Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1522 del 25/01/2021

Cassazione civile sez. I, 25/01/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 25/01/2021), n.1522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14787/2019 r.g. proposto da:

F.H., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Paolo

Sassi, presso il cui studio elettivamente domicilia in Isernia, alla

via XXIV Maggio n. 33;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI CAMPOBASSO depositato il

21/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 09/12/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.H., nativo della (OMISSIS), ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso il decreto del Tribunale di Campobasso del 21 marzo 2019, reso nel procedimento n. 1151/2018, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria o il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari). Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. Quel tribunale ritenne che: i) il racconto del richiedente (che aveva riferito di aver lasciato la (OMISSIS) perchè minacciato di morte dagli appartenenti al clan (OMISSIS), quale gruppo di cui egli stesso, dapprima ignorando gli illeciti fini da quel gruppo perseguiti, era entrato a far parte) era inattendibile, perchè privo di elementi di dettaglio, posto che il F., espressamente interpellato dalla commissione sulle caratteristiche del gruppo al quale risulterebbe affiliato, con ciò e perciò esponendo la sua persona al rischio di ritorsione al suo rientro, “non ha saputo precisare natura, finalità ed obbiettivi perseguiti dal gruppo, nè in quale contesto tale gruppo si sia formato, nè ha saputo fornire indicazioni in ordine agli appartenenti al gruppo”; ii) dai rapporti internazionali consultati, specificamente individuati ed indicati, non era emerso che la zona della (OMISSIS) di provenienza del F. fosse oggetto di guerre civili o situazioni di conflitto generalizzato; iii) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, non essendo state dedotti e dimostrati stati patologici di rilievo, nè specifiche condizioni di vulnerabilità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi due motivi denunciano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9 e 11, e successive modifiche, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,9,14 e art. 27, comma 1-bis e successive modifiche, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1, lett. e) e g), artt. 3, 5, 7, 14, art. 16, comma 1, lett. b) e art. 19 ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione alla mancata valutazione della vicenda personale della richiedente e della situazione esistente in (OMISSIS) sulla base della documentazione allegata e dell’omessa attività istruttoria. Mancanza totale di motivazione”. Si contesta la mancata valutazione della vicenda personale del F., ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria con riferimento alla effettiva situazione esistente in (OMISSIS), ascrivendosi al tribunale di non aver disposto l’audizione dello stesso al fine di ottenere giustificazioni sulle sue dichiarazioni rese innanzi alla commissione territoriale, nonchè di aver violato l’obbligo di cooperazione istruttoria;

II) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente in (OMISSIS) sulla base della documentazione allegata e dell’omessa attività istruttoria”. Si censura il mancato riconoscimento della protezione cd. umanitaria.

2. Le descritte doglianze, scrutinabili congiuntamente per la loro stretta connessione, si rivelano insuscettibili di accoglimento nel loro complesso.

2.1. Invero, il tribunale molisano: i) ha negato credibilità al racconto del richiedente protezione circa le già riportate ragioni del suo aver lasciato la (OMISSIS), giustificando, seppure sinteticamente, il proprio convincimento, così escludendo il riconoscimento dello status di rifugiato (cfr. pag. 3-4 del decreto impugnato), oltre che della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); ii) ha escluso, sulla base della consultazione di affidabili fonti di informazioni (rapporto di Amnesty International 2017-2018, pag. 119-126), delle quali ha pure dato puntualmente conto nel provvedimento impugnato, che in (OMISSIS), (OMISSIS), sia riscontrabile una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che consente il riconoscimento nei confronti dello straniero della forma di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr. amplius, pag. 3-4, del menzionato decreto); iii) quanto alla invocata protezione umanitaria (da scrutinarsi alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis – cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 – di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6), ha evidenziato l’assenza di stati patologici di rilievo o di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità del richiedente protezione.

2.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che:

i) il vizio di omessa o apparente motivazione di un provvedimento decisorio sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 9017 del 2018, in motivazione; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). Più in particolare, al fine di non incorrere nella motivazione apparente, equiparabile a difetto assoluto di motivazione, il contenuto della stessa deve comprendere il racconto sia del processo dinamico di formazione dell’atteggiamento psicologico del giudicante espresso nella decisione assunta, sia del risultato del passaggio logico dall’ignoranza, quale iniziale posizione statica, alla conoscenza sotto la specie del giudizio, quale posizione statica finale di approdo a seguito dell’attività di acquisizione della conoscenza intorno all’oggetto (cfr. Cass. n. 9017 del 2018, in motivazione; Cass. n. 1450 del 2009). E’ perciò possibile ravvisare una motivazione apparente laddove le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo, risolvendosi in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice. Un simile vizio – da apprezzare non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva – è, all’evidenza, insussistente nella specie, posto che il tribunale ha adeguatamente esposto le ragioni, sopra rammentate, che imponevano il rigetto della domanda del F.;

ii) come recentemente puntualizzato da Cass. 11 novembre del 2020, n. 25312, il giudice che sia investito del ricorso contro il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale può esimersi dall’audizione del richiedente se a quest’ultimo, nella fase amministrativa, sia stata data la facoltà di essere sentito e il verbale del colloquio, ove avvenuto, sia stato reso disponibile (cfr. Cass. n. 15318 del 2020). Difatti nel giudizio d’impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria, ove sia mancata la videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla commissione territoriale, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia stata garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni o davanti alla commissione territoriale (cfr. Cass. n. 2917 del 2019; Cass. n. 5973 del 2019; Cass. n. 1088 del 2020). Ciò è quanto, in base al decreto oggi impugnato, si evince esser avvenuto nel caso di specie. Occorre precisare che la ripetuta interpretazione è conforme agli artt. 12, 14, 31 e 46 della direttiva 2013/32-UE, secondo l’interpretazione che ne ha dato la Corte di giustizia con la sentenza 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, sicchè neppure sarebbe ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale della richiedente, poichè l’audizione comunque non si traduce in un incombente automatico, neppure dinanzi all’affermata non credibilità del racconto. Vi è, semmai, il diritto della parte di richiedere l’audizione personale a fronte di specifiche circostanze di fatto che si intendano chiarire. Diritto cui si collega, tuttavia, il potere officioso del giudice di valutare la rilevanza di quelle circostanze nel complesso degli elementi acquisiti, ben potendo il giudice respingere la domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dagli atti e di quelli emersi attraverso l’audizione svoltasi nella fase amministrativa (cfr. Cass. n. 8931 del 2020, per quanto correlata a fattispecie soggetta al previgente D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35). Contigua a codesti principi appare anche la recente affermazione della sentenza di questa sezione n. 21584 del 2020, che, all’esito di ampia motivazione, ha fissato il principio per cui: “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile”. Sennonchè affermare l’inesistenza dell’obbligo di audizione a meno che nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi, ovvero il giudice ritenga necessaria l’acquisizione (chiarimenti, ovvero ancora l’istanza sia corredata da precise indicazioni sui singoli aspetti da chiarire, e “sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile”), equivale a costruire l’audizione pur sempre come oggetto di una facoltà, non di un obbligo; sebbene di una facoltà che, laddove esercitata in un senso o nell’altro, presupponga (come ovvio) l’esplicitazione dei motivi della afferente decisione. Cosicchè anche in base al citato precedente l’istanza di audizione non può essere dal ricorrente considerata come finalizzata all’esercizio di un diritto potestativo, come sarebbe se al fondo di essa fosse riscontrabile un incombente processuale automatico, necessariamente insito nella fissazione dell’udienza e tale da impedire al giudice di rigettare altrimenti la domanda. Pertanto, nel solco di quanto affermato dalla citata Cass. n. 21584 del 2020 vi è da aggiungere che il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; nel senso che il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza. Tale onere nella specie non risulta adempiuto, non emergendo dal ricorso che l’audizione del F. fosse stata effettivamente domandata (tutt’altro, ovviamente, è dire “ben avrebbe potuto il tribunale disporre l’audizione della ricorrente per interrogarla nuovamente al fine di ottenere una giustificazione sull’asserita non credibilità e chiarezza”. Cfr. pag. 3 del ricorso), nè le puntuali circostanze su cui egli avrebbe dovuto ulteriormente riferire;

iii) la giurisprudenza di legittimità, ancora recentemente (cfr., ex multis, Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), ha chiarito che: ii-a) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex aliis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui insussistenti, come si è già riferito), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierna ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014; ii-b) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, investe le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) predetto decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c) medesimo decreto, il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza della richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, ed ha rilevato che, sostanzialmente, il (OMISSIS), in (OMISSIS), non si segnala attualmente alcuna significativa instabilità politica. Va solo ricordato che, “in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (cfr. Cass. n. 20573 del 2020; Cass. n. 26728 del 2019). Sul punto, l’odierno ricorso riferisce, affatto genericamente, della “consultazione di siti attendibili” e di “informazioni tratte da internet”, senza alcuna loro precisa individuazione, nè è dato sapere se dette informazioni siano state comunque sottoposte all’attenzione del tribunale;

iv) è sicuramente vero che l’accertamento che il giudice investito di una domanda di protezione internazionale deve effettuare involge la complessiva situazione socio politica del Paese di provenienza del/la richiedente asilo, soprattutto (ma non solo) sotto il profilo dello specifico rischio da lui/lei lamentato, ma è altrettanto innegabile che l’eventuale omissione di una puntuale verifica concernente, in particolare, quest’ultimo aspetto può assumere rilevanza esclusivamente laddove sulle circostanze fattuali poste a fondamento della dedotta situazione di rischio il/la richiedente medesimo/a (diversamente da quanto accaduto nella specie) sia considerato attendibile;

v) il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 2355 del 2020; Cass. n. 30105 del 2018).

2.3. Alla stregua dei suesposti principi, i motivi in esame si rivelano complessivamente inammissibili, atteso che il tribunale ha fondato il proprio giudizio su di una lettura integrata, siccome stabilito dalla disposizione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), delle dichiarazioni rese dal F. e delle informazioni circa il suo Paese di origine ritraibili dalla consultazione di fonti qualificate ed aggiornate, e sulla base di ciò ha escluso che ricorressero le condizioni per il riconoscimento sia della protezione maggiore (status di rifugiato e protezione sussidiaria) che di quella minore. A fronte di tale corretta operazione di sussunzione dei fatti allegati alle norme di legge di cui la ricorrente ha chiesto l’applicazione, le doglianze sviluppate nei motivi di ricorso in esame investono, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione internazionale ed umanitaria), senza assolutamente considerare che, da un lato, la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposte, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019); dall’altro, che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso il 24 gennaio 2019), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

3. Il terzo motivo prospetta “Violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 e art. 136, comma 2, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28-bis, comma 2, lett. a) ” e censura la revoca, disposta dal tribunale, dell’ammissione del F. al patrocinio a spese dello Stato.

3.1. Una siffatta doglianza, però, è inammissibile, ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, alla luce del principio ripetutamente espresso da questa Corte (cfr., ex multis, Cass. n. 25622 del 2020; Cass. n. 7785 del 2020, per la quale, peraltro, il rigetto della domanda di protezione internazionale non implica automaticamente la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la quale postula l’accertamento del presupposto della colpa grave nella proposizione dell’azione, valutazione diversa ed autonoma rispetto a quella afferente alla fondatezza del merito della domanda; Cass., SU, n. 4315 del 2020; Cass., n. 1987 del 2020; Cass. n. 29877 del 2018; Cass. n. 3028 del 2018) secondo cui la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con il provvedimento che definisce il giudizio, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 stesso D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanta adottata con la decisione che definisca il giudizio, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 D.P.R. citato.

4. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2021

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