Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15221 del 11/07/2011

Cassazione civile sez. III, 11/07/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 11/07/2011), n.15221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv.

FAZIO ANTONIO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PALERMO in persona del Sindaco pro-tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avv. MODICA SALVATORE, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

A.O.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 703/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO del

16.4.08, depositata il 28/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. COSTANTINO

FUCCI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

1. F.R. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza del 28 maggio 2008, con la quale la Corte d’Appello di Palermo, in accoglimento dell’appello proposto dal Comune di Palermo avverso la sentenza del Tribunale di Palermo, ha escluso la responsabilità risarcitoria del Comune, che invece era stata riconosciuta dal primo giudice, il quale aveva solidalmente condannato il F. ed il Comune al risarcimento dei danni sofferti da A.O. a seguito del ricovero, su disposizione del Comune in un immobile condotto in locazione dal F. ad uso alberghiero e di proprietà dell’ A..

Il Comune di Palermo ha resistito con controricorso, mentre non ha svolto attività difensiva l’ A..

2. Essendo il ricorso soggetto alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 e prestandosi ad essere trattato con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c. nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009, è stata redatta relazione ai sensi di detta norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti costituite e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Considerato quanto segue:

1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. si sono svolte le seguenti considerazioni:

“… 3. – Il ricorso appare inammissibile per due gradate ragioni.

La prima ragione di inammissibilità risiede nell’inosservanza del requisito di cui all’art. 360 bis c.p.c., che pure il ricorso dice di voler osservare.

Infatti, il primo motivo – deducente violazione di norme di diritto non meglio indicate (salva l’evocazione, peraltro, generica dell’art. 330 c.p.c. nella sua illustrazione) si conclude con un quesito di diritto così formulato: “non avendo il Comune di Palermo notificato l’atto di appello nel termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza all’ A. presso il domicilio eletto ai sensi dell’art. 330 c.p.c. e considerato che se nell’atto di notificazione della sentenza la parte ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio … l’impugnazione deve essere notificata nel luogo indicato”.

Siffatto quesito, in disparte il rilievo che è privo di consequenzialità fra la premessa e l’inciso finale, incomprensibilmente preceduto da puntini sospensivi, il che non consentirebbe di considerarlo quesito di diritto (posto che vi osterebbe il difetto di consequenzialità fra premessa ed inesistente conclusione), è comunque totalmente astratto, perchè carente sotto il profilo dei riferimenti pur sommari alla vicenda concreta (riguardo alla quale l’unico dato fornito è che vi era stata notifica di una sentenza, evidentemente quella di primo grado, all’ A. con elezione di domicilio, affermazione del tutto inidonea ad essere ricondotta sotto un preciso paradigma giuridico) e del tutto mancante di riferimenti alla sentenza impugnata.

Ora, secondo la giurisprudenza della Corte, l’art. 366 bis c.p.c. (ora abrogato, ma senza effetto quanto al ricorso), quando esigeva che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolveva in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio era stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato – ancorchè succintamente – perchè l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non avesse presentato questo contenuto era ed è, pertanto, un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008;

nonchè n. 6420 del 2008).

3.1. Con riferimento al secondo motivo – dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – la violazione dell’art. 366 bis emergerebbe perchè la sua illustrazione non si conclude e non contiene il cd.

momento di sintesi espressivo della “chiara indicazione”, cui alludeva l’art. 366 bis c.p.c. (si veda Cass. sez. un. n. 20603 del 2007, ex multis).

3.2. Non solo: nell’illustrazione promiscua dei due motivi in realtà non si coglie alcunchè in punto di ricostruzione della quaestio facti e, quindi, una vera censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non sarebbe – se fosse superata la rilevata inammissibilità nemmeno articolata.

3.3. Peraltro, se le segnalate cause di inammissibilità fossero superate e si procedesse a confrontare la illustrazione dei due motivi con la motivazione della sentenza impugnata, entrambi o meglio l’unico sostanziale motivo di violazione di norme del procedimento che vi appare dedotto sarebbe privo di adeguatezza e pertinenza con la motivazione della sentenza impugnata, la quale ha escluso che la nullità della notifica all’ A., non effettuata presso il domicilio eletto nella notificazione della sentenza e, peraltro, rinnovata su disposizione della Corte territoriale, avesse potuto determinare l’inammissibilità dell’appello per tardività, in quanto tempestivamente era avvenuta la notificazione al qui ricorrente e ricorreva una situazione di pluralità di parti in sede di impugnazione riconducibile al concetto di cause dipendenti. Di ciò il ricorrente non si è fatto carico, onde il motivo è inammissibile perchè non si risolve in una critica all’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata (si veda, fra tante, Cass. n. 359 del 2005).

2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali nulla è necessario aggiungere.

Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro milleseicento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2011

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