da parte
della società della suddetta clausola di contingentamento (costituente uno dei presupposti per la
legittimità del termine nei casi indicati e quindi avente carattere decisivo), con sollecitazione al
datore di lavoro ad assolvere l’onere probatorio a suo carico, sul punto.
2.2.- A proposito di tale onere probatorio, va precisato che, in base alla consolidata e
condivisa giurisprudenza di questa Corte, la facoltà delle organizzazioni sindacali di individuare
ulteriori ipotesi di apposizione del termine al contratto di lavoro è subordinata dall’art. 23 della
legge n. 56 del 1987 alla determinazione delle percentuali di lavoratori che possono essere assunti
sul totale dei dipendenti; pertanto, non è sufficiente l’indicazione del numero massimo di contratti a
termine, occorrendo altresì, a garanzia di trasparenza ed a pena di invalidità dell’apposizione del
termine, l’indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, si da potersi
verificare il rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine. L’onere della prova
dell’osservanza di detto rapporto, nei limiti delle percentuali indicate dalla contrattazione collettiva,
è a carico del datore di lavoro, in base alle regole di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 3 secondo
cui incombe al datore di lavoro dimostrare l’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano
l’apposizione di un termine al contratto di lavoro (vedi, per tutte: Cass. 12 dicembre 2011, n. 26567;
Cass. 19 gennaio 2010, n. 839; Cass. 12 marzo 2009, n. 6010, nonché Cass. 1 ottobre 2013, n.
22417; Cass. 10 marzo 2015, n. 4765).
2.3.- Ebbene, non avendo la Corte anconetana esaminato nel merito tale censura della
ricorrente — che, peraltro, la attuale controricorrente confuta in modo assolutamente generico — ha
omesso così una pronuncia su di uno dei presupposti per la legittimità del termine nei casi indicati,
avente in quanto tale carattere decisivo.
Di qui l’accoglimento del secondo motivo, cui consegue l’assorbimento del primo motivo.
III — Conclusioni
,.-

4.— In sintesi, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto, per le ragioni dianzi esposte e
con assorbimento di ogni altro profilo di censura.

3

e

Con tale statuizione la Corte anconetana non ha rispettato il consolidato e condiviso principio
affermato da questa Corte secondo cui: “il giudice del merito, nell’indagine diretta
all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è
tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma
deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come
desumibile,dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel
vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa,
trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sost2nzia1e” (vedi, fra le tante: Cass. 12 dicembre
2014, n. 26159; Cass. 14 novembre 2011, n. 23794).

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del
presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, che si
atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo. Cassa la sentenza
impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di
cassazione alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 7 maggio 2015.

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