Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15220 del 16/07/2020

Cassazione civile sez. I, 16/07/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 16/07/2020), n.15220

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15468/2019 proposto da:

O.E., rappresentato e difeso dall’avvocato ETTORE

FAUSTO PUCILLO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO PROT INTERN DI MONZA/MILANO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO depositato il 12/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, sezione di Monza e Brianza, respingeva l’istanza del ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale od umanitaria, ritenendo non credibile la storia riferita dal richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela.

Il Tribunale di Milano, con il decreto impugnato, respingeva il ricorso avverso detto provvedimento reiettivo.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto O.E. affidandosi a sei motivi.

Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe disatteso l’istanza di audizione personale, nonostante l’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi innanzi la Commissione territoriale.

La censura è infondata. Dalla lettura del ricorso (cfr. pag. 6) risulta che il giudice di merito aveva fissato una udienza “per soli legali”. Sul punto, va premesso che è affetto da nullità, per violazione delle disposizioni di cui del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 10 e 11, il provvedimento del giudice di merito con il quale, in assenza di videoregistrazione del colloquio svoltosi innanzi la Commissione territoriale, viene fissata l’udienza di comparizione con espressa previsione della non necessità di procedere all’ascolto del richiedente. Posto che la valutazione sulla credibilità della storia personale riferita da quest’ultimo è evidentemente fondata anche su un giudizio di verosimiglianza nel quale assumono rilievo centrale le modalità con cui, in concreto, viene narrato il racconto, è evidente che la ratio della norma che impone la fissazione dell’udienza in ogni caso in cui non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa risiede nell’esigenza di consentire l’effettivo incontro tra richiedente e giudice, al fine di consentire al primo la facoltà di esercitare pienamente il diritto al contraddittorio ed al secondo la possibilità di esercitare, in concreto, il potere-dovere di cooperazione istruttoria. Ne consegue che è contrario allo spirito della norma l’atto con il quale il giudice di merito, non avendo a sua disposizione la videoregistrazione, decida comunque di escludere a priori la possibilità stessa dell’ascolto del richiedente, con ciò di fatto svuotando di significato concreto le disposizioni di cui ai già richiamati del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 10 e 11.

Tuttavia, è in tal caso onere del ricorrente procedere all’immediata contestazione della nullità, nel rispetto del principio generale di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2, dovendosi in difetto ritenere integrata la sanatoria del vizio.

Nel caso di specie il ricorrente non deduce, nel motivo in esame, di aver tempestivamente sollevato l’eccezione di nullità del decreto di fissazione dell’udienza, nè di esser stato presente all’udienza e di aver dichiarato in quella sede la propria disponibilità ad essere sentito, nè indica su quali elementi il suo ascolto avrebbe potuto, in concreto, condurre il giudice di merito ad una conclusione diversa da quella in concreto adottata. Ne consegue il difetto di specificità della censura.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente valutato il racconto personale, ritenendolo non credibile.

La censura è inammissibile. Dalla lettura del decreto impugnato emerge infatti che il giudice di merito ha ritenuto non credibile la sua storia, peraltro sulla base di una serie di contraddizioni intrinseche indicate a pag. 5 del provvedimento e non specificamente attinte dal motivo in esame, con il quale il ricorrente si limita ad una generica contestazione della valutazione dei fatti operata dal giudice di merito. Sul punto, è sufficiente ribadire che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente escluso la condizione di violenza generalizzata nel suo Paese di origine (Nigeria).

La censura è infondata. Il decreto ricostruisce la situazione interna della Nigeria, escludendo la presenza di una condizione rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e richiama le fonti internazionale consultate (cfr. pagg. 5 e 6), consentendo in tal modo al richiedente la duplice verifica della pertinenza della fonte e della specificità dell’informazione da essa ricavata.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale non avrebbe considerato la situazione esistente in Libia.

La censura è infondata. Il ricorrente non ha infatti allegato alcuna permanenza in Libia, idonea a far presumere un radicamento in quel territorio potenzialmente rilevante in caso di rimpatrio, nè ha dedotto di aver subito violenze tali da comportargli un disagio rilevante ai fini dell’eventuale concessione della protezione umanitaria. Alla pagina 4 del ricorso, infatti, si dà solo atto del mero transito in Libia, senza alcuna ulteriore specificazione; transito che, di per sè solo, non rileva ai fini del riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018, Rv. 651895).

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè il giudice di merito avrebbe omesso di valutare la condizione di violenza generalizzata esistente in Nigeria.

La doglianza è infondata. Valgono, al riguardo, le argomentazioni già spese in relazione al terzo motivo.

Infine, con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente negato il riconoscimento della protezione umanitaria.

La doglianza è inammissibile. Il ricorrente non allega infatti alcun profilo di vulnerabilità individuale, ma insiste soltanto sulla condizione interna del Paese di provenienza, senza confrontarsi, in questo modo, con la motivazione contenuta a pag. 7 del decreto impugnato, secondo cui il richiedente “… risulta esclusivamente aver svolto (e proficuamente) le tipiche attività organizzate dai centri di accoglienza, sicchè si tratta di una situazione non indicativa di un effettivo radicamento in Italia e quindi non valutabile sotto il profilo dell’art. 8 CEDU”.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2020

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