Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15218 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 15218 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: LORITO MATILDE

SENTENZA

sul ricorso 5640-2010 proposto da:
COMUNE DI LAURO P.I. 80012300648, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo
studio dell’avvocato EDOARDO GHERA, che lo rappresenta
e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
contro

2027

PERNA ANGELA MARIA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 157/2009 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 21/07/2015

k
:

di NAPOLI, depositata il 23/02/2009 R.G.N. 8969/2005;
I

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/05/2015 dal Consigliere Dott. MATILDE
LORITO;
udito l’Avvocato GHERA FRANCESCO per delega GHERA

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

e

EDOARDO;

Con sentenza 23/2/09 la Corte d’Appello di Napoli, in riforma
della pronuncia resa dal giudice di prima istanza, dichiarava
l’illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione
dal servizio con privazione della retribuzione per quattro
giorni, irrogata dal Comune di Lauro nei confronti di Perna
Angela Maria con provvedimento in data 4/7/03, per violazione
consistita nell’aver disatteso la specifica disposizione
impartitale dal dirigente di usufruire di un protocollo interno
del settore di competenza per il deposito di documentazione
attinente ad una pratica relativa ad un invalido, avendo la
dipendente affidato a persona estranea alla Amministrazione, i
documenti da recapitare al protocollo generale.
La Corte territoriale fondava il proprio convincimento
essenzialmente sul rilievo della intervenuta violazione
dell’obbligo di affissione del codice disciplinare sancito
dalla L.20 maggio 1970 n.300, art.7. Osservava che nella specie
si verteva in tema di applicazione di una sanzione
conservativa; che il Comune non aveva dedotto né tantomeno
provato, di aver pubblicizzato mediante affissione in luogo
accessibile a tutti, il codice disciplinare (così come previsto
dall’art.23 comparto regioni-autonomie locali); che detto
adempimento, diversamente dall’ipotesi di contestazione di
comportamenti contrari agli interessi dell’impresa o ai doveri
morali generalmente condivisi, era irrinunciabile, non essendo
oggetto di addebito, fattispecie integranti ipotesi di reato o
violazione di regole elementari di vita, bensì illeciti
consistiti nella violazione di prescrizioni strettamente
attinenti all’organizzazione datoriale.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione il
Comune di Lauro affidato a tre motivi. Perna Angela Maria non
ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia, ex art.360 n.3 c.p.c.,
violazione e falsa applicazione dell’art.2697 c.c., art.7 L. 20
maggio 1970 n. 300, artt.112-420-421 c.p.c. nonché difetto di
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio ex art.360 n.5 c.p.c.
Si critica la decisione impugnata per aver argomentato in
ordine alla mancata allegazione della affissione in luogo
accessibile a tutti, del codice disciplinare, tralasciando di
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il secondo mezzo di impugnazione, si deduce violazione e
falsa applicazione dell’art.2697 c.c., art.7 L. 20 maggio 1970
n.300, nonché difetto di motivazione circa un fatto controverso
e decisivo per il giudizio.
Parte ricorrente stigmatizza l’argomentare dei giudici del
gravame, laddove hanno reputato l’adempimento concernente
l’affissione del codice disciplinare in luogo visibile a tutti,
come indefettibile ai fini della validità della sanzione
irrogata e si richiama all’orientamento espresso in sede di
legittimità che estende l’interpretazione flessibile dell’art.7
1.300/70 (secondo cui la pubblicità del codice disciplinare non
è necessaria se la mancanza addebitata dipende dalla
violazione di norme di legge e, comunque, di doveri
fondamentali del lavoratore), anche alle sanzioni disciplinari
conservative.
Con il terzo motivo si denuncia, ex art.360 n.3 c.p.c.
violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 55 d.lgsl. 30
marzo 2001 n.1659 nonché dell’art.7 L. 20 maggio 1970 n. 300.
Si lamenta che la sentenza impugnata abbia tralasciato di
considerare il dettato normativo di cui all’art.47 comma 8
d.lgs1.165/01, alla cui stregua per i contratti collettivi di
lavoro nel pubblico impiego privatizzato, è prescritta la
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Si osserva, quindi, che
i contratti collettivi dì lavoro nella P.A. sono atti normativi
che configurano una categoria di fonti di diritto oggettivo ed,
in quanto tali, non rendono necessario l’obbligo di procedere
alla pubblica affissione.
I motivi, che per presupporre la soluzione di questioni
giuridiche fra loro connesse possono essere esaminati
congiuntamente, sono infondati.
Occorre premettere che giurisprudenza di questa Corte, anche
relativamente alle sanzioni disciplinari conservative – e non
per le sole sanzioni espulsive – ha ritenuto che, in tutti i
casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia
2

considerare che in sede di memoria di costituzione nel giudizio
di primo grado, era stata espressamente dedotta la circostanza
della intervenuta affissione della normativa del c.c.n.l.
relativa alle infrazioni e
ratione temporis
applicabile
sanzioni disciplinari, era stata regolarmente . affissa nell’Albo
Pretorio, e che detta circostanza non era stata oggetto di
contestazione ex adverso.

Da quanto esposto emerge, tuttavia, che quando la condotta
contestata al lavoratore appaia violatrice non di generali
obblighi di legge ma di puntuali regole comportamentali
negozialmente previste e funzionali al miglior svolgimento del
rapporto di lavoro, l’affissione si presenta necessaria.
Orbene, in linea con tale orientamento, la Corte territoriale,
muovendo dalla constatazione che, nella specie, la
contestazione riguardava illeciti consistenti nella violazione
di prescrizioni strettamente attinenti alla organizzazione
aziendale, ha ritenuto la essenzialità della affissione del
codice disciplinare.
in tema di procedimento
considerato che,
Va inoltre,
disciplinare nei confronti di dipendenti pubblici, la
disposizione di cui all’art.25, n.10, del c.c.n.l. del 6 luglio
1995 per il personale degli enti locali/- prevede che al codice
disciplinare deve essere data la massima pubblicità mediante
affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti. La
particolare disciplina contenuta nel CCNL di settore – di
natura pubblicistica e quindi oggetto di accertamento ed
interpretazione diretta da parte della Corte di Cassazione prevede che al codice disciplinare deve essere data una
particolare forma di pubblicità, che è tassativa e non può
essere sostituita con altre (vedi, in tali sensi, Cass. 23
marzo 2010 n.6976).
In tale prospettiva resta superato anche il rilievo sollevato
dal ricorrente con riferimento alla natura “normativa” dei
contratti collettivi di lavoro nelle pubbliche amministrazione,
che sono l’esito di un procedimento regolato ex lege (art.47
d.lgsl. n.165/01) la cui efficacia si perfezione con la
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Non può, infatti, ritenersi in questa sede invocabile il
principio, pur enunciato da questa Corte, alla cui stregua la
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immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché
contrario al cd. minimo etico o a norme di rilevanza penale,
non sia necessario provvedere alla affissione del codice
disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto,
anche al di là di una analitica predeterminazione dei
comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del
codice disciplinare, della illiceità della propria condotta
(vedi ex plurimis, Cass. 27 gennaio 2011 n.1926).

Ciò in quanto è il contenuto stesso della disposizione
collettiva che disciplina la fattispecie scrutinata – relativa
all’obbligo di idonea pubblicità del codice disciplinare – che
come
palesa
inderogabile siffatto obbligo, e rende
inapplicabile sia quella giurisprudenza la quale ha ritenuto
non necessaria l’affissione del codice disciplinare quando la
violazione è percepita come tale dal senso comune o in base ai
principi generali (vedi Cass. cit. n.6976/10), sia
quell’orientamento che sulla natura “normativa” delle
disposizioni collettive di comparto, fonda il giudizio di non
necessità della affissione del codice disciplinare in luogo
accessibile a tutti.
Conclusivamente, essendo la norma pattizia chiara nel senso di
negare che la pubblicazione per affissione ammetta
equipollenti, deve ritenersi che la statuizione della Corte di
Appello, che su detta disposizione si fonda (vedi pag.5), è
ineccepibile e si sottrae alle censure svolte.
Né, onde pervenire a diverse conclusioni, può aderirsi alla
tesi prospettata con il primo motivo di doglianza, secondo cui
sarebbe stato onere della lavoratrice contestare la allegazione
contenuta in sede di memoria di costituzione nel giudizio di
primo grado, e relativa alla circostanza della intervenuta
affissione della normativa del c.c.n.l. applicabile ratione
temporis concernente le infrazioni e sanzioni disciplinari
nell’Albo Pretorio, oltre che fornire prova contraria.
Nella specie, infatti, nel ricorso introduttivo la Perna ha
lamentato la mancata affissione del codice disciplinare con la
conseguenza che, di fronte a tale doglianza, era onere del
Comune convenuto non solo contestare tale assunto, ma anche
fornire la prova del relativo adempimento (vedi ex plurimis,
Cass. n.4572 del 1995), ciò che non è avvenuto.
In definitiva, sotto tutti i profili delineati, il ricorso si
presenta privo di pregio e va pertanto respinto.
Nessuna statuizione va emessa in punto spese, non avendo
l’intimata svolto attività difensiva.
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previsione nella disposizione di legge, pubblicata nella
Gazzetta ufficiale, è sufficiente alla conoscenza da parte
della generalità e rende inutile la suddetta affissione (vedi
Cass. 8 gennaio 2007 n.56).

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma il 6 maggio 2014.

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